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domenica 1 marzo 2009

RIVOLUZIONE O ANTITRUST?


Mentre in Europa il sogno della rivoluzione conquistava menti e cuori di marxisti e anarchici, i libertari americani si occupavano di antitrust... Risponde Pietro Adamo.
Nel tardo Ottocento e nel primo Novecento, a dividere la sinistra rivoluzionaria, prevalentemente europea, dalla sinistra -di matrice liberale- riformista in senso libertario, prevalentemente americana, fu essenzialmente il diverso modo in cui queste guardavano alla società. All’epoca si sarebbe detto il modo in cui si giudicava la società, anche se noi, oggi, possiamo anche dire il modo in cui, nel senso più lato, si giudica l’Occidente. In Europa, il mondo del capitalismo avanzato, della società borghese, della produzione e del consumo, era visto come qualcosa di estremamente negativo, quasi come il male che alligna nella storia e che, quindi, bisognava eliminare; cosa ottenibile soltanto con una rigenerazione totale, cioè con una distruzione che non lasciasse alcuna via di scampo all’esistente e, conseguentemente, con una ricostruzione che non poteva che ripartire dalle radici. Al contrario, la sinistra libertaria americana guardava alla società del capitalismo avanzato, dello stile di vita borghese -che all’epoca tendeva ad allargarsi anche verso ceti sociali che borghesi non erano-, non tanto come ad un qualcosa di positivo in sé, quanto come ad un qualcosa di positivo nel suo costrutto di fondo. Quello che, cioè, i libertari americani scorgevano nella società dell’Occidente avanzato era la potenzialità che questa stessa società aveva di essere migliorata, quindi di portare verso una società migliore e più giusta. Quindi, mentre in Europa si riteneva che l’esistente dovesse essere distrutto fin dalle radici, perché in esso non ci sarebbe stato nulla di buono, in America si tendeva a guardare a questo stesso esistente scorgendone i lati positivi, cioè gli aspetti che sembravano poter permettere una libertà maggiore, maggiori possibilità per gli individui, tramite il meccanismo della concorrenza. Penso che sia da queste differenze che si origina il sostanziale riformismo dei libertari americani, ma non solo, perché anche in Europa, in una certa sinistra, anche socialista e anarchica (ad esempio lo spagnolo Ricardo Mella), vi era un afflato riformistico o “migliorista” radicale, cioè vi erano degli sperimentalisti, vi erano coloro che rifiutavano l’ethos della rivoluzione perché ne comprendevano la dinamica più vera, cioè, semplificando moltissimo, quella giacobina che porta al terrore.I libertari americani (fra loro, comunque, anche assai diversi) sono stati un momento molto creativo nella filosofia politica moderna, e questo non solo per le loro proposte politiche. Alla metà dell’Ottocento, ad esempio, Lysander Spooner certamente pensava potesse essere allargato il “modello far west”, cioè una società di piccoli agricoltori, o di piccoli imprenditori, in grado di reggersi da soli -con la loro famiglia, la loro impresa-, proprio perché erano autonomi, liberi, sul territorio. Questo era, in fondo, un ideale che risaliva ai jeffersoniani del secolo precedente; era l’ideale, appunto, di una nazione di agricoltori indipendenti e autonomi che potevano benissimo costruirsi una società libera per loro conto, senza alcun bisogno di avere rapporti strutturati con l’esterno. Certo, in questa visione c’è molto di ingenuo, infatti non ha saputo fare i conti con ciò che è venuto dopo, cioè col fatto che il mondo capitalista si è invece allargato nella direzione opposta, nel senso di un’ulteriore strutturazione e stratificazione sia a livello sociale sia nella costruzione del potere. Nei primi decenni del Novecento, quindi in una situazione di capitalismo già più strutturato, William Greene, Joseph Labadie o Benjamin Tucker (che pure, alla fine della sua vita, arriverà quasi a dire che il capitalismo è irriformabile e quindi va distrutto), sosterranno invece che nell’Occidente avanzato vi sono i germi di una libertà possibile, ed è su questi che bisogna lavorare. Per questo scartavano a priori l’ipotesi rivoluzionaria che, secondo la loro esperienza, la loro lettura del moderno, porta irresistibilmente verso la dittatura, il terrore, la ghigliottina giacobina, eccetera. Questi non pensavano più all’ideale un po’ conservatore dell’agricoltore indipendente, ma situavano la loro analisi nelle grandi città, nei grandi centri urbani e industriali del nord, e insistevano sulla questione della proprietà non in relazione al pezzo di terra, ma in relazione al modo in cui, ancora oggi, la intendiamo noi, cioè la proprietà della casa e dei mezzi di produzione. Da qui la loro insistenza, in nome dell’ideale di autonomia sul mercato del produttore e del consumatore, sulla necessità di evitare il monopolio. Non a caso tutti questi fanno quasi sempre riferimento a Proudhon. Tucker tradusse in inglese Che cos’è la proprietà e altri scritti di Proudhon, e tuttora, in America, il mutualismo proudhoniano è una tendenza molto forte. Da queste basi nasce ovviamente la loro insistenza sull’antitrust, che però non è visto come una “sanatoria” del capitalismo, ma solo come uno degli strumenti per ostacolare la tendenza capitalistica al monopolio. La loro azione principale, infatti, era indirizzata nel senso di approntare una serie di strutture che evitassero la costruzioni di monopoli nelle sfere più importanti della vita: la terra, la rendita, il lavoro, lo scambio. L’idea centrale era quella che una società libera è una società basata su una concorrenza non viziata dal mercato o, potremmo dire ancora di più, su una concorrenza che deve essere mantenuta tale anche a costo di litigare con il mercato stesso, perché, appunto, il più grande contributo teorico di Proudhon alla teoria economica è stato proprio quello di avere avvertito, molto prima di Marx e con maggiore acume di Marx, che in realtà il meccanismo reale del mercato -il mondo degli uomini reali e non quello delle fantasie degli economisti- avrebbe portato ad accentramenti e a monopoli, piuttosto che a libertà e concorrenza. Come si diceva prima, queste posizioni dei libertari americani portarono a delle polemiche con gli europei. Tucker litigò, in una polemica durata 30 anni, con tutti i comunisti e gli anarco-comunisti europei presenti negli Stati Uniti, ed anche con quelli che stavano in Europa. Non a caso diceva che Piotr Kropotkin, uno dei principali teorici dell’anarco-comunismo, non era un anarchico né un libertario, ma era soltanto un comunista rivoluzionario. Ebbe anche una polemica con Johann Most, un comunista libertario tedesco emigrato negli Stati uniti, dove era divenuto uno dei leader delle tendenze rivoluzionarie.La polemica fu gravissima, riguardò un po’ tutto, anche aspetti etici. Tucker, per fare un esempio, era assolutamente contrario al principio per cui “i panni sporchi si lavano in famiglia”, quindi, quando venne a conoscenza del fatto che alcuni illegalisti vicini al circolo di Most attuavano, in combutta con dei dipendenti di una società di assicurazione, la pratica dell’incendio doloso, non solo denunciò pubblicamente sul suo giornale (il “Liberty”) tale attività, ma invitò anche tutti gli anarchici dotati di buon senso a fare esattamente la stessa cosa. Una posizione di questo tipo, nei movimenti rivoluzionari, fra gli anarchici, è impensabile a tutt’oggi: riuscite ad immaginarvi qualche anarchico dei giorni nostri denunciare su un giornale anarchico, con nome e cognome, qualcuno che sa essere coinvolto in qualche banda di “anarco-insurrezionalisti”? Mi sembra comunque che l’esperienza dia sostanzialmente ragione a Proudhon, ai proudhoniani e ai libertari americani, nel senso che, siccome il mercato ideale, quello vagheggiato da Marshall, da tutti i marginalisti e dai neo-marginalisti, non esiste, ed esistono invece gli uomini veri, avendo a che fare con essi, che non sono perfetti come li vorrebbero gli economisti, bisogna tener conto che molto spesso la liberalizzazione fatta senza pensiero, senza riflessione, conduce proprio a forme di monopolio. Per comprendere questo non è che uno deve andare all’America degli anni ‘90 dell’Ottocento, gli basta stare nell’Italia di oggi, e pensare a come è stata fatta la liberalizzazione dell’etere, che invece di far nascere un mercato libero ha creato un duopolio, se non un monopolio mascherato.

Dal mensile: Una Città

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"Il mio identikit politico è quello di un libertario, tollerante. Se poi anarchico l'hanno fatto diventare un termine orrendo... In realta' vuol dire solo che uno pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia, le stesse capacità" ( Fabrizio De André )