SITO ANARCOLIBERALE A CURA DI DOMENICO LETIZIA. Laboratorio per un Neo-Anarchismo Analitico che sia Liberoscambista, Volontarista, Possibilista e Panarchico con lo sguardo verso i valori del Liberalismo Classico, del Neo-mutualismo e dell'Agorismo. Un laboratorio che sperimenti forme di gestione solidali, di mercato dencentralizzato e di autogestione attraverso l'arma della non-violenza e lo sciopero fiscale, insomma: Disobbedienza Civile

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sabato 28 febbraio 2009

Le ronde e la sicurezza!

Il 75% di volte che Leonardo Facco si occupa di libertà sono d'accordo.
Questa è una di quelle volte.
Stato? Crimine?
Autodeterminazione, mercato, armi e libertà
http://www.movimentolibertario.it/home.php

giovedì 26 febbraio 2009

La libertà è in alto mare



Patri Friedman nipote del defunto Milton Friedman economista liberista, premio nobel, e figlio dell'anarcocapitalista di spicco David Friedman lancia il progetto in accordo con il Seasteading Institute di costruire piattaforme galleggianti ove creare ognuno il proprio governo. Queste strutture artificiali saranno luoghi ove praticare attività sulle quali i governi tendono in genere ad avere qualcosa da ridire o vietare. Il giovane Friedman che vanta di aver usato tutti i ''tipi di droga'' esistenti, di vivere in una comunità e di aver un rapporto ''poliamoroso'' con la moglie lancia con l'amico Gramlich e con il miliardario Peter Thiel la progettazione di piattaforme oceaniche provviste di desalinizzatore per l'acqua salata, di missili Cruiser anti-nave e di motore per spostarsi in caso di viciniato non desiderato, una base sulla quale ciascuno possa costriure la propria forma di governo non sottoposta a nessun controllo esterno. Patri che è membro del direttivo della World Transhumanist Association spera di praticare su queste piattaforme le teorie del Movimento Transumanista ricerche su clonazione, procreazione artificiale, ecc.... Insomma strutture libere ove tutto è permesso senza nessun controllo ''statale''. Il prezzo? Il tutto, circa, tre milioni di dollari. Costoso come sogno, ma non tanto per essere un gran sogno.

Info: http://bioetiche.blogspot.com/2009/01/live-free-or-drown.html, http://estropico.blogspot.com/2009/02/liberta-in-alto-mare.html. Anche Il Foglio dedica un articolo: http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search&currentArticle=KLSA4

mercoledì 25 febbraio 2009

Crisi, banche, potere e istituzioni


Intervista a Domenico De Simone (http://www.disinformazione.it/domenicodesimone.htm)

Domenico De Simone quali condizioni sono necessarie perché si verifichi una crisi e/o depressione economica?
Beh, ma noi già siamo in una situazione di crisi economica!
L'elemento che scatena le crisi come l’attuale è la carenza di domanda, e questa nasce dal fatto che i redditi non sono sufficienti a sostenere la produzione. Sembra assurdo, perché la gente continua a lavorare e ci dicono che l’economia continua a crescere. Il problema, infatti, è il denaro e la sua distribuzione. Quando manca il denaro la gente vede ridurre la propria capacità di spesa, le industrie, qualunque cosa producano, devono ridurre la produzione e per farlo licenziano, questo riduce ulteriormente i redditi disponibili per il consumo e così si innesca una spirale perversa che porta alla crisi. Per questa ragione Keynes immaginò un meccanismo di spesa dello stato, anche improduttiva, (ricordo l’esempio storico della squadra di operai ingaggiata per aprire una buca per terra, e di un’altra squadra ingaggiata per chiudere quella stessa buca), che però aveva la funzione di far ripartire l’economia. Gli operai spendevano il loro reddito e questo consentiva alle imprese di produrre altri beni e di assumere altri operai che, a loro volta, avrebbero speso il loro reddito. In questo modo si innescava un circolo virtuoso di reddito-spesa-investimento che faceva ripartire l’economia. Keynes disse che questo era un rimedio temporaneo contro la crisi, poiché occorreva poi ripagare il debito aggiunto che lo stato assumeva. In realtà, esso è divenuto il meccanismo permanente di stimolo dell’economia, attraverso la creazione del denaro da parte delle banche che genera debito tra tutti i soggetti dell’economia. Per aumentare il denaro in circolazione le banche centrali abbassano il tasso di sconto per rendere più facili i prestiti. Le crisi precedenti sono state tutte superate in questo modo. Oggi questo non è possibile, perché i soggetti dell’economia, imprese, Stati e famiglie, sono troppo indebitati e non possono assumere nuovi impegni. Il problema deve essere affrontato a monte, nel meccanismo di creazione del denaro che, ora, è affidato alle banche per il tramite del debito. Le banche locali si indebitano con la banca centrale e moltiplicano, in funzione del proprio tasso di riserva, il denaro concedendo nuovi prestiti. L’economia gira, però non solo sale il debito complessivo, ma le banche in questo modo si appropriano della ricchezza prodotta dalla società. D’altra parte il capitale finanziario deve produrre interessi. E allora, solo uscendo dalla logica del profitto, dalla generazione continua di interessi, possiamo immaginare un’altra economia e un’altra società.
L'attuale situazione politico-economica è stata paragonata a quella del 1929, che sappiamo fu risolta con la Seconda Guerra Mondiale. E oggi? Non sarà mica necessaria un'altra Grande Guerra?
Oggi Bush vorrebbe farla la guerra. La 2° Guerra mondiale tolse dalle strade tanti milioni di disoccupati e costrinse la gente a lavorare e produrre in condizioni di assoluta soggezione, senza poter obiettare nulla sulle condizioni di lavoro, anzi con lo slancio e lo spirito patriottico per la difesa della patria.
Il concetto della "buca per terra" è identico a quello del carro armato, del missile, dell'aereo che vengono distrutti: tu fai una cosa che viene distrutta, e più produci più distruggi, più distruggi più produci. Il sistema aveva le risorse, umane e materiali per fare un grande salto nella produzione, e fu finanziato attraverso il debito pubblico. In questo modo, nel 1942 il livello medio di vita degli americani era più elevato di quello del 1937, cinque anni prima della guerra, nonostante fossero in pieno sforzo bellico.
Ora però non è più possibile, perché non ci saranno 18 milioni di americani che andranno a fare la guerra, nemmeno se decidessero di fare la guerra a tutto al mondo...o in quel caso forse sì! La guerra non può essere la soluzione a questa crisi. Semmai può risolvere la crisi delle imprese di alcuni amici di Bush, che posseggono imprese di produzione di armi, di software connesso alla guerra, di petrolio. A proposito di petrolio, se dovesse esserci la guerra in Iraq, o in Medio oriente il prezzo del greggio salterà alle stelle, provocando profitti enormi.
Da esperto economista quale è, oggi come oggi, chi controlla l'intera economia mondiale? Vogliamo nomi e cognomi!
Un pugno di signori che non conosciamo, che determinano le politiche economiche e finanziarie del sistema mondiale. Signori che non sono mai stati eletti da nessuno. Di alcuni i nomi li conosciamo: Greenspan, Duisenberg, il “nostro” Fazio, insomma i governatori delle banche centrali. Ma in realtà dietro loro ci sono delle lobby che decidono quelle politiche. Che fanno parte di quei consigli di amministrazione della FED, il FOMC, quelli del FMI, della Banca Mondiale, del WTO, ecc. che rappresentano le grandi lobby finanziarie del mondo. Sono volti sconosciuti, che non appaiono mai o quasi mai in circolazione. Su di essi girano anche molte leggende. Ma sono questi i veri signori che controllano il mondo!
Le multinazionali, tutte nelle mani del potere economico, che ruolo giocano in tutto questo?
Le multinazionali sono sostanzialmente nelle mani del potere finanziario che decide le loro sorti. Non conta affatto la qualità del prodotto o la sua utilità sociale, ma solo la logica del profitto. Se c’è una ragione per cui i comportamenti delle multinazionali diventano sempre più spietati è proprio che esse devono rispondere alla logica puramente numerica ed immediata del profitto finanziario, mentre, se fossero libere, pur rispondendo sempre alla logica del profitto, avrebbero un minimo di sensibilità nel confronti delle ragioni della clientela, ed un occhio diverso anche ai propri interessi. Insomma adotterebbero strategie di più ampio respiro. Tutte le multinazionali sono dominate da un manipolo di banche, per lo più londinesi. Questo è davvero assurdo.
Le campagne di boicottaggio possono essere utili in questo progetto di cambiamento?
Le ritengo giustissime e soprattutto da approfondire e proseguire. Noi dobbiamo prendere coscienza come consumatori. Dobbiamo capire una cosa fondamentale, che noi dobbiamo passare da consumatori passivi a consumatori critici. Questo passaggio è assolutamente rivoluzionario perché sconvolge il meccanismo di riproduzione del capitale. La lotta è contro la logica del profitto immediato del capitale finanziario, ed è lì che dobbiamo colpire, anche con comportamenti di consumo consapevole. Andare oltre la logica del profitto, combatterla attraverso il consumo, crea un cortocircuito all'interno del loro meccanismo.
Ritornando a chi controlla l'economia: esiste un Nuovo Ordine Economico Mondiale. Cioè un Ordine mondialista che con l'aiuto di gruppi elitari, enti governativi e non, gli stessi governi, applica le leggi del mercato a proprio vantaggio?
C'è un Ordine, quello di oggi è un Ordine! Un progetto che si fonda sul profitto e naturalmente sulla truffa. La truffa è proprio quella della moltiplicazione del denaro, attraverso il quale ci si appropria dell'esistenza di tutti. Questo è il punto! E' un progetto che è nato secoli fa, e precisamente con la nascita della Banca d'Inghilterra, quando i depositi merce vennero sostituiti con il deposito del denaro cartaceo. Nacque così il moltiplicatore del denaro. E’ vero che tramite il denaro cartaceo si produce ricchezza. Però come funziona oggi? Questo denaro produce interesse e cresce quindi su sé stesso. L’economia deve crescere perché cresce il denaro. Noi siamo diventati schiavi di un meccanismo che ha preso le nostre esistenze e le ha trasformate in strumenti di produzione di denaro. Siamo asserviti al potere finanziario, che è gestito dalle banche centrali, banche tutte private. Le nostre vite sono quindi nelle mani dei governatori della banche centrali, che nessuno ha mai eletto né scelto, e che a volte nemmeno si conoscono.
Il vero potere è oggi, quello di creare il denaro!
Previsioni future: Argentina?
Hmm...ci siamo quasi in Argentina. L'Europa si sta fermando, la Germania si è già fermata proprio quest'anno. L'Europa crescerà pochissimo, e l'Italia ancora meno, siamo di fatto in una fase di stagnazione economica. L'economia americana forse sta ripartendo, ma si tratterà solo di una breve fiammata tutta speculativa. Gli americani hanno un debito spaventoso, che ha bisogno di alimentarsi con i “bagni di sangue”. Che cosa vuol dire? Che la caduta dei tassi di interesse (scesi dal 6,5% di gennaio 2001 a 1,25% di oggi) produrrà forse una violenta ondata speculativa poiché renderà possibile la creazione di nuovo denaro attraverso le residue capacità di indebitamento dell’economia USA. Però, poi, i problemi del debito torneranno rapidamente a premere sull’economia e lo scenario muterà rapidamente. In borsa assisteremo forse ad una nuova ondata speculativa e sarà lì che assisteremo all’ennesimo bagno di sangue”, poiché molti ci si getteranno per rifarsi delle perdite subite e lenire i propri debiti. Insomma, si indebiteranno ancora per cercare di salvarsi. Poi, quando i problemi reali torneranno a galla, la situazione precipiterà di nuovo. A quel punto, coni tassi prossimi allo zero, non ci sarà possibilità di salvezza per l’economia americana e di conseguenza, per quella mondiale. Con l’economia mondiale tra la stagnazione e la recessione, sempre che non scoppi un terzo conflitto mondiale, l’unico modo di uscire dalla crisi sarà quello di superare il modello finanziario americano. L’unica soluzione possibile e ragionevole è il tasso negativo, che però comporta il superamento della logica del profitto. Sarà un periodo difficile per tutti, ma sarà anche pieno di speranze, poiché abbiamo la possibilità di costruire davvero un nuovo mondo, nel quale il valore sia la vita umana e non il denaro.

lunedì 23 febbraio 2009

"La teoria di classe Agorista"


Grazie a Stefano Miatto (http://rantasipi.wordpress.com/) e Flavio Tribaldi (http://gongoro.blogspot.com/) da oggi è disponibile la Teoria di classe Agorista in Italiano.

Invito tutti a scaricarla, a leggerla e diffonderla, trovate tutto qui senza un soldo: http://www.eravolgare.net/wp-content/uploads/2009/02/la_teoria_di_classe_agorista.pdf

Tutti coloro che si domandavano come applicare la contro-economia e cosa fare dopo il non voto ora hanno un piccolo manuale cui rivolgersi.
Ora il nostro compito sta nel pubblicare più copie possibili, a tutti quelli interessati nel casertano, per la settimana prossima saranno pronte una decina di copie (pagate da me) che regalerò gratuitamente con la sola premessa che vengano fatte girare, chi è interessato mi contatti.

domenica 22 febbraio 2009

La crisi: Colpa dello stato? Certo che si!


Tutti i lettori di questo piccolo ma libero sito, come sapranno, ogni tanto ci siamo occupati e abbiamo trattato di crisi, di crisi economica e di mercato. Ringrazio Davide Fidone per avermi riportato questo articolo comparso sul sito dell'Istituto Bruno Leoni (http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=7594). Un interessante articolo su una delle cause della crisi finora poco dibattuta: il protezionismo statale in favore dei dirigenti aziendali, che toglie agli azionisti ogni facoltà di controllo.

di Carl C. Icahn

Il capitalismo deve tornare alle origini

Il piano del presidente Barack Obama che prevede di limitare ad un massimo di 500.000 dollari all’anno (oltre a pacchetti di azioni vincolate) il salario dei dirigenti di aziende che ricevono fondi federali è perfettamente comprensibile. Tuttavia, imporre un tetto al salario dei dirigenti non è che una misura di ripiego che non affronta il problema alla radice.Il vero problema è che il management di molte società agisce in perfetta impunità, senza dover rispondere agli azionisti e senza che questi possano esercitare alcuna supervisione. Invece di fungere da rabbiosi cani da guardia posti a tutela degli asset aziendali dai possibili abusi dei loro dirigenti, molti consigli d’amministrazione si comportano come cagnolini da salotto. Sebbene, sia pure con qualche eccezione, il management di molte aziende abbia svolto in modo pessimo i propri compiti, non di rado i dirigenti di queste stesse società ricevono ricchissimi emolumenti che non tengono in alcuna considerazione i risultati realmente ottenuti. Se vogliamo ricostruire la nostra economia in modo sostenibile e ricostituire la necessaria fiducia, dobbiamo cambiare questa deprimente situazione. In caso contrario questi problemi continueranno a prodursi, ogniqualvolta gli investitori si dirigeranno in massa verso la prossima innovazione o la prossima bolla speculativa, rese possibili proprio grazie al genere di manager che ha quasi affossato Wall Street. Il problema, come sostengo da tempo, è che sia il management, sia i consigli di amministrazione sono stati resi pressoché intoccabili grazie ad anni di leggi promulgate dai singoli Stati e da numerose sentenze dei tribunali che hanno avuto l’effetto di renderli esenti dalla responsabilità nei confronti degli azionisti e di permettere loro di conservare le proprie sinecure e di venire pagati a peso d’oro. Abbiamo bisogno di un minor numero di norme statali a tutela degli amministratori e soprattutto abbiamo bisogno di far tornare il capitalismo, questo straordinario sistema di creazione di ricchezza, alle radici, a una situazione in cui sono i proprietari che dettano legge ai dirigenti, e non il contrario. Attualmente il diritto d’impresa è prevalentemente una riserva delle autorità statali, non federali. Di conseguenza la maggior parte delle aziende tende a trasferirsi o a costituirsi negli Stati che offrono le maggiori tutele al management. Questi Stati hanno evidentemente un interesse ad attirare il maggior numero possibile di aziende, giacché da esse proviene una parte sostanziosa del gettito fiscale. Si tratta di una rapporto di simbiosi: il governo locale offre protezione al management e in cambio ottiene preziose entrate dalle imposte.Taluni Stati, tuttavia, come ad esempio il North Dakota, offrono maggiori garanzie e maggiori diritti agli azionisti. Giacché sono gli azionisti i proprietari di una società, è a loro che dovrebbe spettare il diritto di decidere se trasferire al sede legale di un’azienda in uno Stato che offre maggiori tutele all’azionariato. Quello che serve, pertanto, è una legge federale che permetta agli azionisti di decidere a maggioranza semplice il trasferimento della sede legale della propria azienda in un altro Stato, mentre attualmente questa decisione spetta al consiglio d’amministrazione e ai dirigenti. Questa riforma non rappresenterebbe una panacea per i nostri problemi economici, ma sarebbe un passo avanti, eliminando la ferrea presa che i manager hanno sugli asset degli azionisti. E non dovrebbero essere i proprietari di queste aziende a godere di questi diritti?A questo punto ci si potrebbe chiedere: se questa proposta è sensata, perché i grandi azionisti istituzionali che controllano il grosso delle azioni e dei diritti di voto nella maggior parte delle società di questo Paese non si sono ribellati pretendendo la riforma che ho descritto? La risposta è che molti investitori istituzionali hanno anch’essi un interesse costituito a sostenere il management delle proprie aziende: sono i dirigenti, infatti, che decidono come distribuire i fondi pensione e il risparmio gestito della loro impresa. Sebbene vi siano investitori istituzionali che hanno a cuore i diritti degli azionisti, disgraziatamente ve ne sono altri che non amano l’idea di votare contro chi ha il potere di concedere loro il prezioso mandato di gestire fondi per miliardi di dollari. Si tratta di un evidente ed insidioso conflitto di interessi che sposta il voto degli azionisti a favore del management. È un problema che sussiste da anni e che dovrebbe venire risolto da nuove leggi che vadano a beneficio degli azionisti e dei dipendenti delle aziende, ossia dei beneficiari dei loro piani pensione.Ovviamente non auspico l’abrogazione generalizzata del diritto aziendale del nostro Paese. Tuttavia è nell’interesse del Paese ripristinare i diritti di chi partecipa col proprio capitale alla proprietà delle aziende, ossia di quegli individui che hanno visto il valore dei propri pacchetti azionari precipitare a causa delle sconsiderate decisioni di un management privo di ogni freno. I suggerimenti che ho delineato poc’anzi potrebbero contribuire in misura considerevole a cambiare le dinamiche della governance societaria in questo Paese. Questo cambiamento farebbe sì che la nostra economia diventasse più produttiva, generando così più ricchezza per tutti.Il salvataggio di Wall Street e gli “stimoli” economici possono rappresentare passi sgraditi, ma necessari, per ridare vita ad un’economia in difficoltà, ma è altrettanto importante attaccare il vero problema, pretendendo maggiore responsabilità dai dirigenti aziendali. Ho fondato United Shareholders of America esattamente al fine di permettere agli azionisti di avviare riforme in questo senso e vorrei esortare i miei compatrioti ad unirsi alla nostra causa. La maggioranza della popolazione degli Stati Uniti possiede azioni. È necessario che la loro voce si faccia sentire – fin da oggi – nel Congresso e nei consigli d’amministrazione delle imprese americane.

Carl Icahn è presidente di Icahn Enterprises, una holding quotata in Borsa.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato sull'edizione del 7 febbraio 2009 del Wall Street Journal, che ringraziamo per la cortese concessione alla riproduzione.

venerdì 20 febbraio 2009

Perché mi tessero e sostengo il Movimento per l’indipendenza della Sicilia?



Ieri 19 febbraio 2009 ho rinnovato il mio tesseramento al Mis (Movimento per l’indipendenza della Sicilia). Nonostante io non sia siciliano, non abbia origini siciliane e non sono un amante della cultura di questa grande isola, non perché non la condivido ma perché non la conosco a fondo.
Io sono campano e non sono mai stato in Sicilia neanche per vacanza, ma c’è un motivo di fondo che unisce me e il mio appoggio al Mis, è la causa della libertà.
Nonostante, ripeto, non conosca nel dettaglio le questioni e le problematiche del popolo siculo ho la consapevolezza di dover sostenere il movimento con la pubblicità, la propaganda e la solidarietà alle loro iniziative soltanto per il loro amore per la libertà. Si, questo ci unisce, il sogno di liberarci da un organismo presuntuoso e monopolizzante, corrotto e burocratizzato che prende il nome di Stato Centrale a favore di una vita e di un sogno che prende il nome di Indipendenza.
Ecco perché sostengo il Mis per la libertà e l’indipendenza, con la consapevolezza che un popolo libero è un popolo migliore.
Saluti al Mis,
Domenico Letizia

(La lettera è stata pubblicata sul forum degli indipendentisti siculi:http://www.siciliaindipendente.org/Forum/tabid/85/forumid/2/threadid/2625/scope/posts/Default.aspx , ringrazio. )

giovedì 19 febbraio 2009

Tromboni e squilli di tromba


Riporto questo interessante articolo di Carlo Oliva comparso sul numero di febbraio 2009 della Rivista ''A'':

In un brano famoso del Vangelo secondo Matteo, Nostro Signore, con un pizzico di ironia abbastanza insolito in quel contesto, raccomanda di non suonare la tromba davanti a sé quando si fa l’elemosina, perché non bisogna “praticare le buone opere per essere ammirati dagli uomini”: una immagine insolita e pregnante, molto più efficace di quel “non sappia la mano destra ciò che fa la sinistra” con cui il concetto viene rafforzato subito dopo e che, con tutto il rispetto, conferisce al benefattore tipo dei Vangeli una connotazione vagamente schizoide. Il fatto che la seconda metafora venga citata assai più di frequente della prima mi è sempre sembrato uno dei molti misteri della comunicazione pastorale, a meno che non dipenda dal desiderio della chiesa di non irritare i molti, troppi tromboni con cui, nella sua storia millenaria, ha avuto a che fare. È evidente, comunque, che il riferimento all’elemosina non va preso in senso restrittivo e che quell’invito a una sobria riservatezza nel fare il bene (o ciò che si considera tale) si riferisce a tutte le azioni meritevoli che ciascuno di noi ha occasione di compiere. E credo che converrete tutti con me sul fatto che la raccomandazione relativa sia una delle meno fortunate di tutto il Nuovo Testamento, nel senso che sono ben pochi a seguirla, come dimostra la quantità di tromboni che, in numero sempre crescente, allignano sulla platea religiosa e profana.Così, il senatore Marcello Pera, noto filosofo popperiano e teorico liberale, avendo scritto un libro sui rapporti tra religione, etica e liberalismo, avendolo sottoposto – in bozze, presumo – al papa in persona e avendone ricevuto una lettera di elogio, non ha resistito alla tentazione di suonare un poco la tromba. Il testo papale in questione, completa di riproduzione della firma olografa dei mittente, apre il nuovo saggio del senatore (da poco in libreria) ed è stato integralmente pubblicato sul “Corriere della sera” lo scorso 23 novembre. In effetti, bisogna ammettere che resistere a una tentazione del genere sarebbe stato molto difficile, visto che i complimenti che l’illustre recensore profonde avrebbero fatto arrossire Tommaso d’Aquino in persona. All’autore vengono attribuite una “conoscenza profonda delle fonti”, una “logica cogente” e “inconfutabile”, una “sobria razionalità” e una “ampia informazione filosofica”, le quali doti contribuirebbero a fare del volume un’opera “di fondamentale importanza in quest’ora dell’Europa e del mondo”. Parole un po’ forti, dunque, per un semplice saggio. Ma si capisce: Pera, a dire di Ratzinger (e di Maria Antonietta Calabrò, che sulla stessa pagina del “Corriere” firma una recensione a nove colonne) è riuscito a far capire che “non c’è liberalismo senza Dio”. Ha dimostrato (stando sempre al papa) che “all’essenza del liberalismo appartiene il suo radicamento nell’immagine cristiana di Dio ... di cui l’uomo è immagine e da cui abbiamo ricevuto il dono della libertà” e che quella dottrina “perde la sua base è distrugge se stessa se abbandona questo suo fondamento”. E non basta: “Non meno impressionante” sembra a Benedetto XVI “l’analisi della multiculturalità”con cui Pera “dimostra la contraddittorietà interna di questo concetto e quindi la sua impossibilità politica e culturale”, con tutte le conseguenze pratiche per un’Europa che non può trasformarsi “in una realtà cosmopolita,” ma deve trovare, “a partire dal suo fondamento cristiano-liberale la propria identità.”Non ho ancora letto il saggio del senatore e non saprei dirvi, quindi, se quel “fondamento cristiano-liberale” – con la lineetta – sia farina del sacco di Pera o di quello pontificio. Ma certo, dal punto di vista teorico, si tratta di una formula piuttosto sensazionale. Se la chiesa negli ultimi due secoli ha avuto spesso a che fare con varie ipotesi di “cristianesimo liberale”, in genere per condannarle, di un fondamento cristiano-liberale dell’identità europea non si era ancora sentito parlare.
Il relativismo degli altri
L’espressione, a esser franchi, un poco disturba anche noi che con il liberalismo non abbiamo poi molto a che fare. Non solo perché contiene una certa dose di asimmetria, visto che il Cristianesimo ha l’origine e la storia che conosciamo, mentre il liberalismo è stato inventato come termine e ideologia appena agli inizi dell’Ottocento. Ma perché fa un po’ specie vederla uscita dalla penna di un ex prefetto del Santo Offizio, che scrive, nello stesso contesto, che “sulla decisione religiosa di fondo” un vero dialogo “non è possibile senza mettere tra parentesi la propria fede” e che “il liberalismo, senza cessare di essere liberalismo, ma, al contrario per essere fedele a se stesso, può collegarsi con una dottrina del bene, in particolare quella cristiana che gli è congenere”, il che significa, in definitiva, che la libertà che ci è data e che quella dottrina difende è solo quella di credere a quello che lui, il papa, come interprete del cristianesimo insegna. Quale e quanto spazio possa lasciarsi in quest’ottica alla libertà religiosa e più in generale alla libertà di pensiero Ratzinger non lo spiega e dubito che lo precisi Pera, ma leggerò e vi saprò dire.Certo, oggi il liberalismo non è più la dottrina potenzialmente eversiva uscita dalla temperie della Rivoluzione Francese e delle guerre napoleoniche per fronteggiare, in Europa e altrove, gli spettri risorgenti dell’assolutismo. Oggi l’assolutismo è tutt’altro che estinto, ma nessuno ha il coraggio di considerarsi (o di dichiararsi) assolutista e liberali, a quanto sembra, possono dirsi tutti, compreso il papa. Che il Sillabo di Pio IX, di cui Ratzinger, credo, ha visto con favore la causa di beatificazione, condanni, alla proposizione 80, l’ipotesi per cui “il Romano Pontefice può e deve col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà venire a patti e conciliazione” è un particolare che oggi può interessare solo a pochi eruditi. Il papa, che quanto a erudizione non è secondo a nessuno, può sempre rispondere che una cosa è il liberalismo dei moti ottocenteschi e un’altra quello del senatore Pera, se non altro perché il primo si riprometteva di abbattere il dominio temporale dei papi e il secondo si dà non poco da fare per conservarlo. Il che è vero, ma la distinzione puzza lo stesso un poco di relativismo e il Nostro con il relativismo non è mai stato tenero, lo ha – anzi – condannato, bandito e preso a male parole. Ma probabilmente si riferiva a quello degli altri.

martedì 17 febbraio 2009

Thomas Jefferson, il mutualista


Thomas Jefferson, il mutualista
E se non l'era, era molto vicino.
Lettera ad Isaac McPherson,
Thomas Jefferson,Agosto 13, 1813.

Traduzione da Alberto García (2006)

Alcuni hanno argomentato, specialmente in Inghilterra che gli inventori hanno un diritto naturale ed esclusivo sulle loro invenzioni, e non soltanto per la propria vita, bensì ereditabile anche per gli eredi. Ma mentono ed è una questione molto discutibile affermare che l'origine di qualunque tipo di proprietà sulla scoperta ,derivata per caso dalla natura, sia un diritto naturale e perfino ereditabile agli inventori. Quelli che hanno considerato seriamente la questione sono in accordo ad affermare che nessun individuo ha, come diritto naturale, una sua proprietà, per esempio, di un acro di terra. Per legge universale, in realtà, appartiene ugualmente a tutti gli uomini ed in comune, è per il momento è proprietà di chi l'occupa, ma quando rinuncia alla sua occupazione, la proprietà va via con il diritto. La proprietà stabile è il regalo della legge sociale ed è raggiunta tardivamente nel progresso della società. Sarebbe curioso e strano allora, se un'idea, la fuggitiva fermentazione di un cervello di un individuo, potesse, per diritto naturale, essere reclamato come proprietà esclusiva e stabile. Se la natura ha fatto una cosa per essere posseduta in forma esclusiva, è l'azione della capacità di pensiero chiamata idea che un individuo possiede per sé ed è sua per finalità individuali, ma nel momento in cui è divulgata, costringe a sé stessa ad essere possesso di tutto il globo.
Queste idee dovrebbero essere sparse liberamente da una parte all'altra del globo, per il miglioramento della condizione dell'uomo e come l'aria che respiriamo, nella quale ci muoviamo, e contiene la nostra esistenza fisica, incapace di confini o appropriazione esclusiva.
Allora le invenzioni non possono, di natura, essere soggette alla proprietà. La società può dare un diritto esclusivo ai benefici che sorgano da queste, come un stimolo all'uomo per perseguire idee che possono presentare utilità, ma questo si potrebbe fare, in accordo col desiderio e con la convenienza della società, senza domanda o reclamo di nessuno. Quindi, è un fatto, per quello che sono informato, che l'Inghilterra fu l'unico paese della terra che qualche volta, mediante una legge generale, diede diritto legale all'uso esclusivo di un'idea. Anche in altre nazioni è fatto a volte, in un caso importante, e per un atto speciale e personale, ma generalmente parlando, queste nazioni hanno pensato che questi monopoli producono più danni che vantaggi alla società; e può osservarsi che chi respinge i monopoli d' invenzione, sono nazioni tanto prospere come l' Inghilterra.

(chiedo scusa se alcuni tratti sono tradotti un pò male ma essendo una traduzione fatta da me non sono sicuro della esattezza, comunque per info:http://www.mutualismo.org/(in spagnolo) )

sabato 14 febbraio 2009

La creatività del mercato


Siamo in periodo di crisi e mentre tutti aspettano soluzioni assistenzialiste e stataliste per combattere la crisi, crisi che da queste politiche ha origine, il mercato sorprende e stupisce.
Non parliamo di Mercato come fattore astratto ma di iniziative di piccoli imprenditori che con la creatività che spesso accompagna chi fa tali lavori, lanciano iniziative che a dir del consumatore non sono niente male.In Gran Bretagna il proprietario di un ristorante inglese ha lanciato l'iniziativa "Anti Price".Per due giorni a settimana (il mercoledi' e il giovedi'), i clienti del ristorante Penn Central nella citta' di Poole possono decidere liberamente quanto pagare al termine della consumazione, senza attenersi al listino.
Mick Callaghan, proprietario del locale, ha pensato con questa trovata di far pubblicita' al suo cibo, affidando percio' il giudizio ai suoi ospiti-clienti,(insomma in questi giorni faccio decidere il consumatore, niente male vero?), certo del successo di questa iniziativa ma soprattutto della bonta' delle pietanze offerte; restano escluse da questa promozione le bevande, normalmente tariffate da listino.
L'iniziativa sta effettivamente riscuotendo successo, tant'e' che lo staff del Penn Central e' orgoglioso di far sapere che, non solo la stragrande maggioranza degli avventori ha deciso di pagare una cifra congrua per il servizio offerto, ma addirittura qualcuno ha lasciato anche piu' del dovuto; pochissimi sono stati i mangiatori a totale sbafo.

I miei complimenti per l'idea e che siano queste le ricercate soluzioni, lo stato lasciamolo perdere.

mercoledì 11 febbraio 2009

Gasparri sei uno .......

Dal sito: http://www.movimentolibertario.it/home.php

e ora denunci anche me onorevole.

martedì 10 febbraio 2009

Solidarietà all’ imprenditore di San Cipriano di Aversa

Tenta un furto in una abitazione a San Cipriano d'Aversa, nel casertano, e muore ucciso da due colpi di pistola sparati dal proprietario dell'abitazione.
http://lnx.casertasette.com/modules.php?name=News&file=article&sid=16356

Esprimo la mia solidarietà all’ imprenditore di San Cipriano di Aversa accusato di omicidio, non posso che esprimere la mia solidarietà a chi con naturale diritto alla libertà e alla difesa di questa, non fa altro che difendere la propria proprietà da un’ aggressione esterna, in una zona come il casertano che non è pur nulla protetta dalle forze dell’ordine, al cittadino non resta che la legittima autodifesa.
Mi auguro solo che all’imprenditore casertano vengano risparmiate le solite ripercussioni legali che accompagnano l’ esitenza di un libero e onesto cittadino che ha solo la colpa di non piegarsi all’aggressione e alla brutalità dei comunemente chiamati delinquenti.

lunedì 9 febbraio 2009

Scegli il tuo governo


Sul forum Anarchaos (http://www.anarchaos.it/forum/index.php) si discute di sistemi sociali volontari a cui aderire liberamente in piena libertà, ciò per la precisone è la Panarchia sistema di convivenza sociale su base volontaria esposta già nel 1860 da Paul Emile De Puydt, ringrazio http://rantasipi.wordpress.com/ per l'articolo che riporto:

di Michael S. Rozeff

La scelta del proprio governo è una opzione o decisione che scaturisce direttamente dall’idea che Thomas Jefferson aveva dei diritti e che si trova nella Dichiarazione di Indipendenza; e che sulla scia della logica di Jefferson arriviamo al concetto di panarchia. Ragionare in astratto sui diritti non ha mai convinto nessuno. Perciò in questo articolo non farò uso di tale concetto.
Sorge la domanda: Che cosa è un Governo? Un Governo deve essere definito assegnandogli una specifica caratteristica che lo distingue in maniera univoca da altre realtà che non sono il governo. Quella caratteristica ha a che fare con principi e regole che indirizzano l’azione. Ma di quali regole e di quali azioni si parla? I Governi si differenziano notevolmente nelle finalità delle loro azioni, nei loro metodi di governo e nelle relazioni con i governati.
Esistono parecchi tipi di governo a molti livelli. Per semplificare la discussione, immaginiamo governi nazionali in relazione con Stati. Supponiamo per un momento che il motivo per cui questi governi cambiano è perché le nazioni che essi governano hanno realtà differenti. I Russi hanno una loro forma di governo e i Cinesi un’altra. Questo è, almeno in parte, questione di inclinazioni personali. Anche se questi governi hanno avuto la loro origine in un processo di conquista o altro, essi hanno trovato stabilità, almeno in secoli a noi vicini, governando su un insieme di popolazioni con una qualche sorta di identità o con aspetti essenziali condivisi per quanto riguarda credenze, valori e spesso religione e linguaggio. Nella misura in cui un intero popolo aveva voce riguardo alla forma di governo, quel governo poteva riflettere quella voce. C’è un specie di scelta collettiva di base che è stata effettuata o condivisa in qualche modo oppure generata attraverso la forza e l’abitudine, almeno in una certa qual misura. Non intendo qui affermare che i governi sono nati da una scelta collettiva. Sto solo dicendo che la scelta collettiva gioca una certa parte, ed è per questo che possiamo spiegare la varietà di governi.
In un certo senso, l’esistenza di una varietà di stati e di governi mostra che riconosciamo una pluralità di differenti preferenze nella scelta del governo tra vasti aggregati di persone. Ma se una parte della scelta di un governo è collettiva, allora dovremmo anche riconoscere che la scelta collettiva sorvola sulla grande varietà esistente tra le persone che si aggregano e che prevale sulle preferenze e credenze di ciascuno. Se il governo è un governo di una popolazione di individui, esso sopprime l’espressione delle preferenze per il governo che esistono all’interno di una vasta gamma di sotto-popolazioni e sotto gruppi. Non si può logicamente affermare che un governo nazionale si basa sul consenso dei governati senza riconoscere al tempo stesso che non si poggia sul consenso di sotto-gruppi all’interno dei governati e cioè di coloro che esprimono la preferenza di non essere governati da quel governo nazionale.
Nonostante le differenze tra stato e stato, non vi sono in realtà molti tipi diversi di governo tra cui scegliere. Certamente c’è una grande differenza tra l’essere governati da Mugabe o da Bush. E i singoli governi non hanno lo stesso insieme di programmi; rimane comunque il fatto che se uno cerca di sottrarsi da un paese con un governo molto grande per trovare un altro con un governo molto piccolo, è quasi impossibile farlo senza dover abbandonare la terra in cui si è nati. Scegliere un governo che è davvero diverso da quello sotto cui si vive attualmente risulta essere qualcosa di molto costoso. E ancora più costoso è informare gli altri che non si appartiene ad alcuno Stato o che si rinuncia ad appartenere allo Stato in cui si è nati. I Governi usano la forza per mantenere le persone sotto il loro potere. La forza include anche, nei regimi democratici, l’essere soggetti al potere della maggioranza. I costi da sopportare per sottrarsi al potere della forza sono elevati. Ognuno di noi si è rassegnato a ciò solo per essere lasciato tranquillo. Il risultato è che i governi tendono ad essere più omogenei in apparenza di quanto potrebbero essere e che le nostre scelte tra i governi esistenti non sono così varie di come potrebbero essere.
Il fatto è che se ognuno di noi potesse scegliere di sua propria volontà il governo che vuole senza doversi trasferire o senza dover andare molto lontano o senza emigrare in una terra straniera, la gamma di scelte di governo potrebbe aumentare e probabilmente aumenterebbe in misura sostanziale. Per dirlo in altro modo, gli otto milioni di persone che vivono nella città di New York, se fosse data loro la scelta del governo in quella regione, esprimerebbero probabilmente una gamma di preferenze molto più ampia che non quella di un unico governo come è il caso attualmente. Essi hanno molte idee differenti su quale dovrebbe essere la finalità del governo, quali dovrebbero essere le regole, come dovrebbero essere fatte rispettare le regole, e quali relazioni dovrebbero esistere tra governo e governati. In una nazione di 300 milioni di persone, è ovvio che esiste un numero enormemente più grande di preferenze personali riguardo al governo di quelle che sono espresse dall’esistenza di un solo governo nazionale per tutti. Le preferenze personali per differenti tipi di governo non trovano espressione nelle attuali forme di organizzazione politica. Abbiamo di gran lunga più scelta di succhi di frutta e bibite in un supermercato di quante ne abbiamo riguardo alle forme di governo, eppure la scelta del governo ha un impatto di gran lunga superiore sulle nostre vite del fatto che possiamo scegliere tra succo di uva o succo di mirtillo.
Se tu pensi che sia giusto godere della libera scelta tra confezioni di cereali, tra ragazze che diventeranno tua moglie, tra mezzi di trasporto, tra impieghi lavorativi, o tra fedi religiose, per la semplice ragione che questo è quello che tu vuoi, allo stesso modo dovresti avere la scelta del governo, se questo è ciò che tu vuoi. In tutti questi casi, faccio chiaramente riferimento al fare scelte pacifiche che non opprimono altri. Qui non si tratta necessariamente dei tuoi diritti. Si fa semplicemente riferimento alla tua volontà, cioè all’espressione di chi tu sei. L’essere umano si caratterizza per l’agire, e l’azione comporta la scelta; e scegliere è scegliere liberamente (sempre nel senso di farlo in maniera pacifica). Non voglio dire a questo punto che scegliere ed esprimere la propria personalità umana sia una cosa buona e giusta (sebbene io lo creda e lo affermi nella mia conclusione). Voglio solo dire che se fai una scelta tra diversi prodotti e servizi, e quasi tutti noi la facciamo, allora logicamente si può pensare di scegliere il governo che si vuole, considerando che anche il governo sostiene di fornire vari beni e servizi. Frasi come “il consenso dei governati” e “nessuna tassazione senza elezione dei rappresentanti” esprimono questa scelta. Si dice che votare è una espressione di tale scelta e, anche se non lo è in realtà, l’idea di scegliere il proprio governo è ancora presente nelle ragioni di base per l’esercizio del voto.
In generale, la tua scelta tra confezioni di cereali è differente da quella che fa il tuo vicino ma, dal momento che ognuno sceglie ciò che vuole, ognuno ottiene ciò che vuole senza danneggiare l’altro. Scegliere il governo può essere equiparato a tali comportamenti. Ognuno può migliorare la propria situazione facendo liberamente la propria scelta. Attualmente non è così, ed è difficile immaginare una realtà simile in quanto tu e lui siete entrambi posti di fronte ad un solo tipo di cereali e dovete mangiare quel tipo, che lo vogliate o no. Al massimo tu puoi votare per una persona, ma l’effetto del tuo voto su quell’unica marca di cereali è zero. Questo è tutto ciò che tu e lui avete avuto finora. Tu non scegli un governo o un metodo di governare o regole per governare; tu esprimi il tuo voto, privo di effetti reali, riguardo ad un numero ristretto di persone che possono o non possono governare. Una realtà alternativa e cioè che uno possa scegliere la propria forma di governo, sembra quasi irreale allo stato attuale, sebbene questa sia una cosa del tutto naturale come il fatto che tu e il tuo vicino scelgano di far parte di chiese diverse, o che due membri della stessa chiesa frequentino università differenti. L’America era abitata da centinaia di tribù Indiane con forme diverse di governo, ed anche al giorno d’oggi esistono centinaia di nazioni indiane all’interno dei confini degli Stati Uniti. Se essi possono avere i loro governi, non si vede perché altri gruppi non possano avere i loro.
Le differenze di opinione sul governo tra te e il tuo vicino possono essere sono di gran lunga maggiori che le differenze tra tipi di cereali e questo perché si tratta di problemi più seri a cui ognuno attribuisce un grande valore. Il tuo vicino vorrebbe fare guerra all’Iran, mentre tu vuoi costruire una navicella spaziale per andare su Saturno. Lui è un ardente sostenitore dell’Assistenza Sociale mentre tu vuoi un governo che si occupi di poche cose. Tu potresti volere un re alla testa del governo, mentre lui non vorrebbe alcun governo. Quanto più grandi sono queste differenze, tanto più solida diventa la tesi che ognuno abbia il governo di sua scelta, perché ognuno si troverà in una posizione migliore ottenendo quello che desidera e ognuno sarà isolato dagli effetti negativi di una politica che non condivide.
Ma io non voglio né ingigantire le differenze tra le persone né farle apparire così grandi da rendere la vita impossibile in assenza di un uomo forte che abbia potere su tutti. Il modello esistente di governi statali genera e amplifica le differenze e gioca su di esse. I capi politici degli stati creano situazioni di obbedienza fedele ricercando e sfruttando differenze all’interno dello stato e tra stati. Essi trovano e anche producono e incoraggiano le rivalità tra gruppi e costruiscono le loro fortune sfruttando tali rivalità. Le loro “soluzioni” riguardo le differenze esistenti comportano l’uso della forza, della frode, e allettamenti (economici e psicologici) che li rendono quanto mai indispensabili. Essi sono i sacerdoti esclusivi della loro religione statale che fa apparire loro e lo stato come strumenti insostituibili di cooperazione sociale e di assistenza economica. Essi vogliono farci credere che noi siamo incapaci di cooperare senza di loro e di lavorare tutti assieme in imprese produttive. Il loro sistema di comando si basa sull’inculcare e far crescere in tutti noi la credenza che senza di loro e senza lo stato noi ci sbraneremmo a vicenda. Essi ci presentano due scelte alternative che sono limitative in maniera ingiustificata (e sono quindi false): o lo stato o il disordine. Essi ci addestrano nell’essere isolati e dipendenti da loro per il nostro benessere. Essi giocano sulle nostre insicurezze promettendo generosi pagamenti assistenziali a un prezzo basso e tutto sommato accettabile; ma quelle sono promesse che essi non possono mantenere. Si tratta infatti di schemi alla Ponzi attraverso i quali essi ci restituiscono le nostre contribuzioni dopo aver sottratto quote notevoli di denaro per sé stessi e per le loro cricche. Questi sono schemi attraverso i quali i ricavi prodotti da un settore della popolazione sono trasferiti ad un altro settore, senza che vi sia alcuna crescita del prodotto da parte dello Stato essendo tutti gli incrementi un risultato del nostro lavoro e sono semplicemente fatti apparire come ricchezze accumulate dallo Stato.
Giudicando la realtà dall’esame della frequenza e gravità delle guerre civili, è del tutto evidente che i disaccordi riguardo al governo sono notevoli. I potenti dello stato si pongono nei confronti delle secessioni e dei movimenti di indipendenza in una posizione di sgomento e di forza. Essi mettono in moto l’opinione pubblica a sostegno dello Stato. Una litania tipica delle giustificazioni pseudo-razionali può essere rinvenuta, con Putin che difende gli attacchi dei Russi alla Cecenia. La principale giustificazione è la paura del caos e l’idea contrapposta che lo Stato apporta unità, forza, ordine. Coloro che scrissero la Costituzione Americana usarono argomenti simili, e questo avvenne immediatamente dopo che una confederazione di stati privi di un potere centrale aveva sconfitto una potenza europea tra le più grandi! Che cosa ha la Russia, che già occupa un settimo della superficie della terra, da temere dalla Cecenia? La paura di Putin e di tutti i capi di stato è che una concessione ad una regione separatista o a un gruppo porterà a dover fare ulteriori concessioni ad altri gruppi. L’esigenza implicita e non espressa apertamente è che lo Stato Russo deve essere mantenuto nella sua interezza. La Russia è un valore in sé stesso, almeno questo è ciò che essi credono. La glorificazione da parte di Lincoln dell’Unione è in ciò simile. Se messi alle strette, gli statisti come Putin non sostengono pacificamente che tutti i Russi avrebbero qualcosa da guadagnare da una Russi unita, e ancor meno presentano questa cosa ai Russi come una scelta volontaria. Invece, fanno ricorso alla forza. I Ceceni (e altri gruppi separatisti in altri paesi) chiaramente non vedono che vantaggio ci sia nel rimanere sotto la sovranità russa. Un movimento di indipendenza lo dice chiaramente. Esso esprime i suoi propri valori. Coloro che lo vorrebbero sopprimere non esprimono alcun valore. Questo è del tutto chiaro. La forza e il successo del pensiero statista è evidentemente notevole se una cosa che è del tutto ovvia ha bisogno di essere espressa apertamente e rimarcata. Il movimento di indipendenza Americano che ruppe con la Gran Bretagna espresse i propri valori, e tra quelli non vi era il valore di essere sottomessi al Re Giorgio. Nessuna argomentazione del Re avrebbe retto contro le preferenze espresse dai ribelli che non avevano dato il loro consenso al suo potere. La Forza non rappresenta una argomentazione. Ad essa si ricorre quando una presunta giustificazione fallisce.
La propaganda degli stati è così forte che fa apparire del tutto stravagante sostenere la possibilità di una governabilità non-territoriale, come pure accordi di gestione che coprano un’area più vasta di possibilità e che sono ancora da scoprire e attuare. Questa è l’idea della panarchia, e cioè, come indicato da John Zube in uno dei suoi scritti: “La realizzazione di molte comunità differenti e autonome quante sono richieste dagli individui secondo le loro libere scelte, comunità che coesistano tutte senza alcun monopolio territoriale, l’una accanto all’altra e mescolate tra loro, sullo stesso territorio o disseminate sulla terra, e al tempo stesso ognuna distinta per leggi, amministrazioni e giurisdizioni, come sono o dovrebbero esserlo differenti chiese.” Se continuiamo a credere nell’idea fittizia inculcataci dallo Stato che non possiamo vivere l’uno accanto all’altro con le nostre differenze, allora risulta difficile persino immaginare la panarchia. Lo Stato è riuscito in tal caso a tagliare alla radice la nostre facoltà di pensiero. Ha rimpiazzato il pensiero indipendente, la scelta volontaria e libera, l’espressione pacifica dei valori personali, e l’associarsi pacificamente con altri, con la violenza, l’inganno, la paura e la falsità. Lo Stato non può logicamente sostenere che è estremamente importante per il benessere di tutti coloro che vivono all’interno delle sue frontiere quando alcune persone all’interno di quelle frontiere dichiarano con estrema chiarezza che la loro situazione è peggiore quando sono sotto il potere dello Stato e che vorrebbero dissociarsi da esso. La forza dello Stato non consiste né nella persuasione né nel ragionamento e neanche nell’espressione di quello che una persona dissenziente apprezza. La forza dello Stato consiste nella soppressione di tale dissenso.
La ragione fondamentale perché il governo dovrebbe essere scelto volontariamente è che, in tal modo, ognuno di noi può ottenere in misura maggiore quello che vuole e in misura più ridotta quello che non vuole. Il fatto che noi personalmente abbiamo idee differenti su cosa è e cosa dovrebbe essere un governo costituisce un motivo in più per essere d’accordo nell’avere governi rivali nello e sullo stesso territorio (con una eccezione notevole a cui si farà cenno tra breve). Il fatto che noi, in una certa qual misura, ci siamo amalgamati con tipi diversi di governo come negli stati-nazione (anche se l’equilibrio è mantenuto attraverso la forza e l’inganno) è una dimostrazione che la cooperazione tra governi rivali è possibile. La terra è un grande territorio che contiene al suo interno molti governi. Non vi è motivo per il quale il territorio degli Stati Uniti o qualsiasi governo non possa contenere molte giurisdizioni indipendenti, fino ad includere la più piccola giurisdizione, che è quella del singolo individuo. Il Governo dovrebbe essere una questione di scelta personale.
La tesi che conviene a ognuno di noi essere d’accordo nell’avere governi in concorrenza tra loro ha una eccezione importante, e cioè che la convenienza viene a cadere per coloro che ricavano un guadagno dal loro potere sopra gli altri. Alcuni di noi vogliono un governo che comandi sugli altri anche quando loro non accetterebbero mai di essere comandati. Alcuni di noi non solo hanno la pretesa di dire agli altri come vivere e comportarsi, essi vogliono anche costringerli a vivere in un certo modo. Questo tipo di persona, sulla base dell’analisi di James Ostrowski, possiamo definirla come un fascista. Questo è quanto dice Ostrowski:
“Come potremmo chiamare questa vasta coalizione basata sul potere dello stato? È chiaro che esistono due prospettive politiche di base: quella libertaria e quella fascista, usando questo secondo termine nel senso colloquiale che si attribuisce a chi voglia imporre la sua volontà sugli altri. Anche una definizione più accademica non si discosta molto dal mio modo di usare il termine. Fascismo consiste nella ‘glorificazione dello stato e nella subordinazione totale ad esso dell’individuo. Lo stato è definito come un tutto organico nel quale gli individui devono essere assorbiti per il loro bene e per quello dello stato.’ (Columbia Encyclopedia, 6th ed.)”
La Panarchia si oppone decisamente all’idea fascista, che consiste nell’imposizione di un governo (o stato) sulla persona che non vuole quel governo. L’idea libertaria illustrata da Ostrowski è altrettanto decisamente opposta all’idea fascista. Se i fascisti non cedono il loro potere monopolistico pacificamente e se non si scoprono modi per sottrarsi al loro giogo, allora non vi è alternativa per i panarchici e i libertari se non fare ricorso agli strumenti di difesa come fecero i rivoluzionari Americani.
Un ideale veramente Americano è quello di Jefferson, che consiste nella scelta volontaria del proprio governo. Questa idea era radicale nel diciottesimo secolo ed è radicale ancora oggi. È l’idea della libertà estesa alla scelta del governo. L’idea della libertà è l’esatto opposto dell’idea di fascismo. L’idea della libertà non è stata ancora realizzata. Ce ne siamo allontanati parecchio, ma davvero, in direzione del fascismo. Forme fasciste di ragionamento sono prevalenti in America, a tal punto che la rinascita della libertà sembra a volte solo un sogno. Eppure la libertà riemergerà perché l’idea fascista è alla base una idea malvagia nella misura in cui, tra le altre cose, cancella l’umanità e gli esseri umani. Il fascismo domina attraverso la forza e l’inganno, ma non potrà resistere una volta smascherata attraverso l’emergere della verità o di aspirazioni a vivere una vita intensa che sono insite in ciascun essere umano. Queste affermazioni sono dettate dalle mie convinzioni in termini di valori. Parlando in termini neutrali, la stessa idea può essere espressa così. Esistono parecchie grandi opportunità irrealizzate quando le persone sono schiacciate e non possono mettere in atto le loro scelte di valore. Le persone possono conseguire risultati ben più elevati attraverso una ri-organizzazione che cancelli l’oppressione. Il sistema attuale che sopprime questi valori e i possibili risultati positivi può continuare a esistere per via dei costi elevati di un cambiamento. Comunque, presto o tardi, le persone oneste di questo mondo troveranno il modo di ridurre quei costi per poter conseguire i risultati positivi. Essi porranno fine o almeno ridurranno il dominio dei fascisti.
Molti di noi sono tenuti prigionieri dallo Stato sotto un governo che non è di nostra preferenza. Faccio riferimento non solo ai libertari o anarchici o mini-anarchici o verdi o socialisti o democratici o repubblicani o a persone di qualsiasi appartenenza politica, definita o vaga, ma a tutti coloro tra di noi che non sono fascisti. Invece di combatterci l’un l’altro, dovremmo riconoscere che siamo tutti prigionieri rinchiusi nella stessa prigione. Il nostro nemico comune è il fascista che si rifiuta di lasciarci la libertà di scegliere il governo che vogliamo. Il nostro nemico comune è il fascista che insiste nel guidarci come un branco nelle stesse guerre e negli stessi programmi sotto le stesse regole imposte da un governo monopolistico. E quando noi cadiamo nella tentazione di costringere l’altra persona ad avere il tipo di governo che noi vogliamo, allora noi diventiamo fascisti.
Noi dobbiamo continuare a reclamare la nostra libertà e liberarci dal pensiero fascista, qualunque siano le nostre opinioni politiche. Dobbiamo capire che questo non vuol dire imprigionare altri all’interno delle mura delle nostre convinzioni settarie attraverso i vincoli di un governo nazionale monopolistico o di qualsiasi altro monopolio governativo. Cerchiamo di capire che noi non possiamo avere la nostra libertà senza che l’altra persona abbia la sua. Riconosciamo che il nostro nemico è davvero l’idea fascista di “imporre la propria volontà sugli altri.” Non appena noi cerchiamo di governare sugli altri e di creare un sistema nel quale le nostre opinioni prevalgono e impediscono gli altri di effettuare le loro scelte, noi contribuiamo a generare la nostra stessa rovina. Così facendo noi ci rinchiudiamo nelle nostre prigioni e ci alleiamo con i fascisti. E ostacoliamo in maniera intollerante la scelta volontaria del governo.



Originale: (http://www.panarchy.org/rozeff/scelta.2009.html)

sabato 7 febbraio 2009

Marx in soffitta

Bene ricordarlo:


giovedì 5 febbraio 2009

anarChomsky



di Carlo Luigi Lagomarsino

Per quanto alcuni saggi sembrino rimbalzare con troppa disinvoltura da una raccolta all’altra, leggo sempre con piacere i libri di Noam Chomsky,. Mettere insieme diversi testi variamente dedicati all’anarchismo è stata comunque una bella idea (della AK Press, e adesso, in traduzione italiana, della Tropea: Anarchismo. Contro i modelli culturali imposti). Ciò che impressiona di Chomsky è la sempre ragguardevole documentazione. Tuttavia, l’ampiezza dei riferimenti e la menzione dei testi sembra a volte chiudere la discussione anziché aprirla o, perlomeno, rischia di ridurla a una valutazione di attendibilità e pertinenza circa le affermazioni che dovrebbero asseverare. L’impressione è che nei testi radicali Chomsky preferisca far parlare detta documentazione (e se ben ricordo, da qualche parte l’ha pure confermato) poco curandosi, se non per quel tanto che essa suggerisce, dei nodi teorici implicati, la qual cosa comporta un’attenzione ai fatti reali che via via va a confondersi coi fatti testuali. Se c’è (o ci possa generalmente essere) una stretta coincidenza fra i due non vuol però dire che si sia fatta chiarezza o che la logica di questi fatti, rigorosa quanto si vuole, tenda di per sé a far comprendere in modo più preciso le scelte di Chomsky. Così, nel momento in cui rende sensibile la sua inclinazione alla “democrazia diretta” (di sindacalisti rivoluzionari, marxisti consigliaristi e anarchici) non ci viene detto in che maniera concretamente la concepisca, quanto sia efficace e desiderabile, quanto sia – e come – condivisa dai vari soggetti che compongono i gruppi ai quali si riferisce.
Non viene ben chiarito prima di tutto se essa debba ritenersi fondata su basi territoriali o di mestiere, elemento decisivo e carico di conseguenze pratiche. Maggior luce sulla questione, per esempio, migliorerebbe la lettura della parte dedicata agli avvenimenti della guerra civile spagnola di quello che è il saggio più noto, lungo e interessante (nonostante quanto si va rimarcando) di questa raccolta: Obiettività e cultura liberale. Chomsky non sciorina, come invece ci si potrebbe aspettare tanto pare ormai scontata, la solita verbosità sui crimini stalinisti. Ritiene viceversa, finché ci si limiti ad analizzare come obiettivo la difesa della Repubblica, la politica stalinista una politica realista. In un certo qual modo, così facendo, Chomsky rigetta “anarchicamente” ogni difesa dello Stato per volgere la sua attenzione alla rivoluzione sociale quale unica vera difesa del campo repubblicano, per una “repubblica” d’altro segno ovviamente. In questo senso un ben diverso realismo lo ritrova nelle posizioni di Camillo Berneri. Anche codesta indicazione non porta in ogni caso all’auspicato “chiarimento”, cosicché il suo collocarsi dalla parte delle collettivizzazioni messe in atto da marxisti del POUM e anarchici (ma trascura le analisi di “Bilan”) ha l’aria di minimizzare gli eventi drammatici di quei giorni (e il diffuso clima di omicidio) nella riduzione a una semplice scelta di campo della quale poco o nulla si viene in realtà a sapere. Forse è un suo modo per far pensare.

lunedì 2 febbraio 2009

Una lettera alla Radicale Rita Bernardini

Cara BERNARDINI,
faccio una premessa, le scrivo non per darle la mia solidarietà né per accusarla di un gesto che secondo la mia opinione è sintomo di uno spirito sinceramente democratico presente in lei, ma per fare una riflessione anche alla luce di tutti i vari commenti che ho letto sul sito dei radicali.
La considerazione consiste nell’osservare i danni che provoca lo stato anche in queste situazioni, capisco la rabbia come sono d’accordo con chi diceva che la sua prima visita doveva farla alla vittima non al carnefice, ma mi domando come non si faccia a capire che se un’ omicida, stupratore o delinquente in genere viene picchiato in una struttura di un carcere, simbolo perfetto della sicurezza e della perfezione dello stato, il problema stia proprio nella violenza delle istituzioni.
Ripeto, mi rendo conto della gravità della situazione come cerco di capire lo stato d’animo della povera ragazza che non riesce a riprendersi, ma a tutti domando: se la soluzione alla violenza è la violenza delle istituzioni, qual è la differenza tra un criminale e l’apparato burocratico chiamato stato?
Qualcuno disse che la democrazia in un paese si misura osservando proprio i suoi carceri, in Italia c’è da misurare solo inesattezze, repressione e ingiustizia di un sistema repressivo che ogni anno conta suicidi e accuse di intolleranza.
Come vogliamo cambiare questa società, in meglio spero, se poi ci scandalizziamo giustamente alla vergogna di uno stupro e non alla vergogna di una violenza che avviene proprio negli edifici di quella istituzione che si definisce madre della giustizia e della convivenza?
Io sono tra quelli che ogni volta che si vota è seduto a casa a guardare dalla finestra quante persone amano farsi delegare, sono tra quelli che considera il parlamentare il primo criminale, ma sono convinto che se lei il tempo libero, da parlamentare, lo dedica a visitare un carcere sta facendo una cosa giusta, però senza rendersi conto che lo stato in genere è violenza e imposizione nella sua essenza e non potrà mai garantire una società pacifica.
Insomma mi domando se la violenza è nello stato come vogliamo far cambiare la società che di questa violenza non ne può più?
Solidarietà alla ragazza, nessuna alla forma attuale di carcere.
Saluti libertari,
Domenico Letizia

La risposta


La prego, Domenico, di andare a vedere sul sito della Camera quanti documenti parlamentari ho presentato, assieme ai colleghi radicali e non solo, sulla situazione delle carceri e della Giustizia in Italia. Così scoprirà anche quanti Istituti penitenziari ho visitato, quanti Centri dove sono reclusi gli extracomunitari. Ho portato deputati del PD che nella loro vita politica non avevano mai visitato un carcere.
Io penso che dovere di un parlamentare sia quello di agire per evitare che fatti come quelli di Guidonia si ripetano ancora.
Solo che la strada è difficile, quasi impossibile, perché lo Stato e le sue istituzioni sono i primi violatori delle leggi fondamentali, a partire dalla Costituzione.
Un caro saluto libertario anche a Lei
Rita Bernardini

Il sito di Giulia Innocenzi pubblica la lettera: http://giuliainnocenzi.com/2009/02/03/se-la-soluzione-alla-violenza-e-la-violenza-alle-istituzioni-qual-e-la-differenza-fra-il-criminale-e-lo-stato/


Queste sono, invece, le poche ma incisive parole di Marco Cappato: http://lnx.marcocappato.it/node/38697

La legittimità dello stato


di Per Bylund

Se lo stato possa o no essere legittimato è una preoccupazione fondamentale nella filosofia politica e nell’ideologia. Se ciò non fosse possibile, quale sarebbe l’alternativa?
La maggior parte delle persone oggi arriva alla “ovvia” conclusione che lo stato sia il naturale guardiano della società moderna e civilizzata. Senza lo stato arriva il caos – l’anarchia. Tuttavia, gli statalisti hanno un problema fondamentale di legittimità, di solito non preso in considerazione. Filosoficamente, come si possono legittimare i pieni ed illimitati potere ed obbedienza richiesti dall’attività decisionale centralizzata all’interno di un determinato territorio? In fin dei conti lo stato è chi ha il diritto di decidere per un gruppo di persone, che questi siano d’accordo o no.

Per la legittimità dello stato è centrale l’esistenza dello stato. Pertanto, chiedere quali questioni siano incarichi giustificati per l’apparato dello stato non legittima lo stato di per sé. Qualsiasi compito legittimo per uno stato implica di rispondere “sì” alla domanda “lo stato è legittimo”.

La domanda fondamentale da porsi è, quindi, se uno stato sia necessario del tutto, per esempio considerando le qualità e le capacità dello stato e paragonandole quelle di quello che viene chiamato “stato di natura”. Questa non è un’idea innovativa; John Locke e Thomas Hobbes meditarono questa domanda qualche centinaio di anni fa, come John Rawls ha fatto nel tardo XX secolo. Il problema è che hanno tratto conclusioni sbagliate.

Valutare lo stato di natura e la nascita degli apparati dello stato include tirare conclusioni sull’uomo. La questione basilare da porre è se l’uomo sia fondamentalmente buono o cattivo. Buono significa con qualità come la razionalità e la moralità, mentre cattivo sarà con irrazionalità e/o immoralità.

Se si arriva alla conclusione che l’uomo sia intrinsecamente buono, filosoficamente non c’è alcuna necessità di uno stato per mantenere la giustizia e la libertà. Le persone buone non danneggiano intenzionalmente le altre, non iniziano conflitti o violano i diritti individuali. Uno stato di natura popolato di persone buone è una società in armoniosa anarchia. Si tratta di una società fiabesca senza problemi, che non devono essere risolti dalla persone coinvolte. Così è l’anarco-capitalismo o libertarismo al suo meglio.

Invece, se si segue la tradizione lockeana e hobbesiana che riconosce l’uomo come essere fondamentalmente irrazionale ed egoistico, si può facilmente giungere alla conclusione che ci sia bisogno di una garanzia neutrale (uno stato) per difendere la pace, i diritti individuali e la giustizia. Questo è ciò che Hobbes concluse; vi è la necessità fondamentale per il governo del popolo (uno stato) di difendere i diritti naturali e portare ordine nel caotico stato di natura.

Ma se l’uomo è intrinsecamente cattivo, vale a dire miope, egoista, irrazionale ed immorale, come potrà mai istituire un governo neutrale, cosiddetto “giusto”? Sarebbe nel suo “personale interesse irrazionale” di istituire un governo che salvaguardi i propri interessi personali, ed opprima gli altri. Anche se anticipasse altri, che potrebbero comunque avanzare pretese al suo potere e tentare di conquistarne le strutture di governo, potrebbe considerare razionale solo la collaborazione con altri con cui abbia interessi in comune. Ma la razionalità è stata già esclusa in quanto caratteristica non umana.

Poiché è nell’interesse di tutti, nello stato di natura hobbesiano, di formare un governo personale per opprimere gli altri per il proprio benessere, ogni società degenererebbe ancora nella guerra e nel caos. Così, la teoria hobbesiana della formazione del governo in uno stato di natura porta solo a tornarci indietro. Si forma un eterno ciclo di oppressione e di guerra.

La conclusione di questa domanda fondamentale sulla natura intrinseca dell’uomo è che non c’è posto per lo stato – non importa come riteniamo sia fondamentalmente l’uomo, se buono o cattivo. O l’uomo è buono, il che significa che il governo non serve, o l’uomo è cattivo il che significa che non c’è speranza nel formare un governo. Il governo, quindi, può essere unicamente giustificato in una qualche maniera come un mezzo per modellare forzatamente la società come si preferisce.

Socialisti e conservatori non prendono in considerazione la domanda fondamentale sulla legittimità dello stato; assumono lo stato come dato di fatto. In questo modo esibiscono la loro ignoranza sulla natura stessa dell’uomo. Addirittura non cercano di definire cosa sia umano, e cosa no; quello che è importante per loro non è come stanno le cose, o come erano; ma quale società possono forzatamente creare in futuro. Le loro ideologie, quindi, sono solidamente fondate e ragionevoli quanto una religione. Basandosi su fatti fittizi si può giungere a qualsiasi conclusione!

Quello che è problematico nel socialismo è la sua fondamentale contraddizione. Usano lo stato, come organizzazione della forza naturale e filosoficamente difendibile, per raggiungere il loro valore fondante, della parità tra gli uomini. Ma lo stato può, come abbiamo visto, essere giustificato solo come un mezzo pratico per costringere gli altri a quegli ideali – non è sostanzialmente giustificato dalle qualità intrinseche dell’uomo. Perciò tentano di usare l’istituzione di un’aristocrazia basata sulla forza (lo stato) per creare l’uguaglianza. Il socialismo, semplicemente, non ha senso.

Da: http://liberteo.wordpress.com/016/

"Il mio identikit politico è quello di un libertario, tollerante. Se poi anarchico l'hanno fatto diventare un termine orrendo... In realta' vuol dire solo che uno pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia, le stesse capacità" ( Fabrizio De André )