SITO ANARCOLIBERALE A CURA DI DOMENICO LETIZIA. Laboratorio per un Neo-Anarchismo Analitico che sia Liberoscambista, Volontarista, Possibilista e Panarchico con lo sguardo verso i valori del Liberalismo Classico, del Neo-mutualismo e dell'Agorismo. Un laboratorio che sperimenti forme di gestione solidali, di mercato dencentralizzato e di autogestione attraverso l'arma della non-violenza e lo sciopero fiscale, insomma: Disobbedienza Civile

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AnarchicA
No TAV

giovedì 31 gennaio 2008

Solidarietà del Movimento Fiamma Libertaria ai Carc


IL Movimento Fiamma Libertaria dal Casertano esprime soldidarietà a tutti i compagni vittima della repressione e della borghesia.
Esprimiamo la nostra vicinanza dal Casertano.
Sperando di cancellare le leggi fasciste e il 41bis,
Lo Stato vuole dividere ed isolare con la repressione, Lo stato madre di tutti i mali, una sovrastruttura che cancella le idee a nome dell' omologazione, dove chi esprime diversamente è consideratro anarco-insurrezionalista come il compagno michele fabiani vittama della repressione.
Le idee e le lotte non si processano, niente e nessun tribunale ha il diritto di processare i nostri compagni, perchè essi appartengono al movimento di resistenza popolare.
solidarietà anarchica,
solidarietà libertaria,

Movimento Fiamma Libertaria
Comitato Studenti per l'Astensionismo

Campagna contro la persecuzione dei comunisti
Per aderire all’appello inviare la propria adesione a:

Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo (CARC) - Direzione Nazionale
Via Tanaro 7 - 20128 Milano - Tel/Fax 02.26306454
e-mail: resistenza@carc.it sito: www.carc.it
Per chi intende contribuire alla raccolta può farci pervenire la firma a: Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo (CARC) - Direzione Nazionale Via Tanaro 7 - 20128 Milano - Tel/Fax 02.26306454 e-mail: resistenza@carc.it sito: www.carc.it e inoltre inviare direttamente le firme di protesta a Paolo Giovagnoli c/o procura di Bologna, Piazza Trento e Trieste, 401347 Bologna, - fax 051.201948

mercoledì 30 gennaio 2008

L'università non piange Prodi


L'università non piange Prodi come non piange il governo precedente.
Questa maggioranza, a dispetto dei proclami e dei comunicati del ministro Mussi, ha fatto poco o nulla per contrastare il regime corporativo, inefficiente e feudale che governa l'università pubblica e per porre argine alla precarieta che lo attraversa.Lo stanziamento per l'università  e la ricerca è sostanzialmente diminuito, la riforma delle procedure concorsuali per i ricercatori e la tanto annunciata Autorità  Nazionale per la Valutazione dell'Università  e della Ricerca (ANVUR) sono ancora oggi in alto mare. Ma più di ogni altra cosa, il finanziamento straordinario si è rivelato misero ed avviato con estremo ritardo e - in assenza di nuove e più trasparenti regole concorsuali - destinato a favorire ancora una volta percorsi di nepotismo e familismo.
Le lavoratrici e i lavoratori precari dell'università e della ricerca guardano con preoccupazione agli scenari futuri del paese, che promettono il perpetuarsi della loro condizione di drammatico precariato in un quadro politico indecoroso. Tutti i governi succedutisi negli ultimi decenni hanno dichiarato a parole la centralità della ricerca per il paese e la necessità  di una università  di qualità, nessun governo ha finora rispettato gli impegni presi. Possiamo solo auspicare che il prossimo governo comprenda che il rilancio del paese non può che passare da un serio investimento nella formazione e nella ricerca, in una seria riforma dell'Università e nella lotta contro il precariato dentro, come fuori, nell'Università 
Rete Nazionale Ricercatori Precari
http://ricercatoriprecari.wordpress.com/

martedì 29 gennaio 2008

Presidio No Tav No F 35 all'Alenia - cronaca


Sabato 26 gennaio a Torino si è svolto un presidio di fronte all'AleniaAeronautica, fabbrica d'armi che, insieme alla Lockeed Martin costruiràgli F 35, bombardieri di nuova generazione, che saranno l'avanguardiadell'industria della distruzione e della guerra nei prossimi anni.Qualche foto a quest'indirizzo:
http://piemonte.indymedia.org/article/1098
Le ali dei bombardieri verranno realizzate dall'Alenia mentre il montaggio degli apparecchi avverrà in un nuovo stabilimento nei pressi di Novara, a Cameri, dove c'è anche un aeroporto militare che verrà utilizzato per icollaudi dei velivoli. Una nuova fabbrica di morte che si installerà sulnostro territorio. Contro questo progetto a Novara si è costituito oltreun anno fa il Coordinamento contro gli F 35 che ha dato vita a numeroseiniziative, tra cui ricordiamo due cortei, quello cittadino della scorsaprimavera e la marcia di qualche mese fa da Novara all'aeroporto diCameri. Lo stabilimento Alenia di Torino si trova in corso Marche, uno degli snodicruciali del progetto Tav a Torino, un progetto devastante, costosissimo,utile solo ai profitti della lobby del cemento e del tondino, lobbytrasversale che tiene insieme destra e sinistra, unite appassionatamenteintorno alla greppia dei soldi pubblici da mangiare a spese dei serviziche non ci sono. A Torino mancano 1800 posti negli asili, si aspetta novemesi un'ecografia e c'è gente che dorme in strada, ma la misura del"progresso", secondo la giunta di governo in città sta nel portare daTorino a Lyon merci ovunque uguali con qualche minuto di risparmio.Nell'attraversare Torino il Tav sventrerà interi quartieri, abbattendocase e rendendo invivibili intere zone. La rete contro tutte le nocività"Saldatura", che raccoglie i gruppi No Tav e quelli che si oppongono adaltre nocività quali inceneritori, grattacieli, tangenziale est... si èimpegnata in un lungo percorso di informazione e lotta, con serateinformative, presidi, feste di quartiere, azioni dirette. Sabato 26 Saldatura e Coordinamento contro gli F 35 si sono uniti per darvita ad un presidio No F 35 e No Tav, nello spirito di solidarietà ecollaborazione tra i tanti che si battono contro la guerra, ilmilitarismo, la devastazione e il saccheggio dei nostri territori e dellenostre vite. All'appuntamento del 26 hanno risposto oltre un centinaio di persone:erano presenti, oltre agli organizzatori, anche delegazioni dellaFederazione Anarchica, del Pcl, di Sinistra Critica, della CUB, dei Cobas,degli Internazionalisti, degli Umanisti, degli Squatter. C'erano banchetti di informazione, musica, interventi dal microfono, dolcie vin brulè. A metà mattinata un gruppo di manifestanti è andato all'ingressodell'Alenia e l'ha simbolicamente sigillata con un lucchetto gigante dicartone rosso dove spiccava la scritta no tav. Più tardi un altro gruppo è andato al mercato di via Vandalino dove cisono stati interventi, distribuzione di volantini e una vivace pizzicasalentina. Sulle case sono stati affissi volantini che avvertivano la popolazioneignara del pericolo Tav. Il giorno precedente il presidio il governo ormai agonizzante ha trovatoil modo di approvare il rifinanziamento delle missioni militari italianeall'estero. Una prova in più che contro il militarismo e la devastazione solo l'azionediretta di noi tutti può infilare sabbia nel meccanismo ben oliato dellaguerra. Cronaca a cura di No Tav Autogestione - comitato contro tutte le nocivitàdi Torino e Caselle
Per contatti:notav_autogestione@yahoo.it338 6594361
Info:www.saldatura.org

lunedì 28 gennaio 2008

PROSEGUE

Prosegue l'iniziativa del non voto. Si sta lavorando e si lavora ancora per diffondere l'importanza del non voto e della denuncia continua a questa classe politica. Il tutto tra personaggi che frequentando il blog lasciano commenti un pò particolari e degni di stupidaggine ma comunque tutto sommato ritengo che sia normale come ritengo sia normale falli rimanere esposti per una questione non solo di principio ma anche per farci due risate.
Invece ciò che ritengo particolare è la visita che abbiamo avuto dal Comando dei Carabinieri, ringrazio della visita.

28.01.08 10:11:30 Comando generale arma dei carabinieri Italia Explorer 6.x Windows XP :

domenica 27 gennaio 2008

Nasce il Comitato Studenti per l'Astensionismo.


Dopo la caduta del governo Prodi e riceviamo con piacere questa notizia, ci rendiamo conto che oggi per i giovani non c'è futuro. La politica Italina ha raggiunto livelli di indecenza unica ultimo episido il litigio e lo sputo tra i deputati dell'Udeur in PARLAMENTO o la sfacciataggine del governatore della sicilia Cuffaro mafioso e dimostrato mafioso finalmente dimesso.
Siamo consapevoli della rovina causata dei partiti per la nostra società e sosteniamo la scelta del non voto la scelta dell'astensionismo come unica risposta a parlamentari che ingrossano solo i loro portafogli e che riempino di balle e in Campania di eco-balle la gente.
Ecco perchè sosteniamo l'iniziativa del non voto.
A maddaloni cerchiamo di creare un inizativa anche semplicemnte morale che dia forza all'astensionismo e che denunci la politica locale e nazionale.
La questione politica nazionale si aggrava nel Maddalonese,ecco perchè vi chiediamo di aderire al programma di astensionismo per ora semplicemnte eticamnte ma anche praticamnte effettuando empiricamente il gesto del non voto appena si chiamerà la cittadinanza alle urne.



Per quelli di Maddaloni che vogliono aderire scrivere a questa e-mail con la propria firma all'indirizzo anarhkydom@hotmail.it per quelli al dì fuori di Maddaloni fare la stessa cosa aggiungendo però la scritta sostenitore accanto alla firma.saluti libertari,
domenico letizia
Movimento Fiamma Libertaria.


le adesioni verranno aggiornate di continuo
Per Maddaloni:
Letizia Domenico



Sostenitori:
Gianfranco Stassi - Sostenitore (Federazione Anarchica Italiana)

sabato 26 gennaio 2008

Scoppio alla caserma di Livorno


Perquisizioni in ambienti anarchici.
L'operazione rientra nell'ambito delle indagini, coordinate dalla procura di Firenze, sull'ordigno rudimentale esploso il 25 settembre 2006 davanti alla caserma livornese ''Vannucci'' della Folgore, provocando il lieve stordimento di due para'. Secondo quanto emerso, le perquisizioni riguarderebbero sette-otto persone. Livorno e Pisa le province interessate. Alcuni perquisiti sarebbero indagati per violazione della legge sulle armi e gli esplosivi. L'ordigno era stato realizzato utilizzando candelotti di gelatina caricati dentro un mortaio rudimentale: un grosso tubo di ferro chiuso alla base da un blocco di cemento. In base a quanto emerso, le persone indagate sono sei. L'inchiesta e' coordinata dalla procura di Firenze in quanto competente per fatti per i quali si ipotizzi una matrice eversiva. L'ordigno rudimentale, che era stato messo in una borsa, esplose in un giardino pubblico che si trova di fronte all'ingresso principale della caserma, situata in zona Ardenza, alla periferia sud di Livorno. Secondo quanto ricostruito, i due militari rimasti storditi erano appena usciti dalla 'Vannucci'' quando notarono fumo provenire dalla siepe del giardino. Si avvicinarono e dettero un calcio alla borsa dalla quale fuoriusciva il fumo. Proprio la pedata avrebbe deviato la traiettoria dello scoppio su un albero mentre alcuni residui superarono il muro di cinta della caserma. Due giorni dopo l'attentato, arrivo', al quotidiano La Stampa, un volantino di rivendicazione: ''Il giorno 25 settembre - era scritto nella lettera inviata da Milano - un nucleo della nostra organizzazione ha bombardato la caserma della brigata Folgore a Livorno che rappresenta insieme agli altri corpi speciali italiani un covo di fascisti e stupratori dell' imperialismo italiano. Per il comunismo, Brigate Rosse''.

venerdì 25 gennaio 2008

Gli apostoli di Ron Paul


I mezzi d'informazione l'hanno praticamente ignorato, eppure Ron Paul ha più sostenitori su Facebook e Myspace di tutti gli altri candidati repubblicani, è il più cercato su Google e su Youtube e il suo sito è di gran lunga il più visitato. I membri del suo Meetup sono più numerosi di quelli dei principali candidati – repubblicani e democratici – messi insieme.

Su Technocrati, il motore di ricerca dei blog, per alcuni mesi è stato il secondo personaggio più cercato dopo una pop star portoricana protagonista di un video molto sexy. Come si spiega il successo di questo chirurgo e ginecologo di 72 anni, deputato del Texas, presso un pubblico di internauti e blogger tradizionalmente considerato favorevole ai democratici? I nuovi "tecnopubblicani", come li chiama Mother Jones, sono libertari disgustati dal governo, da Guantanamo, dalle leggi antiterrorismo, dall'inefficienza dimostrata dopo l'uragano Katrina e soprattutto dalla guerra in Iraq.
Unico tra i repubblicani a chiedere il ritiro delle truppe, Paul li ha conquistati con la sua rivoluzione conservatrice: apertura al libero mercato, soppressione delle tasse e di ogni finanziamento all'esercito, al sistema sanitario e a quello scolastico. "Dobbiamo cambiare la nostra filosofia su quello che il governo deve fare", ha detto.

Attività di Anarchici Contro Il Muro



Bil'in:
A Bil'in, il cielo ci era favorevole. La 153a manifestazione consecutiva del venerdì ha marciato dal centro del villaggio sotto un cielo blu ed un po' più caldo del solito. Quando ci siamo avvicinati alla collina su cui sorge il cancello del muro della separazione, abbiamo trovato il filo spinato di sempre a sbarrarci la strada, ed abbiamo udito il solito avvertimento dei militari che tutta l'area era zona militare chiusa, ed anche le solite minacce se solo avessimo provato a superare il filo spinato. Tuttavia, un inatteso mutamento della direzione del vento da est, ha impedito alle forze di Stato l'uso dei gas.

Infatti dopo il lancio di alcune bombolette di gas lacrimogeno, hanno desistito, dato che il vento glielo riportava contro. Hanno provato con le bombe assordanti, ma ormai ci siamo abituati ad esse, con la sola precauzione di allontanarsi di un metro dal punto di impatto col suolo. Perciò, abbiamo lentamente colmato la distanza tra noi e loro, costringendo i soldati a bloccarci coi loro corpi. Dopo un po' hanno arretrato di alcuni metri e noi abbiamo deciso di ritornare al villaggio. Solo quando eravamo lontani, ci hanno sparato addosso i gas e i proiettili ricoperti di gomma.. Alcuni sono rimasti leggermente feriti dalla bombe assordanti e dalle bombolette di gas. Un membro del comitato popolare del villaggio è stato colpito alla testa da un proiettile di gomma e quindi ricoverato all'ospedale di Ramalla.

giovedì 24 gennaio 2008

NON VOTARE!!


FINALMENTE!!! E' caduto il governo prodi!
Finalmente viene da gridare a chi come noi già sapeva dall'inizio che questo governo formato da comunisti e da cattolici da liberisti e da statalisti da clericali e anticlericali da radicali e da mastelliani sarebbe caduto.
Finalmente. Quello di stasera con il deputato dell'udeur picchiato e sputato è stato uno schifo che va a confermare come le nostre istituzioni come le istituzioni in generale rappresentano il Parassita più grande della nostra società.
Come appoggiare un governo che affama? come appoggiare un Governo che fa GUERRA? come dare fiducia ad un governo che da valore al vaticano e presenta l'aborto come un omicidio? Come dare appoggio ad un ministro della GIUSTIZIA corrotto e criminale?
L'unica solidarietà sembra andare a Turigliatto per aver trovato finalmente il coraggio nel dare un taglio con questa destra di sinistra.
Ora cosa ci aspetta? il partito di stupidi e settari di marco Ferrando? di refezione comunista? o dei CO-COmunisti italiani? Ci aspetta anche la paura del fascismo e delle destre razziste del capitalismo e della corruzione che da prodi a berlusconi dilaga.
CHE votare? ma perchè votare? dare voto al P.D. O al popolo delle libertà?
NO! DICIAMO BASTA! MANDIAMOLI A CASA! TUTTI A CASA! VIA LA CLASSE PARASSITA!
NON VOTARE!
NON VOTARE!
SI ALLE COMUNITA' IN LOTTA!
Non legittimare il disastro che ci circonda con il tuo voto.
Guerre ?umanitarie?, devastazione ambientale, violenza sui lavoratori, sugli immigrati, sugli sfruttati e su chi si oppone a questo stato di cose, sono il vero programma dei governi sia di destra che di sinistra.
Non partecipiamo alla formazione di governi
Non partecipiamo alla nostra oppressione
Partecipiamo alle lotte fuori dai partiti, contro lo sfruttamento del Capitale e dello Stato sugli uomini e sulla natura.
Partecipiamo alle lotte contro il carcere, i manicomi; contro l'isolamento e la segregazione dei corpi.
Partecipiamo all'apertura di spazi autogestiti, dove i rapporti sono basati sul confronto orizzontale, sull'uguaglianza e sulla solidarietà dove si combatte la gerarchia, il pregiudizio della religione, la discriminazione sessista e razzista.
Si all' AUTOGESTIONE!
Gli anarchici e le anarchiche,
Domenico Letizia.
NON VOTARE!
SI ALL' ASTENZIONISMO!
(astensione + azione)

Caffè News scrive a Domenico Letizia.


Cari Amici,
siamo Paolo Esposito dalla Campania e Marianna De Rosa dall’Emilia Romagna, i due giovani curatori di Caffè News (www.caffenews.wordpress.com), un ponte telematico tra Nord e Sud Italia nato così per gioco, ma che nel corso di questo tempo ha guadagnato la fiducia dei suoi lettori e soprattutto dei suoi collaboratori. I picchi massimi di circa tremila visite al giorno ci inducono a pensare che quello che forse all’inizio, senza alcuna pretesa, voleva essere solo un blog personale, è diventato qualcosa di più, una fonte di contenuti, crediamo, validi. L’attenzione rivolta a questo spazio da parte del Tg3, di numerosi quotidiani e portali nazionali, nonché della principale agenzia internazionale, la Reuters, che ci ha proiettati addirittura sul New York Times, ci fanno ben sperare nelle potenzialità di questo spazio. Nonostante ciò ci piace camminare con i piedi per terra, facciamo dell’umiltà il nostro cavallo di battaglia, e scriviamo a voi, principali collaboratori, lettori o sostenitori, per chiedervi un parere. Abbiamo pensato, dopo esserci consultati con la Comunication Project, una giovane e dinamica agenzia di comunicazione che, come molti di voi, dà a Caffè News il proprio contributo a titolo gratuito, di affiancare al blog un quindicinale di Caffè News che, dopo una fase di rodaggio, potrebbe diventare un settimanale. Il settimanale, teniamo a precisare, non sostituirebbe il blog, ma farebbe da supporto, e soprattutto continuerebbe ad essere caratterizzato da quella genuinità di contenuti che vuole contraddistinguerci. Mentre il blog continuerebbe a fare da contenitore quotidiano di lettere, commenti, notizie dall’Italia e dal Mondo, con particolare riguardo al divario Nord/Sud, il settimanale tratterebbe in maniera più approfondita, con dossier e reportage, il rapporto tra il Nord e il Sud del nostro Paese, diventando ancora di più un punto di riferimento per chi ha lasciato il Mezzogiorno. Per realizzare quest’idea naturalmente non potremmo fare a meno del vostro appoggio e dei vostri contributi. Dopo i primi sei mesi in cui il settimanale si pregerebbe di vostre ed eventuali collaborazioni gratuite, le inserzioni pubblicitarie e l’iscrizione al Tribunale come testata settimanale potrebbero consentirci di garantire ai collaboratori un ristoro per i contributi e il sostegno dato all’iniziativa. Come avrete intuito questo vuole essere appunto un sondaggio, le consultazioni sono aperte ed ognuno, rispondendo a quest’e-mail, potrà esprimere la propria opinione sull’idea che vi rilanciamo.
A presto, Paolo & Marianna

Rispoata:

Salve,
Si, sono contento dell'iniziativa e mi dichiaro sempre favorevole alla libera informazione.
L'unica cosa che spero, ma ne ho fiducia è che il settimanale rimanga ad essere quel centro d'informazione che parte dal basso e rimanga l'informazione per noi individui qualunque.
I miei complimenti al giornale,sperando di continuare a partecipare alle vostre iniziative, a sostenerle e soprattutto mi riteengo anche partecipe a contribuire a quell'informazione democratica e non di parte o per i grandi pseudo-politici.
Un settimanale che dedica tanto ai problemi campani e che non sia vincolato da volontà,no politiche, ma partitiche è una grande conquista,e son sempre da appoggiare.
La mia solodarietà e del Movimento Fiamma Libertaria all'iniziativa e da coloro che a Maddaloni credono nelle vara informazione.
Saluti Libertari,
(sperando di ricevere la prima copia in omaggio)

domenico letizia

mercoledì 23 gennaio 2008

WSF 2008: i mille volti del no alla guerra


Fonte: Rete Lilliput
Una delle questioni più urgenti da affrontare su scala mondiale è il pericolo nucleare che vede le super-potenze proseguire nell’uso dell’arma atomica come minaccia verso i paesi e le popolazioni del Sud del mondo.

Consapevoli dell’importanza dell’azione che parte dal locale, le varie realtà legate a Rete di Lilliput partecipano a questa giornata con la proposta di iniziativa popolare per un’Italia libera da armi nucleari. La proposta - sostenuta da più di 50 organizzazioni in Italia e nasce dall’idea che le “vecchie” atomiche presenti nelle basi militari di Aviano e Ghedi, oltre a contrastare con il trattato di non Proliferazione sottoscritto dall’Italia, sono un grosso ostacolo sulla via del disarmo nucleare e offrono un’ottima scusa a qualsiasi altro paese per dotarsi a sua volta della Bomba. In varie forme – dal tradizionale banchetto all’effervescente uscita teatrale – si potrà sostenere la raccolta di firme procurandosi i moduli di attivazione che hanno i gruppi territoriali.

Nell’agenda dei movimenti sociali non può mancare l’impegno per una terra disarmata e quindi Rete di Lilliput conferma il sostegno alla richiesta di moratoria sulla nuova base ‘Dal Molin’ a Vicenza. La raccolta di adesioni per la Moratoria vuole ricordare a tutte le forze politiche del centro-sinistra a rifiutare il nuovo progetto di guerra e l’impegno preso con gli elettori per attivare le procedure per la convocazione della seconda conferenza nazionale sulle servitù militari, come previsto dal programma dell’Unione.

Siamo di fronte all’ennesimo gravissimo atto di delegittimazione popolare visto il mancato coinvolgimento dei cittadini in scelte di così grande importanza. Il caso di Vicenza dimostra che la difesa del suolo italiano sottostà alle condizioni dettate dalla Costituzione italiane (vedi art.11) e per questo vogliamo pensare a un futuro in cui l’unica difesa sia quella popolare e nonviolenta.

È vergognoso che in due anni le spese militari del nostro Paese siano aumentate di più del 20%, raggiungendo la cifra record di oltre 23 miliardi di euro. E questo mentre ci viene detto che non ci sono i soldi per gli insegnanti di sostegno nelle scuole e il servizio civile volontario viene sempre più ridimensionato. I soldi quindi ci sono, ma il governo sceglie di impiegarli per le Forze armate piuttosto che per fare fronte ad altre necessità.

Bisogna soprattutto tener conto di due elementi: i costosissimi programmi internazionali di riarmo a cui l’Italia partecipa e il numero eccessivo di militari che compongono le Forze armate. Abbiamo oltre 185mila militari in servizio, sui 190mila previsti, e di questi più di 100mila, quindi la maggioranza, sono graduati: 25mila ufficiali e 75mila sottoufficiali, di cui oltre 63mila marescialli.
Poi ci sono i sistemi d’arma con i progetti faraonici con ambizioni da superpotenza, sperperando ingenti cifre di soldi pubblici, e poi non si hanno i soldi per carburante e pezzi di ricambio. La nuova portaerei Cavour, oppure l’Eurofighter (programma per lo sviluppo di velivoli per la difesa area) e poi il Joint Strike Fighter (cacciabombardiere, in grado di portare anche bombe atomiche). Oltre a questi costi esagerati ci chiediamo: sulla base della nostra Costituzione, che esclude la guerra, cosa dobbiamo farci di queste macchine e strutture da guerra. Chi dobbiamo andare a bombardare?
Al contrario dovremmo porre fine alla missione militare in Afghanistan, da tempo passata sotto il comando della Nato e pienamente inserita - con i rischi conseguenti - nella guerra “al terrore”.
L’Afghanistan ha bisogno di essere in pace e di essere sostenuto nella ricostruzione di una economia disastrata e poter decidere del proprio destino.AGIAMO INSIEME PER UN ALTRO MONDO! - L’appello si può firmare sul sito www.wsf2008.net

martedì 22 gennaio 2008

«Il Sessantotto, la rivincita dei giovani»


Alberoni: la sconfitta dei padri e dei tabù sessuali
Sono passati quarant'anni, ma il Sessantotto continua a far discutere. Quegli anni incredibili che la rivista Time definì «il rasoio che separò definitivamente il passato dal futuro» provocano ancora oggi profonde riflessioni. Quell'anno ha visto fiorire profonde invenzioni oppure ha dato il via a un degrado forse irreparabile? E' stato la svolta necessaria a liberare il costume e la politica dalle reti della vecchia società, oppure ha rappresentato un'epidemia di egualitarismo a tutti i costi, un'ubriacatura demagogica di cui per anni abbiamo pagato le conseguenze? E ancora: è stato l'alba di una nuova società o il soprassalto finale del vecchio mondo? Cosa resta di quegli anni che il leader maximo del Movimento studentesco milanese Mario Capanna, ha definito "formidabili"? Lo abbiamo chiesto a un altro protagonista del Sessantotto, di quel periodo fatto di utopie e di forti tensioni emotive, al sociologo piacentino Francesco Alberoni che nel 1968 era nella tana del lupo, la Facoltà di sociologia di Trento, culla di ideologie che hanno portato da un lato idee anarchiche e libertarie e dall'altro hanno acceso la miccia del terrorismo.
Professore, cosa significa oggi ricordare il Sessantotto?
«Quando si parla di quel periodo non si ricorda il 1968, l'anno che vide alcuni episodi di rivolta studentesca alla Sorbona di Parigi, alla Statale di Milano e a Valle Giulia a Roma; il Maggio Francese ha racchiuso in sé tanti movimenti pacifisti, anarchici, marxisti che si erano sprigionati già alcuni anni prima. Penso al pacifismo americano dei primi anni Sessanta, al messaggio di Martin Luther King, alle lotte contro la guerra in Vietnam, alla rivolta in Italia che prende corpo verso la metà degli anni Sessanta, attraversa le università, le fabbriche e arriva fino al 1977. E poi il megaraduno di Woodstock che è forse l'elemento più rappresentativo del Sessantotto, esprime une delle più grandi trasformazioni dal Dopoguerra agli anni Sessanta: la separazione tra i giovani e gli adulti. Il Sessantotto è il periodo in cui prende corpo l'internazionale giovanile: vengono sconfitti i padri e vengono abbattuti i tabù sessuali».
Come mai si manifesta questa separazione?
«E' il frutto del benessere che prende corpo sul sacrificio. I giovani studiano, vivono la loro condizione senza disagi particolari, cominciano ad assaporare il gusto delle vacanze estive dopo la contestazione nelle università durante l'inverno, c'è aria di cambiamento e dietro al marxismo giovanile c'è in realtà un linguaggio certamente più pregnante. Il rock che porta con sé nuovi miti e nuovi riti: i Beatles, i Rolling Stones, Janis Joplin, Jimi Hendrix e la droga. Dallo spinello all'eroina. E poi questi giovani se ne stanno lontani dalle due chiese dominanti: il Pci da un lato e la chiesa cattolica dall'altro. Questi giovani vogliono una società in cui tutto è permesso, in cui fare l'amore non per procreare ma per godere del proprio piacere. E' questa la vera rivoluzione del Sessantotto, una rivoluzione che proseguirà poi negli anni con il mutamento dei gusti e dei costumi senza perdere mai di vista il ruolo dei giovani».
Ma come: il marxismo, la rivoluzione, la contestazione?
«Vengono avanti intellettuali e filosofi come Adorno e Hockeimer di stampo squisitamente marxista ma anche intellettuali come Herbert Marcuse e Norman Brown, che per altro ho conosciuto personalmente, che teorizzano una sorta di anarchismo che confluisce nel movimento hippy. E gli hippy e Woodstoock rappresentano gli aspetti più interessanti del periodo. Da allora nulla sarà come prima. I giovani si vestiranno in modo diverso dai loro padri, accetteranno la precarietà e il precariato che sono elementi figli dell'Occidente, non faranno a meno della musica, che produce il vero linguaggio rivoluzionario della generazione che ruota attorno al Sessantotto. E saranno le canzoni a ispirare i giovani scrittori e i poeti degli anni Sessanta e Settanta. Non certamente i poeti e gli autori letti e amati dai loro padri. Sulla politica c'è molto da dire. I giovani strizzano l'occhio al Pci ma poi confluiscono nell'infinità di gruppuscoli dell'extrasinistra, da Lotta Continua a Potere Operaio, dal Manifesto al Movimento Studentesco. Si parla di rivoluzione, è vero, c'è la convinzione che l'Italia sia un Paese che finirà come il Sudamerica, si ascoltano gli Inti Illimani, ma alla fine i soli che ciecamente crederanno nella rivoluzione saranno i terroristi delle Brigate Rosse, un autentico disastro per il nostro Paese». Professore, c'è molto disincanto dietro alle sue affermazioni, come mai?
«Ho vissuto quegli anni insegnando all'università di Trento e ho poi studiato i movimenti. Quelli che ruotano attorno al Sessantotto sono movimenti che vanno alla ricerca del piacere, di una vita diversa da quella dei loro padri: certi slogan quali "Tutto il potere all'immaginazione" e "Proibito proibire", hanno attecchito tra i giovani, come dire che il Sessantotto ha avuto una "pars destruens" molto forte e molto pregnante, ma non ha saputo trasformare la protesta, la rivolta, il rifiuto dei padri e della loro morale, in politica costruttiva. E a proposito di politica, occorre sottolineare che i figli del Sessantotto oggi sono un po' dovunque: nel Pd, in An, in Forza Italia, penso a Giuliano Ferrara e a Paolo Mieli, l'attuale direttore del Corriere della Sera. Sono in gran parte classe dirigente, ma il loro potere si basa sugli affari, è privo di forza etica, di una morale. Ecco, credo che bisognerebbe inventare una morale, ma com'è possibile se chi è oggi al potere ha costruito la propria coscienza distruggendo ogni forma di morale?».
Chi sono gli eredi dei giovani del Sessantotto?
«Benché se ne dica , gli eredi sono i ragazzi di oggi, così lontani dal mondo del lavoro, così attaccati al piacere, alle pasticche di ecstasy e alla cocaina, a Vasco e a Ligabue. Non tutto ciò che è stato buttato all'aria allora ha dato buoni frutti, anzi, in molti casi è successo il contrario. Ma,inutile negarlo, dal Sessantotto è nata una società più libera, meno bacchettona ma anche più qualunquista ed egoista, proprio perché figlia del piacere e dell'anarchismo».

lunedì 21 gennaio 2008

Tempo dei Libertari? Crolla la fiducia nelle istituzioni. Sotto il 50% anche la Chiesa


Solo un quarto degli italiani ha fiducia nel governo, meno di un quinto del Parlamento. Ma la grave crisi di sfiducia che ha travolto gli italiani negli ultimi 12 mesi, attestata da un sondaggio pubblicato oggi dall'Eurispes, travolge anche le istituzioni non politiche: meno della metà degli italiani si fida della Chiesa, che arretra di oltre dieci punti, della scuola, della magistratura. Ad aver perso fiducia nella generalità delle istituzioni è la metà degli italiani (49,6 per cento). 'Tiene' solo il presidente della Repubblica, che gode ancora della fiducia di un'ampia maggioranza dei cittadini (58,5 per cento). Le percentuali sono particolarmente basse tra i giovani.

La fiducia nelle istituzioni. Il 49,6 per cento degli italiani, secondo il sondaggio dell'Eurispes, ha perso fiducia nelle istituzioni. Per il 40,7 per cento la fiducia è invariata, solo per il 5,1 per cento è aumentata. La percentuale di chi crede meno nelle istituzioni è più alta tra gli elettori di destra e di centrodestra (rispettivamente 70,5 e 60,9 per cento). Ma anche gli elettori di sinistra (43,9 per cento) e centrosinistra (39 per cento) si fidano meno. E comunque rispetto ai dati del Rapporto precedente, il senso di sfiducia degli elettori di sinistra è aumentato di 19 punti percentuali.

Governo e Parlamento. Il 75,3 per cento degli intervistati dichiara di avere poca o nessuna fiducia nel Parlamento: rispetto al 2007 si registra un ulteriore calo del 9 per cento; i fiduciosi sono il 19,4 degli intervistati. Solo un cittadino su quattro si fida del governo (nel 2007 la percentuale era del 30,7 per cento). Solo il 14,1 per cento degli intervistati dichiara di fidarsi dei partiti. Ma non sono troppo popolari neanche i protagonisti dell'antipolitica: personaggi pubblici come Beppe Grillo o Nanni Moretti ottengono un consenso di poco superiore al 20 per cento, comunque superiore al 17 per cento medio dei politici di professione.
La magistratura. Anche la magistratura si colloca sotto il 50 per cento: si fidano di giudici e procuratori il 42,5 per cento degli intervistati, più del 2007, comunque (39,6 per cento). I giovani dai 18 ai 24 anni dimostrano ancora meno fiducia nella magistratura (17,3 per cento).

La Chiesa. Tra le istituzioni non politiche scivola sotto il 50 per cento anche la Chiesa, che raccoglie la fiducia del 49,7 per cento degli intervistati (perdendo oltre 10 punti rispetto all'anno precedente). Il 41,4 per cento degli intervistati dichiara di non fidarsi di nessuno.

I carabinieri meglio della polizia. Tra le forze dell'ordine, gli italiani si fidano dei carabinieri (57,4 per cento) più che della polizia (50,7 per cento). Il 46,3 per cento ripone fiducia nella guardia di finanza.

Arretra la scuola. Arretra moltissimo anche la fiducia nella scuola, che si attesta al 33 per cento contro il 47,1 per cento del 2007. Le associazioni di volontariato riscuotono molto consenso (71,6 per cento) ma sempre meno dell'anno scorso (78,5 per cento).

Il '68 francese raccontato da Jean-Luc Godard


Al Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa

Si guarda «Le jolie mois de mai», girato in presa diretta dal regista oggi ultrasettantenne insieme ad Alain Resnais e Chris Marker
«Sul quarantennale del '68 è gia cominciato un chiacchiericcio reducistico da un lato e dall'altro un revisionismo che tende a cancellare i veri valori di quegli anni, così abbiamo deciso di partire dal film di Jean-Luc Godard, Alain Resnais e Chris Marker che è una pietra miliare nella discussione». Così Mauro Decortes, portavoce dello storico Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, presenta una vera e propria chicca per storici e cinefili, «Le jolie mois de mai», girato in presa diretta nel maggio del '68 a Parigi. Il film, copia unica in pellicola, è stato proiettato mercoledì 16 alle 21 nella sede del circolo, in viale Monza 255. Alla macchina da presa, una 35 millimetri portata a spalla nelle strade del quartiere Latino e nella assemblee della Sorbona, in quel maggio '68 si alternarono Godard, oggi ultrasettantenne regista della Nouvelle Vague, Resnais, celebre per film come «L'anno scorso a Marienbad» e Marker, uno dei massimi esponenti del cinema-verité.
VALORI - «Partiamo da questo film, intitolato in italiano "Il dolce mese di maggio" -spiega Decortes - per introdurre nel dibattito sul '68 un documento storico di riflessione su quell'anno cruciale in cui tutto cambiò nel tessuto sociale. Perché ci interessa sottolineare come valori quali la solidarietà e l'eguaglianza, che oggi qualcuno vorrebbe cancellare, furono le vere molle di quella rivoluzione che coinvolse milioni di giovani». La serata è stata introdotta da Enrico Livraghi della Cineteca Obraz, storica sala dove il film fu proiettato nel '75.

domenica 20 gennaio 2008

Chomsky: "Barack Obama? Sembra Regan".


L'intellettuale più scomodo della sinistra Usa accusa: i candidati in corsa per il 2008 sono di plastica

Barack Obama assomiglia ad uno spot pubblicitario, Hillary Clinton non va incontro a ciò che gli americani chiedono sull’Iraq, John Edwards propone una riforma sanitaria in tempi troppo lunghi ed i repubblicani seguono George W. Bush nel promuovere politiche contrarie all’orientamento della maggioranza degli elettori. È severo il giudizio di Noam Chomsky sull’inizio della campagna elettorale per la Casa Bianca 2008. Il linguista del Massachusetts Institute of Technology, voce provocatoria della sinistra liberal dai tempi della guerra del Vietnam ed autore del libro «Hegemony or Survival» innalzato dal presidente Hugo Chavez sul podio dell’Onu, affida alle pagine de «La Stampa» uno sfogo contro l’arte della politica nell’America del XXI secolo, esprimendo la speranza che «una volta ancora il popolo si batterà con successo, rendendo più democratica questa nazione».
Quali sono i valori in palio nella corsa alla Casa Bianca?«Sarebbe bello rispondere a questa domanda se il mondo fosse diverso. Nel nostro mondo le elezioni evadono gli argomenti cruciali, importanti».
Faccia un esempio...
«Nel 2004 la maggioranza degli elettori non conosceva la posizione dei candidati su questioni-chiave. Non perché si tratta di elettori disattenti ma in quanto il sistema elettorale emargina gli argomenti».
Questo vale anche per la campagna appena iniziata?
«Se leggiamo cosa dicono e scrivono i consulenti elettorali dei candidati in campo è evidente che fanno i pubblicitari: tentano di vendere un prodotto. Il prodotto è il presidente. E lo vendono come fa la pubblicità, proprio come avviene per altri prodotti tipo le auto: niente informazioni ma immagini ed illusioni per indurti ad acquistare. Fra l’altro è l’opposto di quello che dovrebbe essere un mercato: consumatori informati che compiono scelte razionali nei loro interessi. Chi fa campagna elettorale vuole invece che gli elettori siano non-informati e facciano scelte irrazionali sulla base di illusioni. È drammaticamente vero negli Stati Uniti ma anche in altre democrazie industriali, a cominciare dall’Europa. La dimostrazione più evidente di quanto dico è il fenomeno Barack Obama».
Anche il giovane senatore afroamericano dell’Illinois è prodotto pubblicitario?
«In maniera esemplare. Attorno a lui c’è grande emozione, viene descritto come un grande candidato, una grande speranza. E lui cosa dice? "Dobbiamo avere speranza", "Superiamo il cinismo", "Trasformiamo l’America", "Svegliamo l’America" e così via. Sembra Reagan. Tentare di capire cosa vuole fare è davvero difficile. Ho ascoltato 20 minuti di programma su Obama alla Radio Npr, una emittente liberal ed intellettuale, e non ha detto nulla in merito ai programmi».

Che cosa manca ai candidati?
«Tutti dicono di avere fede ed amare i bambini ma non spiegano con quali provvedimenti vogliono realizzare ciò che la gente chiede con chiarezza quando risponde alle domande dei sondaggi: riforma della sanità pubblica, ritiro dall’Iraq, diritti dei lavoratori, integrazione economica».
In realtà John Edwards ha esposto un programma molto concreto per battere la povertà, spendendo 15 miliardi di dollari l’anno. Non le pare?
«Edwards è l’unico candidato che finora ha espresso dei contenuti. Non solo sulla lotta alla povertà ma soprattutto sull’assistenza sanitaria. Abbiamo la sanità più carente del mondo industrializzato ed è la causa di un tasso di mortalità infantile ai livelli della Malaysia».
Anche Hillary Clinton batte su questo tasto...
«L’unico è Edwards ma è interessante il fatto che la sua proposta non vada nella direzione chiesta dalla maggioranza dei cittadini, ovvero l’assistenza sanitaria universale, perché vuole semplicemente estendere l’attuale sistema di benefici. Edwards vuole arrivare nel lungo termine a quanto la gente chiede di avere subito. È un ulteriore dimostrazione di come la democrazia in America non funzioni. Nessuno propone ciò che la gente vuole. Clinton? Quando dieci anni fa propose la riforma si trattava di un sistema che salvava le assicurazioni private rimanendo dunque inefficiente».
Con l’afroamericano Obama, la donna Hillary e il mormone Romney queste elezioni si presentano come il volto di un’America dalle molte identità. Quale sarà l’impatto?
«Scarso, perché sono candidati con identità diverse ma che condividono un approccio simile ai programmi.
Prendiamo un altro tema centrale per gli americani, quello più importante nella politica estera: il ritiro dall’Iraq. Nessuno dei candidati in campo dice che vuole ritirare tutte le truppe. Se Bush ed i repubblicani vanno nella direzione opposta agli americani sostenendo l’invio di rinforzi, l’alternativa Baker-Hamilton è molto debole su cosa fare, Barack Obama è assai vago sul ritiro e gli altri democratici latitano. Prendiamo un altro tema, l’Iran: due terzi degli americani vogliono una soluzione solo diplomatica. Chi fra i candidati lo sostiene? Nel marzo 2004 Zapatero fu eletto in Spagna chiedendo di porre le truppe spagnole sotto comando Onu ma anche in America lo pensava la maggioranza degli americani solo che nessun leader lo sostenne».
Perché a suo avviso i leader politici, repubblicani o democratici, non prestano attenzione alle richieste degli elettori?
«Perché entrambi i partiti sono situati molto a destra dell’opinione pubblica. La classe politica è impossibilitata ad affrontare le richieste della base perché non le condivide. Vuole un altro esempio? Ricerche di opinione condotte in maniera scientifica, molto accurata, attestano che la maggioranza degli americani ritiene che il governo dovrebbe rinunciare al diritto di veto all’Onu, accettare il Tribunale penale internazionale e seguire gli orientamenti politici della maggioranza dell’Assemblea Generale. Quale leader politico lo sostiene? E ancora: due terzi degli americani da 30 anni sono a favore della ripresa dei rapporti diplomatici con Cuba ma è un’ipotesi della quale neanche si osa discutere».Insomma, la democrazia in America non funziona...
«È disegnata per non funzionare. Consente ai politici di governare grazie ai loro elettorati e agli opinon-makers di guidare il dibattito, al fine di conservare i capitali privati».
Quale la via d’uscita?
«La democrazia può migliorare se riuscirà a ripristinare l’efficacia delle elezioni, degenerate fino a diventare campagne pubblicitarie. Le battaglie per i diritti delle donne, delle minoranze, dei sindacati, della libertà di parola sono riuscite in passato a migliorare l’America ma al prezzo di grandi battaglie e sacrifici. La classe politica odia la democrazia, in America come in Europa, vuole solo governare e lo strumento per farlo è la definizione dell’interesse nazionale».
Insomma non si aspetta molto dal voto del 2008...
«È presto per dirlo. Sono ottimista sulla possibilità che la gente impegnandosi possa riuscire a trasformare l’America in una democrazia più solida, disinnescando il sistema di autoconservazione delle elites».

Allontanare i genitori dalle menzogne il vero pericolo


Genitori, il problema non è il porno
Se davvero il problema risiedesse nel porno, saremmo tutti in un grande pantano. Poiché c’è più porno che mai là fuori.
E c’è più isteria che mai sul porno. È un “PornPanic“, (siamo) stufi di una macchina da guerra operante 24 ore su 7 giorni composta da sedicenti gruppi “per la moralità”, trasmissioni sul crimine, gruppi di estremisti di destra in TV, neo-femministe disorientate così come di quotidiane storie di mogli e mariti i cui rapporti s’incrinano nel prosperare dei siti porno.In America, ad esempio, ha appena avuto termine la settimana del WRAP (nastro bianco contro la settimana della pornografia) (usato come simbolo di consapevolezza sulla settimana della pornografia, finchè i rivenditori del porno non hanno cominciato ad usarlo come strumento di marketing per aumentare le vendite. Siamo insomma in pieno teatro di guerra degno di Paul Krassner).
Come per tutti gli sforzi dell’antiporno, l’obiettivo del WRAP è di spaventare la gente, particolarmente i genitori, su un presunto mostro che inavvertitamente starebbe invadendo la nazione e sui presunti danni che ciò starebbe comportando.
L’ultima settimana, lo sponsor “Moralità nei Media” (MIM) ha presentato la tipica miscela di fatti e finzioni:
* (MIM) Fatti: Il porn è quasi dappertutto, molte persone ne consumano, e molte coppie gravate da rapporti sessuali poveri vedono un uomo che utilizza il porno. Ciò è vero. Dunque?
* (MIM) Finzioni: Gli uomini che guardano il porno commettono violenza sessuale contro donne ed bambini; uomini in spaventose relazioni sono stati sedotti dal porno; la maggior parte del porno ritrae violenza; guardare il porno fa pensare cose errate a riguardo delle donne; No, queste sono bugie. Non opinioni, b-u-g-i-e.

Le forze antiporno sono poi particolarmente pericolose quando parlano dell’esposizione dei bambini al porno. Non vi è ALCUNA prova che vedere dei seni nudi o coppie in atteggiamenti sessuali arrechi loro del danno; ancora meno provato è che la visione di immagini con tali soggetti sia loro dannosa. Quattro generazioni di bambini europei hanno trascorso le loro estati sulle spiagge topless e visto il sesso in TV senza diventare affatto peggiori dei nostri bambini (americani), ossessivamente protetti persino da un semplice sguardo ai capezzoli.
Dunque, genitori: il porno è un pericolo per i vostri bambini?
NO.
A meno che si pensi che i bambini siano matti e che siano danneggiati anche se solo inciampano sul porno, vederlo non li danneggerà. Se sono molto giovani lo ignoreranno; gli adolescenti più giovani ne andranno in ricerca da soli; gli adolescenti più maturi o ne otterranno una certa eccitazione oppure spegneranno del tutto e andranno avanti normalmente con la loro vita culturale (telefoni cellulari, tatuaggi, e quel rumore che chiamano musica).

Ecco invece cosa è pericoloso per i vostri bambini:

* L’idea che la loro sessualità è una cosa cattiva
* Che non dovrebbero parlare del sesso
* Che Dio o Gesù o voi conoscete e giudicate le loro fantasie sessuali
* Che i profilattici non funzionano
* Che c’è un sacco di gente fuori desiderosa di rapirli o toccarli nelle zone erogene


Questi pericoli non sono teorici, sono reali. Essi ci conducono alla vergogna, al senso di colpa, alla rabbia, alla confusione ed al terrore. E conducono a gravidanze indesiderate, al timore dell’intimità, all’incapacità di comunicare e al pensare che la sessualità sia un problema che sta insidiando le loro vite.
E conducono ad un maggior pericolo: quello di genitori che non vogliono discutere onestamente sul sesso con i loro ragazzi, perché si sentono presi dal panico sull’intero argomento.
Ci sono maniaci là fuori, persone che desiderano danneggiarne altre. Fortunatamente, non sono tanti. Naturalmente, quando i canali TV, show notturni e il vostro quotidiano locale ossessivamente si concentrano sui crimini sessuali, è difficile ricordarsi che quei maniaci sono una stretta minoranza.
Ed è duro ricordare che il tasso dei crimini sessuali (negli USA) è andato diminuendo ogni anno dal 1993.
È spaventoso pensare che la maggior parte degli adulti che hanno contatti sessuali con i bambini siano loro conoscenti. Non sono sconosciuti che incontri agli angoli delle strade con la (classica) caramella. E non sono nelle chatroom di Internet facendosi passare per adolescenti.
Sono persone fidate per entrambi: genitori e bambini.
È così spaventoso pensare a questa realtà che la maggior parte dei genitori preferisce concentrarsi su spaventosi sconosciuti, anche se la minaccia reale è bassissima.
Attualmente, qui non sono i bambini i più vulnerabili. Sono i genitori spaventati i più vulnerabili a essere danneggiati dagli sconosciuti (associazioni antiporno, ed altri che passano la loro vita a mentire e/o spaventare i genitori).
Allontanare i genitori da tali menzogne, e aiutarli a nutrire i propri bambini con le informazioni, le rassicurazioni, proteggendoli dalla propaganda antisesso: questo è oggigiorno realmente pericoloso.

del dr.Marty Klein

Il 68 europeo visto dagli Usa aveva già i colori del declino


di Giuseppe Pennisi
Premessa. Ricorrono quaranta anni dal 1968. In Italia, ed in certa misura in Francia, sono programmate varie iniziative per ricordare gli avvenimenti di quell’anno che, per molti aspetti, hanno segnato la vita (e le carriere) di molti di coloro che oggi anziani sono in posizioni di rilievo. Non si programmano (che io sappia) importanti manifestazioni in Germania, dove, in particolare all’Università di Francoforte, del “Sessantotto” vennero poste le premesse e formulata una teoria; non per nulla, alcuni dei leader del “maggio francese” erano tedeschi.
Non parteciperò alle iniziative in programma per vari motivi. Per uno soprattutto: a 25 anni, ero un graduate student italiano negli Stati Uniti (a Washington D.C.) in un’università internazionale, la School for Advanced International Studies (Sais) della Università Johns Hopkins. Quindi, unitamente ai miei altri due colleghi italiani (oggi ambedue Ambasciatori d’Italia), nonché ad altri giovani europei che completavano il ciclo di studi alla Sais, vidi il “Sessantotto” europeo con il cannocchiale, mentre ebbi modo di osservare da vicino il “Sessantotto” Usa. Sotto il profilo personale, ero privilegiato (rispetto ai colleghi europei) in quanto in un periodo in cui a Washington la stampa italiana arrivava in ritardo e poteva essere acquistata solamente in un negozietto di pubblicazioni internazionali (spesso nascosta dietro riviste porno francesi o latino-americane), collaboravo regolarmente con “Il Sole-24 Ore” e lo ricevevo via aerea. Quindi, anche gli altri due italiani ed i colleghi che leggevano italiano avevamo più informazioni di quelle (scarse) che arrivavano sul “New York Times” e sul “Washington Post”.
Il “Sessantotto” inoltre è stato per me soprattutto anno di avvenimenti personali importanti; in febbraio incontrai la persona che da allora è mia moglie, ci sposammo in agosto in Provenza ma (dato che lei è francese) ci trovammo a Parigi all’inizio di giugno, proprio mentre infuriava quella che viene ricordata come la “battallie de l’Odéon”. Vinsi, in aprile, un concorso in Banca Mondiale dove presi servizio a metà settembre. Queste vicende private si intrecciavano più con il “Sessantotto” degli Stati Uniti, Paese in cui ho vissuto per oltre tre lustri e puntavo necessariamente gli occhi più su ciò che mi circondava che su ciò che richiedeva inforcare un cannocchiale.
Il Sessantotto americano. Molti dimenticano che in parallelo con il “Sessantotto” europeo, ci fu un “Sessantotto” americano. Iniziò convenzionalmente il 21 ottobre del 1967 con la marcia al Pentagono di un milione di persone, gestita principalmente dalla Students for a democratic society (Sds - organizzazione che allora si proponeva il rinnovamento della società Usa) ed ebbe come suoi momenti importanti: in aprile, l’assassinio di Martin Luther King e successivamente i moti che misero a ferro e fuoco la capitale ed altre città americane, in maggio l’omicidio di Robert Kennedy e in parallelo l’annuncio del Presidente Lyndon Johnson di non ricandidarsi alla Casa Bianca, nonché in estate la difficile contesa per la scelta del candidato del Partito Democratico (con i disordini al Lincoln Park a Chicago), in novembre la vittoria (a larga maggioranza) di Nixon nelle elezioni alla Presidenza della Repubblica. Due i temi di fondo del “Sessantotto” americano: la guerra in Vietnam e il non facile completamento del processo di integrazione razziale richiesto dalla normativa sulla “Grande Società” approvata alla metà degli Anni 60.
Paradossalmente, i teorici tedeschi del “Sessantotto” (in primo luogo Hebert Marcuse, negli Usa dal 1930 ma in stretto contatto con la maggiore università sulle rive del Meno) e gli intellettuali francesi vicini al “maggio” (quali Edgard Morin e Jean-François Revel, a cui si giustapponeva l’ironia di Romain Gary, due volte Premio Groncourt ed allora console generale di Francia a Los Angeles - nonché sposato con un attrice che si definiva appartenente alla sinistra radicale) guardavano agli Usa , in particolare alla California, come al modello di società libera e moderna (“senza Marx e senza Gesù”, secondo il titolo di un saggio di successo di Revel) a cui avrebbe dovuto aspirare l’Europa vecchia, parruccona e polverosa. Alcuni di loro leggevano avidamente un settimanale che si produceva a Washington D.C. (la redazione era in un piccolo appartamento di Thomas Circle), il “Quicksilver Times” – il “Times dell’Argento Vivo” che con articoli frizzanti e foto di nudi integrali era diventato uno dei vessilli del Sessantotto “made in Usa”.
In Europa e in Italia in particolare, si usava e si usa, mitizzare il “Sessantotto” Usa dipingendolo con tratti analoghi a quelli dei miti costruiti sui “Sessantotto” del Vecchio Continente (quello nostrano in primo luogo). Lo si tratteggia come pacifista in quanto contrario all’intervento in VietNam. E’ un’immagine che non ha riscontro nella realtà. L’opposizione alla guerra nel Sud Est asiatico sarebbe cresciuta soprattutto negli anni Settanta (a ragione dell’inconcludenza del conflitto e delle sempre maggiori perdite), ma nell’ultimo scorcio degli Anni Sessanta, accanto ad un movimento di opposizione alla guerra, ma non necessariamente alla presenza Usa nel Sud-Est asiatico (quello, ad esempio, della marcia del 21 ottobre 1967), c’erano un vasto strato di “sessantottini” che vedevano la vittoria delle libertà contro il comunismo in Asia come elemento essenziale per affermare maggiori libertà (per gli afro-americani, per gli ispano-americani, per le fasce a basso reddito) nella stessa società americana. In tal senso, i “guerrafondai” erano “sessantottini” alla stessa stregua dei pacifisti, si vestivano e si comportavano allo stesso modo, partecipavano agli stessi parties dove gli happenings o lo streaking (allora di moda) erano talvolta ai confini con l’orgia. Molti colleghi americani alla Sais partirono volontari alla volta del Vietnam: uno, patriota di ferro per tutta la vita, ha successivamente fatto la sua intera carriera alla Cia ed è padrino di nostra figlia; un altro, vincitore di numerosi premi di giornalismo, è stato sei settimane prigioniero dei Viet-Cong e, riuscito a scappare, è tornato a Saigon come corrispondente del “Washingon Post”, restando immortalato nella foto del reporter attaccato all’elicottero che lascia l’Ambasciata Usa il giorno della caduta della capitale del Vietnam del Sud.

Il cannocchiale sul Sessantotto europeo. I “settantottini” americani si interessavano, necessariamente, più ai problemi del loro Paese che a ciò che stava avvenendo in Europa, malgrado che i miei colleghi Usa fossero un campione molto particolare: non solamente erano impegnati in un programma di studi internazionali, ma parlavano tutti o francese o spagnolo (oltre all’inglese e spesso altre lingue, anche orientali). Una cinquantina di loro parlava italiano anche in quanto aveva passato un anno accademico al Bologna Centre della Johns Hopkins University. Il “Sessantotto” europeo veniva da loro percepito come un episodio dell’ormai lungo ma inevitabile declino dell’Europa ( che pure era, allora, il secondo pilastro dell’Alleanza e della Comunità Atlantica e veniva invitato ad acquistare obbligazioni del Tesoro Usa, i “Roosa Bonds”, dal nome del Sottosegretario americano, per saldare i conti degli Stati Uniti con il resto del mondo).

Anche se gli “europei” alla Sais (una ventina – austriaci, belgi, francesi, inglesi, tedeschi, ed i tre italiani, me compreso) contro-argomentavano che si trattava invece di un segno di modernizzazione, con il senno del poi occorre dire i nostri colleghi americani non avevano tutti i torti. Il “Sessanta” fu, al tempo stesso, la svolta verso il declino e la svolta verso un lungo processo di perdita di produttività comparata dell’Europa rispetto sia agli Stati Uniti sia all’Asia (che allora cominciava a galoppare, ma pochi se ne accorgevano). In privato, sulle sponde del Potomac, si condivideva, infatti, l’analisi di molti coetanei americani che studiavano nella medesima università. Ricordo, in particolare, le preoccupazione di un collega tedesco (che ha successivamente seguito una carriera bancaria nella Repubblica Federale ed in parte negli Usa) non tanto per ciò che avveniva nella Repubblica Federale (e che si sarebbe presto spento, nonostante l’attività di alcuni gruppi terroristi sino alla seconda metà degli Anni Settanta), ma per gli “avvenimenti” in Francia dove, a suo parere, si metteva a repentaglio il riassetto dell’amministrazione dello Stato in corso di realizzazione (nella prima parte della Quinta Repubblica) e soprattutto si indeboliva un management imprenditoriale che (allora) era il più moderno ed il più innovativo in Europa occidentale. Timori analoghi veniva espressi da colleghi belgi, olandesi ed austriaci (i cui Paesi, soprattutto l’Austria, sono stati solamente sfiorati dal Sessantotto). Noi tre italiani accoglievamo con incredulità le notizie che venivano dalla Francia trovando anomala e di breve durata l’alleanza di studenti ed operai, come punta del rinnovamento (tema di un libro di Maria Antonietta Macciotti pubblicato all’inizio degli Anni Settanta): gli studenti francesi erano, a nostro giudizio, tra i più privilegiati al mondo – a ragione della carriere brillanti che si schiudevano automaticamente a coloro che frequentavano “les grandes écoles” e del carico relativamente leggero per coloro che invece andavano nella Facultés (in ogni caso con rette universitarie più figurative che nominali). Maggio (il mese dell’esplosione del “Sessantotto” francese) era comunque per noi periodo di esami finali dopo due anni di studi post-universitari, di colloqui con potenziali futuri di lavoro (li organizzava la stessa Sais con le maggiori multinazionali, specialmente del settore finanziario), di preparazione a concorsi (per coloro che li avrebbero fatti nei loro rispettivi Paesi), di scelte di vita (come il matrimonio). Gli “évenements” francesi, quindi, venivano visto con distacco e distanza; quelli italiano sarebbero scoppiati alcuni mesi più tardi – in effetti nel 1969 ed ha la data convenzionale del suo inizio al 12 dicembre di quell’anno, l’eccidio di Piazza Fontana con cui cominciò “la notte della Repubblica”.

C’era comunque qualcosa che ci interessava molto. I colleghi francesi si procuravano copie della stampa del “Sessantotto” nella loro Patria. Il lessico, il linguaggio era straordinariamente involuto e, per certi aspetti, di difficile comprensione. Ciò non poteva attribuirsi unicamente o principalmente al fatto che tra noi la “lingua franca” era l’inglese (notoriamente lineare, semplice e secco). Una componente era verosimilmente il fatto che i “sessantottini” del maggio francese avevano difficoltà a comunicare le loro idee, le loro strategie (ove fossero esistiti) e soprattutto i loro programmi (ove ci fossero stati). Una difficoltà che contrassegnava confusione di pensiero più che di parola.

Ebbi pure io un contatto diretto con il “maggio” francese. Rientrando in Europa (con la mia futura moglie) ci fermammo a Parigi mentre viaggiavamo alla volta della Borgogna (dove andavo a farmi conoscere dai suoceri). Venimmo ospitati dal prozio di mia moglie che allora aveva un appartamento sull’Ile Saint Louis: vedevamo gli scontri tra dimostranti e forze dell’ordine nel quartiere latino, era in corso la “battaglia dell’Odéon”; dai giornali ci sembrava difficile comprendere cosa volesse chi (in breve quale fosse il nolo del contendere). Soprattutto trovammo fastidioso (nonché faticoso) arrivare a piedi (e con le valigie) alla Gare de Lyon (oggi Gare Bercy) - da dove andavamo in Borgogna - a ragione di uno sciopero di tutti i mezzi di trasporto. Ci fu, però, un curioso aspetto positivo: il sindaco di Colonzelle (piccolissimo comune della Provenza occidentale) ci sposò “sulla parola” (a causa di uno sciopero al Comune di Roma i documenti che mi riguardavano arrivarono con numerosi mesi di ritardo rispetto alla data delle nozze) sia a ragione del clima libertario (si era nell’agosto 1968) sia in quanto in dieci anni nelle vesti di primo cittadino non aveva celebrato alcun matrimonio (a causa dell’invecchiamento dei concittadini e del progressivo spopolamento del villaggio).
Epilogo Dall’autunno del 1968 (rientro negli Usa per prendere servizio in Banca Mondiale), presi raramente il cannocchiale per guardare al “Sessattotto” italiano: l’autunno caldo, i primi cenni di terrorismo erano rumori di fondo per una giovane famiglia che viveva negli Usa in cui nasceva la nostra prima figlia ed il lavoro portava me per diversi mesi l’anno in Estremo Oriente (dove il “Settantotto” italiano era ancora più lontano). Le vacanze in Italia (ed in Francia) erano una corsa da congiunto a congiunto per farsi vedere e mostrare la prole (normale per chi vive all’estero). All’inizio dell’estate del 1972, passai tre settimane in Italia. Si era nella “notte della Repubblica”, ma non lo avvertivo. Dopo ormai cinque anni negli Usa, Roma mi sembra délabrée e malmessa in un’atmosfera da Europa centro-orientale. Incrociai Adriano Sofri, che avevo conosciuto ai tempi dell’Università in quanto frequentavamo lo stesso stabilimento balneare. Ci parlammo senza che l’uno capisse quello che diceva l’altro; il “Sessantotto” – dissi a me stesso – era stato un potente strumento di incomunicabilità. Il ricordo mi tornò al 1968 alla Sais- al Professore di Economia Internazionale Isiah Frank (morto quasi centenario pochi anni fa e docente brillante sino all’età di 90 anni). Iniziava qualsiasi lezione con un cordiale “Buon giorno a tutti” e la terminava (anche dopo le spiegazioni più astratte) con “Arrivederci e soprattutto non fatevi mai illusioni!” . Adriano ed altri -pensai - se ne erano fatte. A sproposito.

Come va il Blog

ShinyStat™ - Statistiche Account domenicol: "Ultime 15 visite

Ore 2.48 del 20 gennaio 2008, proviamo a lanciare qualche statistica sulle visite al blog:
Nelle ultime 15 visite (da vedere in ultime 15 visite) riveliamo che abbiamo avuto visite anche dall'università di Roma La Sapienza e dall' università di Rotterdam.
Il numero delle visite è abbastanza buono. Collegamenti al blog anche da paesi dell'Unione Europea come la Spagna o l'Olanda e la Finlandia, un collegamnto anche dall'Asia e uno dal Senegal. Ad un paio di mesi dalla creazione di questo blog ritengo stia andando abbastanza bene.
Un grande saluto libertario,
Domenico Letizia.

sabato 19 gennaio 2008

I Libertari - Italiani e gli omosessuali


Omossessuali si nasce o si diventa?
La regione toscana ha recentemente pubblicato una campagna a difesa dell'orientamento sessuale degli individui. Il dibattito si accende sui quotidiani giocando anche, in parte sull'equivoco generato dall'immagine di un neonato con al polso un cartellino che lo identifica come omosessuale appunto, fin dalla nascita. La domanda nasce spontanea: l'orientamento sessuale degli individui è innato, o no? Viviamo fortunatamente ad un livello di civiltà tale per cui è possibile discutere di questo argomento in buona libertà. Cogliendo magari l'occasione per scrollarci di dosso antichi pregiudizi e cercando di dare alla domanda una risposta esclusivamente laica, razionale e scientifica. Viene semplice ragionare per esclusione. Si puo escludere certamente pensare che un qualsiasi orientamento sessuale possa essere considerato una malattia. Trovo condivisibile anche il rigetto dell’idea che possiamo aver avuto in passato che una minoranza avente orientamenti sessuali differenti dalla massa, potesse rappresentare un pericolo per la auto-proclamata ‘normalità’. Sembra che i dati scientifici delle ricerche fatte in proposito non riescano ad avallare pienamente una ipotesi di orientamento sessuale innato. Cito alcuni dati letti sul giornale di oggi:” l’ipotesi secondo cui qualcuno nasce omosessuale è stata formulata nel 1897 da Magnus Hirschfeld ma non è mai stata dimostrata. Il biologo Simon Le Vay, ripetutamente indicato come scopritore del fondamento genetico dell’omosessualità, ora dichiara di «non avere mai asserito questo». Gli studi sui gemelli di Bailey e Pillard, che avrebbero dovuto dare la prova finale che omosessuali si nasce, hanno concluso che questa prova non c’è. I dati più recenti di Dean Hamer, celebrato come lo scopritore del cosiddetto «marcatore omosessuale», sottolineano che oltre il 70% degli omosessuali non presenta tale «marcatore»”. Questo però non esaurisce la nostra curiosità, perché continuiamo a chiederci…E fosse invece solo una predisposizione genetica, unita alle esperienze della vita a generare l’orientamento sessuale? La scienza ad oggi sembra indicare proprio questo: cito “….si può parlare in «casi singoli» di una «predisposizione », ma non di una determinazione genetica comune e irrevocabile. L’educazione e la socializzazione sembrano i fattori cruciali.” In fondo cambia qualcosa? L’orientamento sessuale non è innato ma esiste una predisposizione genetica condizionabile dall’ambiente. Non cambia niente. L’uomo, che non è nocivo agli altri individui, è libero di fare e essere ciò che vuole. Affrontando l’argomento, in fondo, quello che rimane di veramente interessante e formativo per noi è che è giunto il tempo di buttare nel cassonetto un bel numero di pregiudizi che hanno occupato la nostra testa per centinaia di anni. Questa consapevolezza ci rende più liberi.

“Le 9 vite di Nestor Makhno”


L'esercito di Makhno buca gli schermi russi.
A volte può capitare che i sogni si realizzino nel loro opposto. Nell'estate del 2006 sugli schermi della TV russa è andato in onda un film a puntate su Makhno e la makhnovšcina [il popolare movimento contadino libertario in Ukraina, che agì durante la Rivoluzione Russa del 1917-1921 combattendo contro le Guardie Bianche filo-zariste, contro i nazionalisti Ucraini e contro i Bolsceviki]. I produttori del film – ed ancor più il promo TV – promettevano che sarebbe stato "il primo film veritiero sulla figura di Makhno", con cui si sarebbe finalmente onorato un uomo, su cui si era molto mentito nell'URSS, ma che il popolo non aveva mai dimenticato.
Il film "Le 9 vite di Nestor Makhno" (Devyat' Zhiznei Nestora Makhno) è con tutta probabilità la più lunga biografia di un anarchico mai apparsa sugli schermi. Divisa in 12 puntate, la fiction è stata girata in Ucraina nel 2005, ma per qualche ragione è stata trasmessa sulla rete pubblica russa Canale 1 solo nell'estate 2006. Prima ancora, tuttavia, il film era disponibile su un DVD pirata ed aveva fatto scalpore. Poco prima che la TV lo mandasse in onda e che uscisse il DVD "autorizzato", erano stati pubblicati due volumi col copione del film.

Quando il film è andato in onda nel luglio 2006, ha avuto un ampio successo TV. Ciò si spiega solo in parte con la massiccia pubblicità, mentre è vero che si trattava del primo film mai dedicato a Makhno (sebbene il suo personaggio fosse apparso come "ragazzo cattivo" in ruoli marginali nei film dell'epoca sovietica). La televisione russa trasmette un sacco di fiction a puntate – infatti è una delle TV più noiose oggi giorno – ma nessuna di quelle fiction ha ricevuto una simile audience come il film su Makhno. La qualità delle soap opera è spesso molto buona, ma in questo caso i telespettatori sono stati molto coinvolti dalla storia in sé.

E' il caso di citare una delle recensioni, che spesso sono state molto positive: "In questa serie TV l'idea anarchica, così come la interpretava Makhno, appare come la più pura e la più etica fra tutte le idee che attraversavano il popolo russo in quei tempi burrascosi". Neanche vi immaginate su quale giornale sia apparsa tale recensione. Si tratta infatti della "Krasnaya Zvezda" (Stella Rossa), il giornale del Ministero della Difesa russo!

Diversi mesi dopo la trasmissione della serie TV, ci sono ancora dibattiti sul film su Internet – e non solo sui media o sui blogs, ma anche sui siti anarchici e di sinistra. Molto spesso i giudizi sul film non derivano dalle opinioni politiche dei critici – dal momento che risulta piacere sia agli anarchici che ai loro più aspri detrattori. I giudizi variano dalla più totale simpatia ed accettazione del film a recensioni molto critiche e del tutto negative.
Quel che è triste e fuorviante, tuttavia, è che il film spesso non aiuta la reale comprensione delle tendenze interne alla rivoluzione russa ed alla guerra civile, non esclusi lo stesso Makhno e gli anarchici che vi sono rappresentati. A volte persino gli anarchici si sono fatti affascinare dal ritratto "fortemente empatico" che il film fa di Makhno, rifiutando di vedere come in questo modo si creano ancora più miti e false concezioni su questo eroe anarchico.
In base alla mia modesta opinione, "Le Nove vite di Nestor Makhno" è una serie TV di scarsa qualità simile alle tante altre fiction che girano sulla TV russa. Le produzioni in serie sono gestite in base a rigidi criteri di budget – girare a costi bassi e in tempi brevi (e questa è una delle ragioni del perché il film è stato girato in Ucraina, dal momento che lì i costi di produzione sono molto bassi). Inoltre è una costante che gran parte del budget se ne va via per le spese di pubblicità e di promozione. Un'altra conseguenza delle limitazioni imposte dal budget si rinviene nella poco convincente ricostruzione storica – dai costumi alle poco realistiche scene di battaglie, ai carri armati. E tuttavia tutto ciò non sarebbe stato un disastro, se solo la storia fosse stata raccontata correttamente, ma nei fatti gli autori del copione sono riusciti a mettere insieme verità e falsità storiche sulla vita di Makhno. Probabilmente l'unica grande bugia su Makhno che non compare nel film è che sia lui che i Makhnovisti fossero antisemiti.
Posso dire che gran parte della recitazione nel film è molto scarna e che i registi del film non sono riusciti a dargli consistenza storica – dal momento che gli anarchici, i Bolsceviki o i nazionalisti Ucraini vengono rappresentati in una veste "comica" , mentre la nobiltà russa, le Guardie Bianche e la polizia politica zarista appaiono più "seri" (e gli ebrei vengono rappresentati come un misto di personaggi comici e tragici vittime del turbinio della guerra civile). In breve, siamo davanti ad uno stereotipo politico, che risale al cinema ideologico sovietico, e che si può molto facilmente riconoscere nel film – mischiato con qualche novità – eppure ancora presente.
Tuttavia, ho molto spesso avuto la sensazione che il film fosse veramente epica rivoluzionaria riconosciuta. Infatti, sebbene i registi mostrino spesso Makhno ed i suoi rivoluzionari come tipi divertenti, mai essi vengono dipinti come dei pessimi soggetti. Si mostra Makhno ed i suoi come non abbastanza saggi da comprendere la "grande politica", ma almeno non vengono dipinti come malefici assassini ed appiccatori di pogroms. Sarebbe sbagliato dire che i produttori del film puntavano a dare una visione storicamente corretta, bilanciata ed imparziale della makhnovšcina. In realtà si tratta soprattutto e per prima cosa di uno show da intrattenimento per fare audience.
I personaggi storici nel film appaiono perlopiù come delle caricature. Makhno, interpretato dall'attore Pavel Derevyanko (a volte la recitazione non è male, ma molto spesso è sotto tono), è un misto di giovanotto dal cuore gentile e di rivoluzionario non tanto intellettuale, carne e sangue del suo popolo. Egli non brilla abbastanza nei discorsi intellettuali, ma sa capire il suo popolo a cui sa dire veramente le parole giuste per condurli alla lotta popolare contro ogni genere di oppressori. E' un uomo pragmatico, ma non è uno stronzo, ed inoltre è pieno di saggezza contadina. Il Makhno messo in scena in questo modo può risultare diverso dal Makhno "storico". Ma non era forse Makhno fatto proprio così in fondo? Nel film viene mostrato a volte come un tipo psicotico, come un bevitore accanito o come un desperado rivoluzionario, ma lui resta sempre "il bravo ragazzo".
Anche gli altri tanti personaggi storici che affollano il film non somigliano molto all'originale storico. Aršinov, il famoso militante e storico della makhnovšcina, un rivoluzionario di professione che sapeva veramente come rapinare le banche ed uccidere gli sbirri, nel film diventa il sognatore anarchico imbranato che compariva nei film dell'epoca sovietica, totalmente a disagio in un mondo intellettuale. Per qualche ragione Vsevolod Volin è completamente assente nel film. Kropotkin appare solo per poche sequenze, ma come un tipo del tutto lunatico, ossessionato dai suoi libri ed incapace di accorgersi della presenza di Makhno. Lenin, che Makhno incontrò a Mosca, è un tipo piuttosto noioso con la voce della concreta "saggezza" politica in contrapposizione sia col romanticismo rivoluzionario di Makhno che con la "grettezza" contadina. Mentre Trotsky viene giustamente presentato come un malevolo ed aspro oppositore della makhnovšcina, ha però molto del demone da cartoni animati, più che del dittatore opportunista quale egli era.
I comandanti in campo di Makhno sono perlopiù invenzioni dei registi – a rappresentare le diverse tipologie psicologiche necessarie a coinvolgere i telespettatori, e risultano molto abbozzati rispetto al loro prototipo. Ma soprattutto è la recitazione che gioca un ruolo decisivo nel rendere un personaggio simpatico o no. Per esempio, Leva Zadov, capo della "polizia politica" di Makhno nonché personaggio molto contraddittorio, nel film appare come un ragazzo carino ed anarchico leale. Il capo di stato maggiore di Makhno, Viktor Belaš, è un tipo di rivoluzionario operaio e simpaticone, ma gli autori del film gli hanno cambiato il nome in Cernyš, probabilmente per creare un collegamento scenico alla bandiera nera dell'anarchia ("cerny" in russo significa nero, mentre "bely" vuol dire bianco).
Anche gli eventi storici non sembrano molto fondati nel film. Se la rappresentazione della makhnovšcina è in generale abbastanza corretta, ci sono nel film alcune importanti questioni che vengono stravolte. Gli autori simpatizzano non poco per i Bolsceviki, dipinti ancora come portatori di saggezza politica nel governo delle cose (e tuttavia, non sono allo stesso tempo essi stessi quei demoni istigatori di una rivoluzione sanguinaria e di una guerra civile, come la propaganda nella Russia odierna continua a ripetere?). La difficile alleanza tra i Bolsceviki ed i Makhnovisti contro i Bianchi viene rappresentata nel film dal punto di vista dei Bolsceviki. Alcuni eventi importanti sono stati omessi, come la battaglia di Peregonovka, che fu la batosta più grossa per i Bianchi e che per certi versi decise il seguito della guerra civile in Russia, mentre altri eventi – come l'omicidio della prima moglie di Makhno e di suo figlio da parte degli anarchici per far entrare Makhno in politica – sono pure invenzioni dei registi per creare un effetto da thriller!La mancanza di una minima consulenza storica appare del tutto evidente in alcune parti del film. Le prigioni zariste ed i reclusi sembrano essere della Russia di oggi. Makhno a volte fa delle strane uscite xenofobe sugli americani, i cinesi o gli estoni – un evidente tentativo dei registi di fare un collegamento con la politica contemporanea, che però suona molto ridicolo.. Uno dei comandanti di campo di Makhno canta persino un paio di versi di una canzone punk russa degli anni '80 che si chiama "Black Flag", invece di cantare un canto anarchico con lo stesso nome ed ormai dimenticato!
Molte discussioni che avvengono nel film parlano del progetto anarchico. Ma sfortunatamente per i telespettatori, non se ne capisce niente. Ci sono molte sequenze nel film in cui gli anarchici cercano di spiegare il loro progetto, ma il tutto si riduce a dialoghi costruiti sostanzialmente senza costrutto come si usava fare nei film dell'era sovietica: "Cosa proponete? Voi non avete nessuna proposta da fare! Voi sapete dire solo che tutto dovrebbe essere abolito". Gli anarchici nel film appaiono come impediti nel parlare, incapaci di spiegare le loro idee, oppure fanno discorsi infantili, danno spiegazioni trite. Alla fine, non si capisce assolutamente per quale ragione quei contadini così pragmatici avevano dato il loro appoggio a Makhno ed agli anarchici nonostante la dura repressione e le fucilazioni che dovevano subire da parte dei Bolsceviki, dei Bianchi e dei nazionalisti ucraini.
Senza dubbio, ognuno vede il film secondo le proprie simpatie politiche (ma alcuni anarchici russi tendono a prendere il Makhno TV per il suo valore di facciata). In quanto telespettatore critico verso il film, per certi versi non posso nascondere che nonostante tutte le lacune che vi sono, il film è un tributo alla tragica storia della makhnovšcina e della rivoluzione fallita in Russia. E ciò dipende dal fatto che la storia della makhnovšcina è di per sé una saga molto tragica e quindi una sua tenera ed empatica trascrizione per la TV non può che commuovere. Per cui chiedo ancora, ci vuole una fiction in TV per ricordare i compagni caduti?
Infine, occorre dubitare della "verità storica" del film, anche se sul tema della verità è stata fatta la campagna promozionale de "Le Nove vite". Eppure, nonostante questo, il film ha suscitato un vero e proprio interesse popolare verso Makhno. Le sue memorie ed il classico di Aršinov "Storia del Movimento Makhnovista", libri popolari su Makhno o anche occasionali studi storici su di lui, erano stati pubblicati in Russia di recente, ma la messa in onda in prima serata TV della serie su Makhno ha creato un vastissimo interesse verso la sua storia. E se una persona spinta dal film cerca almeno uno dei libri più o meno validi scritti su Makhno, non può che essere un buon inizio per iniziare a saperne di più sul famoso enfant terrible della rivoluzione russa. Basta solo essere consapevoli che non si può giudicare una serie TV come un buon libro di storia.

Mikhail Tsovma

venerdì 18 gennaio 2008

Morto russo bandiera su Reichstag



Sua foto diventata uno dei simboli della II guerra mondiale
BERLINO, 18 GEN - E' morto Mikhail Petrovic Minin, il soldato sovietico che innalzo' la bandiera rossa con la falce e martello sulle rovine del Reichstag.La morte, riferisce il quotidiano tedesco Die Welt, e' avvenuta la scorsa settimana a Pskov.Aveva 85 anni. La foto della bandiera innalzata da un soldato dell'Armata Rossa nel '45 e' diventata uno dei simboli della II guerra mondiale, come quella dei soldati Usa che innalzano la bandiera a stelle e strisce sull'isola giapponese di Iwo Jima.

Le palline a piazza di Spagna e il "rosso Trevi".Graziano Cecchini


«Così ho illuminato l’Italia sepolta dal buio dei rifiuti».
Meglio che rotolino le palline.
CECCHINI, ORA SONO UN 'FUTURPALLA'.
Arresto confermato e immediata remissione in libertà poiché non sussistono esigenze cautelari. È già libero di progettare la terza mossa (pare parigina) quella volpe di Graziano Cecchini, l’artista «futurista» che mercoledì pomeriggio aveva gettato lungo la scalinata di Trinità dei Monti mezzo milione di palline colorate. Un tesoro già all’asta su E-bay. Il giudice Tiziana Gualtieri, che ha convalidato anche l’arresto di altri due «complici» di Cecchini, Michael Rosselli e Daniele Pint, ha fissato per il 21 aprile il processo per direttissima. L’accusa ipotizzata è interruzione di pubblico servizio poiché le palline lanciate «hanno invaso il suolo pubblico di piazza di Spagna, impedendo il transito di due autobus».
Subito dopo la liberazione Cecchini si è sfogato come suo solito: «Signori questa è l’Italia. Nello stesso giorno in cui un indagato eccellente accusato di collusione con la mafia ottiene i domiciliari, io, arrestato per lancio di palline, sono stato per dodici ore trattenuto dai carabinieri. Ho dormito per terra perché le coperte che erano nella cella erano puzzolenti, inavvicinabili».
«La mia è stata un’azione non violenta, pop art e basta».
E a proposito delle plasticose palline, l’opera del futurista Cecchini sono già diventate un oggetto acquistabile su E-Bay, il mercato on line mondiale dove si trova qualsiasi cosa. Sul sito è possibile trovarle a prezzi variabili. La meno gettonata è naturalmente la rossa, quella più comune, utilizzata per fare effetto e dar colore alle prime pagine dei giornali. «Vendo palline colorate utilizzate il 16 gennaio 2008 a piazza di Spagna, a Roma, da Graziano Cecchini. Ogni pallina viene venduta in una elegante confezione», recita l’annuncio d’esordio, messo fulmineamente on line alle 14,53 di mercoledì. Il secondo annuncio, appena due ore dopo, garantisce: «Vendo le famose palline fatte scendere dalla scalinata di piazza di Spagna, già sono diventate delle star, non fatevele scappare. Ne ho raccolte solo 38. L’asta parte da un euro e si riferisce ad una sola pallina, ma avendone 38, credo di potervi accontentare in molti».

Spunta il Supertopo: 4 Milioni di anni fa in Uruguay...


Trovato dei fossili Era lungo 3 metri, pesava 1 tonnellata o più.
C'era una volta sulla Terra, 4 milioni d'anni fa, un roditore lungo 3 metri e alto 150 centimetri, del peso di una tonnellata (tra i 468 e i 2.500 chili, è il range indicato). Il topo-ippopotamo è la scoperta di due paleontologi uruguaiani e non ha paragoni con i suoi discendenti nè con altre specie simili del passato.
Gli scienziati, Andres Rindernecht e Ernesto Blanco, hanno ricostruito le dimensioni del super-roditore sulla base del cranio - lungo 53 centimetri e di altri resti fossili da loro trovati. Ipotizzando anche le sue abitudini. Era erbivoro - è la conclusione esposta nel saggio pubblicato oggi sulla rivista della British Society - e gli incisivi lunghi una trentina di centimetri li usava probabilmente per tagliare piante acquatiche con cui nutrirsi.
In Argentina vive il più grande roditore arrivato ai giorni nostri, del peso di circa 60 chili. In Venezuela erano stati trovati i resti di quello che era finora l'antenato preistorico di dimensioni maggiori, un roditore di forse 700 chili.

"Il ’68? Amavamo gli Usa, non Marx"


Guccini sulla rivista di An: Dylan ed Hemingway i miti, l’eskimo una necessità

Quando canta La Locomotiva, al momento di «trionfi la giustizia proletaria» tutti alzano il pugno al cielo. E’ inevitabile, come lo sono le nostalgie per quell’«eskimo innocente », le invettive contro «portaborse, ruffiani e mezze calze,/ feroci conduttori di trasmissioni false» coll’invito ai «liberisti» di turno: «buttate giù le carte/ tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese/ in questo benedetto assurdo bel paese».
Francesco Guccini ha anticipato il ‘68 fornendo una parte notevole di colonna sonora, è andato avanti malmostoso e indignato tra poeti maledetti e osti generosi, forse ha precorso (per esempio con gli ultimi versi citati, che vengono da Cyrano) persino Beppe Grillo. Per molti dei suoi fans la delusione sarà cocente, se leggeranno l’intervista a Charta Minuta, rivista vicina a Alleanza Nazionale, che ha dedicato un numero monografico al quarantennale del ‘68. Guccini parla con la destra, quelli che un tempo erano i «fasci» e da anni lo corteggiano un poco, per dire qualcosa di pesante. Non è neanche la prima volta: la sede gli conferisce però un risalto speciale.
«Il ‘68 è stato il proseguimento di una vicenda umana, non soltanto mia, ma di tutta quella generazione che veniva dagli anni Cinquanta, piena di desiderio, a volte inconscio, di cambiamento. Dunque prima che politico, direi che il ‘68 è stato un fatto propriamente umano. Insomma, un fenomeno di costume». I suoi miti, rivela, non erano Marx e Marcuse (mai letti) ma Bob Dylan, Hemingway, l’America. E l’eskimo «non era politicizzato, non aveva significato ideologico». Infine, il colpo del ko: «L’ideale libertario è sempre esistito nell’uomo e non ha colori o etichette, non può essere fatto proprio dall’ideologia e va ben al di là degli schieramenti di destra e di sinistra».
E la fiaccola dell’anarchia?E le bandiere che si è sempre pensato dovessero garrire lì intorno? Deposte, abbandonate incanalandosi nel fiume del tempo, a pochi giorni dalle dichiarazioni di Lucio Dalla che si professa ammiratore dell’Opus Dei? Crollano i miti, a uno a uno? Sono casi diversi, fa notare Enrico Deaglio, «perché uno è un frutto del ‘77, l’altro no. L’anno che verrà è stata una canzone del movimento. Anche la Locomotiva, beninteso, ma Guccini c’era già prima. E credo sia sempre stato impolitico. Ricordo che dopo la strage di Bologna lo intervistammo per il quotidiano di Lotta Continua. Si stupì, non coglieva il nesso».
Lucio Dalla ha parzialmente rettificato, qualche giorno fa, parlando al Tg1. Il «modenese volgare», spiega invece da tempo che le sue canzoni sono esistenziali, perché fare una canzone politica è come comporre l’inno per la propria squadra di calcio. Ma l’effetto rimane. Chi ha fermato la locomotiva? Nessuno, risponde Edmondo Berselli, le cui tesi sul ‘68 (in Adulti con riserva, Mondadori) non sono poi così lontane. In quel libro, un «Guccio» immaginario - ma verosimile - elogia prima gli inglesi e poi gli americani, in due discorsi di tre pagine, nella Bologna degli anni Sessanta.
In realtà, spiega Berselli, c’è un grande fraintendimento: «Guccini è stato unanimemente considerato un vessillifero della rivoluzione, mentre non lo era affatto. Semmai è da sempre un tranquillo riformista, arrabbiato soprattutto per via letteraria. Ha letto più libri dei suoi colleghi». La differenza è però che «gli altri cantautori raccontavano favole, intrecciavano metafore, poesie simboliste, lui raccontava storie, narrava la vita della gente». Ivi compresa quella del ferroviere anarchico che si immola in un attentato suicida.
La Locomotiva ha avuto ammiratori insospettabili. Dicono le cronache dell’ormai lontana estate ‘94 che Umberto Bossi, durante una serata a Ponte di Legno, chiese di cantare «quella canzone lì di Guccini, come si chiama, il treno? ». E’ come un poster di Che Guevara: ognuno ci vede quel gli pare. Ed è del resto assolutamente vero, ci assicura Berselli, che al momento della «bomba proletaria », nei concerti, «alzano il pugno e inneggiano anche quelli che adesso votano Forza Italia». L’eskimo è innocente, la Locomotiva è metafisica. E Guccini è sempre lì.

"Il mio identikit politico è quello di un libertario, tollerante. Se poi anarchico l'hanno fatto diventare un termine orrendo... In realta' vuol dire solo che uno pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia, le stesse capacità" ( Fabrizio De André )