SITO ANARCOLIBERALE A CURA DI DOMENICO LETIZIA. Laboratorio per un Neo-Anarchismo Analitico che sia Liberoscambista, Volontarista, Possibilista e Panarchico con lo sguardo verso i valori del Liberalismo Classico, del Neo-mutualismo e dell'Agorismo. Un laboratorio che sperimenti forme di gestione solidali, di mercato dencentralizzato e di autogestione attraverso l'arma della non-violenza e lo sciopero fiscale, insomma: Disobbedienza Civile

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giovedì 30 aprile 2009

Dico la mia sul caso '' lista nera ''


In seguito alle dichiarazioni di Mario Zamorani:
Girando nel Web già un paio di settimane or sono avevo visto il sito internet “incriminato” con l’elenco ferrarese delle persone “del potere, da colpire con la maggior forza e determinazione possibile”; al cui interno mi sono immeritatamente ritrovato. Per quanto mi riguarda non mi interessa più di tanto che vengano pubblicati dati che mi riguardano. Anzi se, anarchici o meno che siano, sono interessati ad ulteriori informazioni, mi scrivano pure all’indirizzo mario.zamorani@libero.it. Fornirò loro qualsiasi altro mio dato che venga ritenuto utile, anche da diffondere nella rete. Ritengo che gli autori degli elenchi possano pubblicare tutte le informazioni che credono su persone pubbliche e pure usare il linguaggio che preferiscono anche se, da nonviolento, certe forzature semantiche paiono più orientate alla violenza che non al confronto anche serrato o alla lotta politica (fermo restando che in alcune analisi dell’autentico pensiero anarchico non fatico a riconoscermi). Ma soprattutto mi pare significativo notare che la crisi culturale, politica, sociale, di costume e forse persino antropologica che viviamo, contagia pure i sedicenti anarchici, o almeno questi. Nelle loro parole si trova davvero poco o nulla della nobiltà della storia e del pensiero autenticamente anarchico.

Ho deciso di scrivere una lettera che Mario con gentilezza ha pubblicato: http://www.estense.com/?module=displaystory&story_id=50373&format=html


Ancora a proposito di anarchici. Ripeto che per me tutto quello che riguarda persone pubbliche può essere tranquillamente pubblicato, anche in rete, e ripeto che con la nobiltà della storia e del pensiero anarchico ben poco hanno a che fare le sia pur vaghe minacce apparse recentemente sul web. Mi fa poi piacere trasmettere la lettera che un anarchico mi ha inviato all’indirizzo email che avevo trasmesso per scelta e volontà trasparenza ai giornali. Mi sembra un contributo davvero importante per dimostrare che esistono anarchici e anarchici, molti dei quali si rifanno con rigore e senso di responsabilità ad una antica tradizione, altri meno. Lo ringrazio pubblicamente e ve la trasmetto.
Cordiali saluti.
Mario Zamorani, segretario di Radicali Italiani ed esponente lista Laici Riformisti

Salve Mario,
sono Domenico Letiza e le scrivo da Maddaloni nel casertano, sono venuto a conoscenza della famigerata lista nera e rimango sbalordito di quanta imbecillità ci sia in giro. Chi le dice queste parole? Un anarchico, libertario e antistatalista, si proprio uno di quelli che l'informazione vuole far passare per amanti del caos e del disordine. Io le scrivo non per minacciarla e neanche per ''inquisirla'', come lei ben saprà quest'attività è sempre stata dei governi non prerogativa degli amanti della libertà che contraddistingue noi libertari. Io appartengo a quell'anarchismo contemporaneo e criticato, un anarchismo che definisco liberale e di mercato, possibilista e mutualista ma sono un' amante della cultura libertara e anarchica in generale senza aggettivi, sostengo organi di informazioni come Umanità Nova il più ''vecchio'' e buon giornale che la storia Italiana conosca e sostengo quelle idee che sono vicine a quel pensiero tanto moderno come critico che è l'anarcosindacalismo, certo sono un critico, sono uno che ama il mercato, inteso come forza progressista e libertaria, il governo dei consumatori come un caro libertarian come Bruno Leoni amava dire e sono per una società fatta per la tolleranza, l'anarchismo sognato da Camillo Berneri e dal mondo antiautoritario che appartiene alla tradizione del pacifismo e dell'antimilitarismo. Le scrivo per manifestare il mio dissenso di chi con l'aiuto delle istituzioni, ne sono convinto, vuole ''eliminarla'' o inserirla in registri da controllare.
Le scrivo perchè lei continui a far il suo mestiere che è davvero brutto, mi permetta di dirlo sono un astensionista e un libertario, che è il mestiere della politica.
Ma se c'è una cosa che ogni cittadino e specialmente gli amanti della libertà con un minimo di cervello riconoscono è che senza i Radicali e le loro battaglie questo stato e questa Italia sarebbero peggio di quello che sono, controlli allora, io anarchico oggi non la condanno ma le dico che ho partecipato a scioperi della fame insieme al vostro partito, che combatto per un anagrafe degli eletti nel mio comune e sono anche iscritto all'Associazione Luca Coscioni, qualcosa veramente di serio è importante che vi è in Italia.
Certo ne ho dette di parole, ma dove voglio arrivare? Voglio dirle di non guardare con sospetto l'anima e il mondo libertario che vi è in giro, anzi di sostenerlo perché è difficile dimostrare il contrario i radicali hanno molto di libertario è nel vostro DNA e per questo che personalmente sono con voi molte volte. La differenza? Voi sognate istituzioni diverse più libere ma sempre ''imposte'', noi al massimo sogniamo quelle volontarie se proprio necessarie, ma come leggerà queste sono parole cordiali e affettive dedicate a chi comunque sa che il vostro partito con tutti i difetti lotta per la libertà, quella libertà che sia a voi che a noi piace tanto.
Che in giro ci sia gente che si definisca anarchica e poi sia stupida, da libertario sa che nessuno può avere il monopolio sui termini. Un saluto.
Domenico Letiza
(se vuole potrà anche pubblicare la lettera, credo che come tutte le azioni svolte in libertà, faccia parlare)

lunedì 27 aprile 2009

L'idea liberale di mercato distorta dallo stato


Un bel dibattito tra Domenico Letizia e Luciano Nicolini sul mercato, l'anarchia e lo stato, sulle pagine del mensile Cenerentola: http://www.cenerentola.info/archivio/numero112/articoli_n.112/dib.html

L'idea liberale di mercato distorta dallo stato

Ogni volta che mi dedico al dialogo definendomi anarchico liberale quindi liberoscambista e possibilista noto sempre da parte di chi ascolta una sorta di perplessità che a volte diventa stupore. Dove sta la perplessità? In due semplici paroline: Libero Mercato.
La concezione del libero mercato e del liberoscambismo non è estranea al movimento anarchico, anzi ne è una parte fondante, certo è importante definire cosa intendiamo con libero mercato e ancora più importante è analizzare perché con l’attuale crisi tutti si prestano dai repubblicani ai democratici, dai liberali ai socialisti, dai marxisti ai non-marxisti, tutti proprio tutti, si prestano a gettare la colpa del cataclisma economico al libero mercato.
Il mercato, lo scambio è la cosa più naturale che avviene tra gli uomini, l’uomo è fatto e basa la sua esistenza sullo scambio dalle opinioni al commercio. Quello che lo stato sta cercando di abbattere è l’idea di mercato non il capitalismo perché il capitalismo come lo conosciamo è sempre esistito in quanto collaboratore dello stato e suo strumento, il vero mercato è quello non assistito, quello libero, quello decentrato, contro i cartelli e monopoli, insomma quel mercato che appartiene all’idea del liberalismo classico mai applicato dai governi. Le politiche attuali, anche quelle più liberali, sono tutte unite nel dire che il mercato è fallito e c’è bisogno di stato: ecco cosa cercano veramente i governi nella loro totalità, cercano di rafforzarsi, cercano di divenire ancora più forti, di far capire che l’istituzione e lo stato sono essenziali per la vita dei cittadini che altrimenti vivrebbero circondati dal caos.
E’ qui che noi dobbiamo fermarci e riflettere, tocca a noi anarchici e amanti della libertà riprenderci l’idea di libero mercato, ovviamente creando un nuovo mercato, creando una nuova concezione anarchica e liberale. Di passi ne vedo specialmente nella cultura libertaria americana, l’esponente del mutualismo contemporaneo Kevin Carson si definisce a favore di un “libero mercato anticapitalista”, ritenendo che il capitalismo come comunemente inteso sarebbe impossibile senza stato, pertanto il libero scambio non comporterebbe rischio di sfruttamento.
Anche la tradizione storica dell’anarchismo europeo va ricordata bene, Bakunin esalta il liberismo nordamericano (non erano ancora sorti i trust), e dice “La libertà dell’industria e del commercio è certamente una gran cosa, ed è una delle basi essenziali della futura alleanza internazionale fra tutti i popoli del mondo”. E ancora: “I paesi d’Europa ove il commercio e l’industria godono comparativamente della più grande libertà, hanno raggiunto il più alto grado di sviluppo”. L’entusiasmo per il liberismo non gli impedisce di riconoscere che fino a quando esisteranno i governi accentrati e il lavoro sarà servo del capitale “la libertà economica non sarà direttamente vantaggiosa che alla borghesia”. Ancora oltre si spinge colui che definisco il libertario dei libertari Camillo Berneri secondo cui (n.d.r.) la forma economica anarchica doveva rimanere aperta, e che si dovesse sperimentare la libera concorrenza tra lavoro e commercio individuali e lavoro e commercio collettivisti. La collettivizzazione coatta era quindi da condannare se frutto dell’imposizione e non della libera scelta: l’anarchia non doveva portare ad una società dell’armonia assoluta, ma alla società della tolleranza.
Oggi più di prima è compito degli anarchici conservare e sviluppare idee di mercato diverso e libero e non far i giochetti dei governi che tutti insieme da destra a sinistra condannano il mercato per il controllo e il rafforzamento dello stato, a dir il vero questa direzione è già intrapresa; Pietro Adamo ha ripetuto più volte la necessità di recuperare l’idea di liberalismo e quindi anche di mercato, un nuovo sguardo all’esperienza del Novecento che non si fermi agli effetti pratici recenti del neoliberismo. Una concezione di mercato libertario in cui si incrociano istanze non solo economiche, ma etiche, politiche, sociali, e cosi via. La libera sperimentazione anarchica potenzia tutte le sfere in cui l’uomo agisce, non solo quella economica: proprio dall’interazione di queste sfere dovrebbe risultare una sorta di limite all’ambito del “mercato”. Saremo identificati come nuovi liberisti? Sì, curandoci di sottolineare, ogni qualvolta ne avremo l’occasione, la differenza tra noi e loro.
Recuperare un anarchismo che sia liberale, possibilista e di mercato curandoci di differenziarci sempre dagli pseudo-liberisti, che nei fatti non lo sono, delle forze di centrodestra. Tocca a noi recuperare quello che di buono c’è nel liberalismo e farlo divenire libertario. Rudolf Rocker scriveva agli inizi degli anni Trenta: “Tante strade conducono alla dittatura dalla democrazia e nessuna di queste strade parte dal liberalismo”.


Domenico Letizia


Non concordo

Che la concezione del libero mercato e del liberoscambismo non sia estranea al movimento anarchico è vero; che ne sia una parte fondante è notoriamente falso. Il movimento anarchico, in prima approssimazione, rappresenta la tendenza libertaria del movimento socialista, per cui, sempre in prima approssimazione, è sostenitore di un’economia pianificata. Che poi una pianificazione basata sul libero accordo (e quindi non imposta dallo stato) possa contenere elementi di contrattazione tra i produttori e, quindi, di mercato, è cosa che a chiunque conosca il mondo e, soprattutto, gli uomini che lo abitano, appare ovvia. Ma da qui ad affermare che il liberoscambismo sia “una parte fondante del movimento anarchico”…
Non mi risulta, inoltre, che “con l’attuale crisi tutti si prestano, dai repubblicani ai democratici, dai liberali ai socialisti, dai marxisti ai non-marxisti, tutti proprio tutti (…) a gettare la colpa del cataclisma economico al libero mercato”. In verità, fino a pochi mesi fa tutti, proprio tutti, tranne una piccola parte dei marxisti e gli anarchici, sostenevano che il libero mercato fosse la panacea di tutti i mali; ed anche ora, di fronte a una crisi economica di proporzioni gigantesche, continuano a dire che lo stato deve intervenire per sostenere, o al più per “correggere le storture” del mercato, non certo per abolirlo.
Non conosco le opere di Kevin Carson. Concordo con l’affermazione che “il capitalismo come comunemente inteso sarebbe impossibile senza stato”, rimango invece perplesso rispetto all’affermazione che “il libero scambio non comporterebbe rischio di sfruttamento”: il libero scambio può portare all’arricchimento di alcuni a scapito di altri; e l’arricchimento di alcuni può portare alla costituzione di stati, anche molto feroci, finalizzati al mantenimento delle differenze sociali venutesi a creare e all’instaurazione di un regime basato sullo sfruttamento.
Non mi stupisce il fatto che Bakunin abbia esaltato “la libertà dell’industria e del commercio”. All’epoca lo facevano anche i marxisti, convinti che si trattasse di un passaggio necessario per il superamento del capitalismo. Quanto a Berneri che, è bene ricordarlo, fu ucciso dagli stalinisti proprio per la sua strenua difesa delle collettivizzazioni, era favorevole al lavoro e al commercio individuali soltanto a patto che non comportassero l’utilizzo di manodopera. Probabilmente tale posizione era dovuta alla (giusta) convinzione che, anche all’interno di una ipotetica “società dell’armonia”, ci sarebbe comunque chi preferisce lavorare in proprio, e che sarebbe assurdo, oltre che assai poco libertario, negargliene la possibilità.


Luciano Nicolini

sabato 25 aprile 2009

La Resistenza Giusta


‘‘Nei Paesi democratici, la scienza dell’associazione è la scienza-madre; il progresso di tutte le altre dipende dal progresso di quella”.
“Una nazione che non domanda al suo Governo altro che il mantenimento dell’ordine è già schiava nel fondo del cuore”.
A. de Tocqueville


Che nonostante tutti gli sbagli il lavoro dei Radicali in questo paese sia quanto più di lucido si possa avere lo si capisce proprio oggi che tutti festaggiano la resistenza, non so come dirlo, non c'è niente da festaggiare.
Certamente la liberazione dal nazifascismo e la lotta partigiana ( anche se studiata male e ideologicamente molto c'è da dire sulla resistenza) è stata una grande , conquista per il nostro paese, una vittoria per un minimo di democrazia e il ritorno a poter esprimere almeno punti di vista differenti, ciò che il fascismo che molti in Italia di destra e di sinistra sognano ancora, aveva negato.
I Radicali Italiani sono l'unico partito che festeggierà criticamente, insomma festeggierà pur sapendo che non vi è nulla da festeggiare, quindi non festeggierà ma lotterà anche oggi in clima di festa.
Pubblicamente e per la prima versione è stato presentato il documento su "La Peste italiana", sull'avvenuta sessantennale cancellazione della democrazia e dello Stato di diritto nel nostro Paese, alla vigilia di elezioni europee che già si possono definire illegali. Infatti, nonostante alcune vedute diverse da qunto vi è scritto in questo 25 Aprile non vi è nulla da festeggiare. Siamo in dittatura e quel che è peggio è una dittatura non dispostica. Da 60 anni, in Italia, al regime fascista del Partito-Stato ha fatto seguito il regime “sfascista” dello Stato dei Partiti. Da 60 anni, una puntuale e sistematica violazione della Costituzione viene dolosamente consumata contro il popolo italiano, quel “demos” che vive deprivato delle condizioni minime di conoscenza e legalità, necessarie per esercitare il potere sovrano in forma legittima. In Italia non c’è democrazia, ma partitocrazia, oligarchia, vuoto di potere, arroganza del potere, prepotenza e impotenza. Non esiste Stato di diritto, ma arbitrio di regime.
Berlusconi e i suoi “detrattori” e “accusatori” sono in realtà l’espressione (finale?) di una identica vicenda politica. Sono affratellati da un comune destino, per ora illegale e drammatico, domani probabilmente anche violento e tragico. Lo sbocco è quasi obbligato........ La nostra speranza è di rappresentare una speranza: l’alternativa radicale possibile di una democrazia fondata sulla libertà di associazione e partecipazione, sulla libertà di informazione e conoscenza, sulla libertà della persona.
Ecco, certamente, personalmente non sognerò uno stato di diritto o diritti di stato, ma sogno libertà, quella libertà che tutti oggi sanno che manca ma che solo i Radicali nel giorno della Resistenza denunciano. Il 25 aprile manifestiamo "per una nuova Liberazione", a Roma non vi sarò ma la mia solidarietà l'esprimo senza rimpianti.
Sia chiaro però, alle europee come detto altre volte: Astensione!

venerdì 24 aprile 2009

Lega Nord razzista e anti-mercato


L'IDIOZIA DELLA CLASSE POLITCA NON HA FINE, E LA LEGA NORD E' L'EPITOME DELLA STUPIDAGGINE IN FORMATO CASTA.
http://www.movimentolibertario.it/home.php

Giro di vite in Lombardia per take-away, kebaberie, ma anche gelaterie, pizzerie d'asporto, rosticcerie e piadinerie. Saracinesce giù tassativamente non oltre l'una del mattino. Posate e bicchieri usa e getta. Vietato consumare sui marciapiedi fuori dai locali. Pena sanzioni fino a 3 mila euro. Era nata dietro la spinta della Lega, per arginare il «fenomeno kebab», i locali arabi aperti giorno e notte, a centinaia solo nei capoluoghi. E per combattere «gli assembramenti» sui marciapiedi, fuori dai ritrovi etnici. Ma sei mesi di revisioni hanno trasformato il progetto di legge «anti-kebab», per ammissione degli stessi esponenti della Lega, in un provvedimento punitivo per tutti gli artigiani del fast food. Oltre seimila in Lombardia".

mercoledì 22 aprile 2009

Dichiarazione II Congresso Mondiale per la libertà di ricerca


Noi sottoscritti, donne e uomini di scienza, esponenti politici, cittadine e cittadini riunitisi presso la sede del Parlamento europeo di Bruxellesdal 5 al 7 marzo 2009 per il Secondo incontro del Congresso mondiale per la libertà di ricerca Salutiamo la continuazione del percorso avviato nella sessione costitutiva dell'ottobre 2004 e proseguito con il primo incontro del febbraio 2006; quegli appuntamenti furono decisivi sia per il successo della campagna condotta alle Nazioni Unite contro la proposta di messa al bando mondiale della ricerca sulle cellule staminali embrionali, sia per la campagna a favore della finanziabilità di tale ricerca da parte dell'Unione europea;
Di fronte al proseguirsi nel mondo degli attacchi alla libera ricerca e conoscenza, alla libertà di coscienza e di pensiero, alla stessa libertà religiosa e di parola e alle altre forme di oscurantismo sia di matrice politico-ideologica sia di natura
dogmatico-religiosa, riteniamo urgente e necessario compiere ulteriori passi verso il consolidamento del Congresso mondiale come sede permanente di confronto e di iniziativa per i diritti umani, civili e politici fondamentali di ogni cittadino.
In particolare riteniamo necessario dare risposta sistematica e organizzata alla grande questione sociale del nostro tempo: quella della malattia e della disabilità in una popolazione che mediamente invecchia, delle straordinarie possibilità e
prospettive di cura legate agli avanzamenti della ricerca biomedica, così come degli strumenti tecnologici e delle nuove forme di assistenza autogestita che sempre più consentono il recupero di facoltà perdute e il superamento di disabilità:
“dal corpo dei malati al cuore della politica” è un programma di azione che proponiamo per l'oggi agli scienziati, ai pazienti, ai politici e a tutte
le persone di buona volontà.

Noi sottoscritti individuiamo i seguenti obiettivi specifici, da perseguire a ogni livello, sia esso transnazionale, nazionale o locale:

• il monitoraggio dello stato della libertà di ricercae di cura nel mondo, attraverso un rapporto annuale e un costante aggiornamento del quadro
comparato delle legislazioni e delle politiche nazionali;
• il rafforzamento o la creazione di politiche, regole e giurisdizioni, anche internazionali e costituzionali, a difesa del diritto alla libertà di ricerca,
al quale corrisponde un dovere degli Stati a promuovere la libera ricerca e a diffonderne i benefici in modo equo per tutti i cittadini (art.15,par. 1b) e 3 dell´International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights) incluso attraverso la cooperazione con le aree meno sviluppate del pianeta;
• la libertà di ricerca sulle cellule staminali, in particolare:
1. superamento dei divieti posti dall'Unione europea alla finanziabilità della ricerca ottenuta con la tecnica del trasferimento del nucleo cellulare;
2. superamento dei divieti proposti, pur se in modo non vincolante, in sede di Nazioni Unite;
• la creazione di una rete internazionale che aiuti a diffondere una corretta informazione in merito all'accesso alle terapie nel mondo e a difendere
i pazienti dalla violazione del diritto a cure sicure ed efficaci; un servizio internazionale di "Soccorso civile", sul modello del documento
stilato dalla Società Internazionale per la Ricerca sulle Cellule Staminali, che nel 2008 ha diffuso delle linee guida sull'applicazione clinica della ricerca sulle cellule staminali;
• la promozione dell'insegnamento del metodo scientifico, sia per il suo valore pratico, sia per il suo ruolo decisivo nella difesa del metodo democratico
e della tolleranza;
• l'affermazione dell'autodeterminazione individuale in materia di cure, secondo il principio in base al quale nessuno può essere sottoposto a terapie contro la propria volontà, e ciascuno può decidere quando e come iniziare, proseguire o sospendere terapie, anche nel caso in cui tale sospensione può condurre il paziente alla morte;
• l'attuazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, in particolare nei Paesi meno sviluppati.
Per organizzare campagne specifiche sugli obiettivi summenzionati, i sottoscritti:
• confermano l'Associazione Luca Coscioni nel ruolo di Segretariato organizzativo;
• si impegnano nella creazione di reti e gruppi di lavoro tematici e territoriali, nonché nell'aggregazione di singole categorie come gli scienziati e i premi Nobel, i pazienti e i rappresentanti di organizzazioni non-governative e politico-istituzionali, in collaborazione con il Partito Radicale Nonviolento, transnazionale e transpartito (organizzazione non governativa con status consultivo alle Nazioni Unite).
I sottoscritti si impegnano ad avviare un confronto su alcuni dei temi emersi nel corso del dibattito, come:
• la parziale conversione delle spese per ricerca e sviluppo a fini militari in spese per ricerca e sviluppo a fini civili;
• le implicazioni delle neuroscienze;
• le implicazioni delle nanoteconologie;
• gli organismi geneticamente modificati;
• il libero accesso al sapere scientifico.

lunedì 20 aprile 2009

Scuola di stato non piace

Una notizia autenticamente Antistatalista:

Migliaia di genitori hanno creato cooperative o associazioni, sono diventati gestori di una scuola per non mandare i figli nelle pubbliche

VAI:
http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=124&ID_articolo=595&ID_sezione=274&sezione=

sabato 18 aprile 2009

Definire le parole


Questo post è dedicato alla definizione di alcune parole: Stato, governo, anarchia, schiavitù, furto, estorsione, libera associazione.
http://lumerinnovato.blogspot.com/


1. Definizione di anarchia


Quando si parla di "anarchia", la gente tende a spaventarsi, perché considera questa parola un sinonimo di "caos", o "violenza", o "assenza di legge", o "assenza di regole". Al contrario, anarchia significa soltanto "assenza di governo" o "assenza di Stato".

2. Definizione di Stato

La definizione più breve di governo, o Stato, è: "agenzia di coercizione legittimata". Esplicitando il significato delle parole 'coercizione' e 'legittimata', otteniamo:
Il governo, o Stato, è un'agenzia che compie atti invasivi della persona o proprietà altrui ed è considerata legittima dalla maggior parte della gente.

3. Definizione di anarchico

Unendo le due definizioni precedenti si ottiene che
un anarchico è uno che sostiene che nessuno ha il diritto di compiere atti invasivi della persona e proprietà altrui.
Detto così, non sembra un punto di vista temibile o sanguinario. Anzi, sospetto che la maggior parte della gente lo sottoscriverebbe. Ma la differenza tra un anarchico e le altre persone è che l'anarchico non ammette alcuna eccezione a questa regola.
Scrive a tal proposito David Friedman:

Nella nostra società si ritiene che un individuo abbia il diritto di rifiutare un'offerta di lavoro; la negazione di questo diritto è una forma di coercizione chiamata schiavitù.
Si ritiene anche che un individuo abbia il diritto di rifiutare una richiesta di denaro o una proposta di scambio. La negazione di tali diritti è chiamata, rispettivamente, furto ed estorsione.
Il governo è un'agenzia di coercizione legittimata. La caratteristica che distingue il governo dalle altre agenzie di coercizione (come le mafie o altre associazioni criminali) è che la maggior parte della gente accetta la coercizione governativa come una cosa normale e adeguata. La stessa azione che è considerata coercitiva quando effettuata da un individuo privato viene ritenuta legittima se viene effettuata da un agente governativo.
Ad esempio, se io grido "fermati, ladro!" a un borseggiatore che fugge con il mio portafoglio, i passanti potranno aiutarmi o meno, ma almeno riconosceranno la ragionevolezza del mio atto. Ma se grido "fermati, ladro!" ad un impiegato dell'agenzia delle entrate, che se ne va da casa mia dopo avermi informato di aver congelato il mio conto in banca, i miei vicini penseranno che sono pazzo. Eppure, oggettivamente, l'agenzia delle entrate effettua lo stesso atto del ladro: si impadronisce della mia proprietà senza il mio permesso.
[Ricordo che la definizione di furto è: l'atto di impadronirsi della proprietà altrui senza il libero consenso del proprietario. Ne segue che le tasse sono furto. NdM.].
È vero che il governo afferma di fornirmi dei servizi in cambio delle tasse; ma pretende di riscuotere da me le tasse indipendentemente dal fatto se io desidero quel servizio o meno. Si può discutere se questo sia furto o estorsione. Ma in ogni caso, se fosse un privato a fare una cosa del genere, tutti sarebbero d'accordo nel ritenerlo un crimine.
Come altro esempio, supponiamo che un datore di lavoro privato, che offre un salario basso e un lavoro molto spiacevole, non riesca a trovare abbastanza persone disposte a lavorare per lui, e decida di risolvere il problema scegliendo persone a caso e minacciando di imprigionarle se si rifiutano di lavorare per lui. Questa persona sarebbe processata per rapimento ed estorsione ed assolta per infermità mentale. Ma è esattamente così che il governo recluta le persone per combattere una guerra o per far parte di una giuria.
...
I governi costruiscono strade. Anche i privati, occasionalmente, costruiscono strade. Ma il privato deve prima comprare la terra ad un prezzo soddisfacente per il venditore. Invece il governo stabilisce un prezzo a cui il venditore è obbligato a vendere.

(Tratto da "L'Ingranaggio della Libertà")

4. L'anarchico non si oppone al comando e all'autorità

So per esperienza che molte persone, anche dopo aver letto questo, hanno ancora difficoltà a capire la differenza tra lo stato e una compagnia privata. Ad esempio, un mio amico mi ha fatto di recente questa domanda:
Come spieghi che tutte le multinazionali ... adottano una struttura gerarchica più o meno rigida ... [basata sul comando]? Potrebbero adottare una qualsiasi forma di anarchia? ... Come mai le società private sono strutturate con limpide forme di governo?

La mia risposta è stata:

Le compagnie private, contrariamente a quanto dici, non sono paragonabili a forme di governo. Infatti sono società volontarie. L'ingresso in queste società è libero e volontario. Cioè, quando diventi un dipendente di queste società, tu accetti liberamente e volontariamente di essere comandato da un superiore. Quindi non c'è alcuna violazione dei tuoi diritti. Sei stato tu a dare al tuo superiore, con un contratto, il diritto di comandarti.
In secondo luogo, le compagnie private ottengono le loro entrate con lo scambio volontario, non con l'estorsione. Questa è un'altra differenza fondamentale tra le compagnie private e gli Stati.
Un altro modo di dire la stessa cosa è: in che modo le multinazionali compiono atti invasivi della persona e della proprietà altrui? Risposta: in nessun modo. Ma allora non sono governi.
In altre parole, l'anarchico non è uno che si oppone alla coercizione; è uno che si oppone al comando illeggittimo, cioè non derivata da un contratto. Se però io ti ho dato con un contratto il diritto di comandarmi, o di compiere su di me atti invasivi, non c'è problema.
Ad esempio, l'anarchico non ha niente in contrario al comunismo volontario: entrare liberamente a far parte di una comunità dove la proprietà sia messa in comune. Cioè, io stipulo un contratto con cui do ad altri membri della comunità il diritto di prendere ciò che produco (=tassarmi) e di redistribuirlo ai membri più bisognosi. L'ingresso in queste comunità sarebbe libero, quindi non c'è problema.
L'anarchico non sostiene che non deve esserci un'autorità col diritto di comandarmi o invadermi. Dice solo che devo essere stato io a dare a questa persona, con un contratto, il diritto di comandarmi o invadermi. Altrimenti, se pretende di comandarmi o invadermi senza che tra di noi ci siano contratti, allora è un criminale.

5. La differenza tra uno Stato e un club volontario

Per chiudere, trovo molto incisivo questo discorso di Walter Block:

Il governo ... non dice: “Gradiresti per caso la nostra protezione? Se è così, questa è la nostra tariffa. Se però non vuoi la nostra protezione, non devi pagare. Oppure puoi scegliere di farti proteggere dalla compagnia Rossi, nostra concorrente. Se sceglierai questo, per noi non c’è problema”.
Se dicessero questo, allora non sarebbero un governo. Sarebbero soltanto degli onesti uomini d’affari che ti offrono un servizio. Ma non è questo che dicono. Ciò che dicono è: “Devi pagare il servizio, che tu lo voglia o no, altrimenti ti manderemo una lettera poco amichevole, e poi ti manderemo un’altra lettera poco amichevole, e poi verranno delle persone a casa tua e ti porteranno in prigione.” E questo è molto, molto diverso. E ci sono persone che non riescono a capire la differenza. Avete presente quella barzelletta che dice “Sai la differenza tra il bagno e la camera da letto?”. Se rispondi di no, la barzelletta prosegue: “allora non venire a casa mia!”. Allo stesso modo, se non riesci a capire la differenza tra l’estorsione e lo scambio volontario, è meglio che non parli di politica.

giovedì 16 aprile 2009

Ciao Roberta Tatafiore


La libertà per Roberta era un istinto. Sapeva che la vita è fatta di strade che s'intrecciano e ogni tanto si separano. Era una donna di un'affettività profonda, sincera, fatta di grandi slanci, grandi abbracci, grandi litigi. Era una scrittrice appassionata, una ricercatrice serie, un'amica di quelle che non bastano mai. È indimenticabile da tanti punti di vista ma anzitutto per due cose: la bontà disarmante, e il suo humor strepitoso. (MINGARDI)

Nel ricordare Roberta riporto questo suo articolo:

La morte libera tra anarchia e diritto

A corpo freddo (di Eluana) e a mente raggelata (la mia) mi interrogo sulle ragioni dell’esito paradossale del cosiddetto Caso Englaro : il padre di Eluana è riuscito sì a liberare sua figlia da una vita-non vita (e in questo gli va tutta la mia solidarietà), ma a un prezzo molto alto: avremo la legge peggiore che esista al mondo sulle volontà di fine vita, malgrado la grande mobilitazione di tante teste competenti e intelligenti e dei sempre generosi Radicali per far sì che ciò non avvenga. A meno di clamorosi cambiamenti durante l‘iter accelerato della legge, dopo la legge la libertà di donne e uomini farà un passo indietro altrettanto clamoroso. La vittoria del padre di Eluana per sua figlia, sancita dai tribunali, si rovescerà in una sconfitta per tutti - sancita dal parlamento. Una vittoria di Pirro, politicamente parlando.
Anche in altri paesi, quelli ai quali dovremmo somigliare, è aumentata la presa del potere religioso (segnatamente cattolico) che pretende di azzerare il pluralismo etico, insito in qualsiasi società, e di imporre erga omnes una morale confessionale. Ma da noi la Chiesa si incontra con la maggioranza del ceto politico, tanto di governo quanto di opposizione, e riesce a far sì che la sua visione morale venga sussunta nelle leggi emanate da governo e parlamento. E’ il trionfo della “religione civile”, lanciata dal duo Ratzinger-Pera anni fa che ha inaugurato un nuovo tipo di statalismo: lo statalismo chiesastico. Di conseguenza, nei suddetti altri paesi, il conflitto inevitabile tra i diversi modi di intendere a chi appartiene la propria vita - dalla nascita alla morte – non è così violento e sgangherato come in Italia. Di conseguenza la competizione manichea tra laicità e confessionalità dello stato ci imbriglia tra schieramenti contrapposti e costringe ciascuno a militare nell’uno o nell’altro campo, azzerando la libertà di pensiero e di critica.
Così, nel Caso Englaro, hanno taciuto quanti - pur dalla parte del padre di Eluana - non hanno apprezzato la via giudiziaria alla sua liberazione. Hanno taciuto quanti non hanno apprezzato il non chiamare con il loro nome, pratiche eutanasiche, gli interventi medici messi in atto per proteggere la morente dall’eventualità di soffrire durante la disidratazione e la denutrizione. “Alla domanda sulla percezione del dolore (in un soggetto in coma vegetativo permanente e irreversibile, ndr) la scienza può rispondere in maniera solo in modo approssimativo”, ha scritto Anna Meldolesi, della cui competenza mi fido, in un articolo su Il Riformista, specificando che: “la letteratura scientifica smentisce comunque che si tratti di atroci sofferenze”.
Come che sia, preferisco il trattamento con sostanze sedanti cui è stata sottoposta Eluana Englaro che potrebbero aver accelerato la sua morte, piuttosto che la mancanza di un tale trattamento, come è accaduto nel caso di Terry Schiavo.
Il fatto è che nelle società in cui viviamo, non ci sono che due modi di morire di propria volontà: ricorrere al suicidio (che, non a caso, in tedesco si chiama Freitod, libera morte) oppure affidarsi alla legge che stabilisce i confini entro i quali uno, alcuni o alcuni altri, possono accelerare la nostra dipartita. La legge ci mette a disposizione il testamento biologico (e chiamiamolo così, per piacere, visto che i parlamentari, tanto di maggioranza quanto di opposizione, hanno cassato la parola testamento perché alluderebbe al fatto che la vita sarebbe “bene disponibile”) in caso diventiamo incoscienti e impossibilitati a decidere, il suicidio assistito e l’eutanasia in caso siamo capaci di decidere.
Ma poiché il morire è cosa spiritualmente e esistenzialmente pregnante, nonché materialmente complicata, se non possiamo o non vogliamo morire di nostra mano, se non possiamo o non vogliamo aspettare che il nostro destino si compia in base alla legge naturale (che di naturale ha ormai ben poco visto che le nuove tecnologie della cura possono prolungare la vita ad libitum) altra scelta non abbiamo che sperare, sperare che pietà umana e perizia medica ci accompagnino nel trapasso in un luogo necessariamente pubblico (una clinica, un ospedale, un hospice) perché regolato da norme pubbliche.
Nella nostra solitudine di morenti saremo comunque creature dolenti e bisognose, aggrappate alla vita e timorose della morte, e - coscienti o non coscienti - delegheremo allo stato la nostra esecuzione. Non è una prospettiva esaltante. Chi, finora, l’ha criticata con le parole più adatte è Clara Jourdan, sul numero 83/2007 di Via Dogana. Esprimendo contrarietà al testamento biologico e all’eutanasia, scrive: “…mettere questo momento delicatissimo della fine della vita in forme necessariamente burocratizzate è preoccupante e deresponsabilizza chi negli ospedali e ai capezzali ha il compito di vegliare sulle creature malate. Meglio lasciare che chi aiuta a morire corra dei rischi, per amore di quel legame”.
Sono d’accordo con Letizia Paolozzi quando, sulla scorta di un intervento di Angelo Panebianco, afferma che c’è una “intrattabilità politica” del tema della fine. Ma sono costretta a ammettere che solo la politica come la conosciamo può incanalare nel modo meno peggiore possibile questo tema, cercando di rispettare la volontà di tutti i morenti, credenti e non credenti, atei o agnostici, stoici o epicurei, senza imporre ad alcuno l’obbligatorietà di questa o quella pratica di fine vita.
L’alternativa cui Letizia accenna di lasciar fare agli umani permettendo loro di acconciasi a organizzare la morte propria e altrui nella “zona grigia” sottratta al controllo statale non è però più realizzabile.
“Prima”, un prima antropologico non ancora compiutamente studiato, lo stato non doveva occuparsi della morte che avveniva esclusivamente nell’ambito delle famiglie, le quali si arrangiavano come potevano, anche mettendo in atto pratiche eutanasiche ante litteram e “sopra la legge” (cfr. il mio articolo “L’eutanasia e l’Accabadora”, pubblicato su Secolo d’Italia, ripreso da questo sito nella sezione anima/corpo”).
E a tutt’oggi si sa, si dice, che la “zona grigia” delle morti anticipate ma concordate tra familiari e medici al capezzale dei morenti sia estesa. Dopo una legge occhiuta sulle volontà di fine vita, però, la “zona grigia”, tenderà inevitabilmente a restringersi. Solo la depenalizzazione del suicidio assistito e dell’eutanasia potrebbero sottrarci a quei controlli burocratizzati che diventeranno inevitabili. Il problema è che per depenalizzare occorre comunque legiferare.
C’è un solo paese al mondo, la Svizzera, che già nel 1940, ha legiferato nel senso della depenalizzazione. Il codice penale della Confederazione definisce il suicidio assistito in modo tale che, interpretando la norma “a contrario”, lo consente. La legge, infatti, punisce l’istigazione al suicidio solo se praticata o tentata per “motivi egoistici”. Ciò ha permesso, già da parecchi anni, la presenza di associazioni private (Dignitas e Exit) votate a eseguire le volontà di fine-vita. Il denaro che esse percepiscono va esclusivamente a coprire le spese per il servizio e la polizia lo può accertare perché ogni morte viene denunciata fornendo alle forze dell’ordine un’ampia documentazione.
Recentemente, però, sta aumentando la pressione per regolamentare in qualche modo quello che finora è un rapporto consenziente tra i volontari della morte, se così li vogliamo chiamare, e gli individui liberi di decidere quando e come porre fine ai propri giorni. Da un lato, in alcuni Cantoni, gli ospedali pubblici che ospitano malati terminali decisi a abbreviare le loro sofferenze, hanno aperto le porte alle associazioni per eseguire gli “interventi”. Dall’altro il Consiglio Federale (l’equivalente del governo centrale), sotto la pressione di un’opinione pubblica allarmata dall’aumento della domanda di suicidi assistiti che “fanno notizia”, nel luglio dell’anno scorso, ha espresso in un documento la seguente posizione: nessuna intenzione di modificare la legge del 1940, bensì la proposta di discutere con le associazioni stesse la loro collocazione all’interno del sistema sanitario.
Sia Dignitas che Exit hanno accolto con favore il documento del governo mirando alla possibilità, in un futuro, di ancorare alla costituzione il “diritto alla morte dignitosa”, il che condurrebbe inevitabilmente a far rientrare sotto la protezione statale le pratiche che finora si svolgono in maniera privata. Ritengo, questa, una prospettiva di normalizzazione che non mi piace. Da anarchica impenitente penso, infatti, che dove avanza il diritto la libertà arretra. Convinzioni personali a parte, mi chiedo come fare, qui e ora nel mio paese, a mettere la sordina a quel “dispiegamento di potenza” (come lo chiama appropriatamente Bia Sarasini) che ha fatto il bello e il cattivo tempo nella politica e sui media intorno alla umana troppo umana vicenda di Eluana Englaro.
Non trovo risposta, ma so che dare una risposta è essenziale.

mercoledì 15 aprile 2009

CANNABIS, CENSURA FOLLE!


Il preside di un liceo e' stato rinviato a giudizio dal tribunale di Trani per istigazione all'uso di stupefacenti: aveva detto ad una classe del quinto anno che non vi sono prove scientifiche sulla nocivita' della cannabis e sul fatto che crei dipendenza anche a lungo termine. I fatti descritti dall'accusa spiegano che il preside avrebbe espresso parere favorevole alla legalizzazione della cannabis. Il tutto mentre i carabinieri stavano facendo una lezione sui cosiddetti effetti devastanti della marijuana. Siamo alla follia censoria, contro la liberta' di insegnamento, di espressione e di informazione. Non potrebbe essere diversamente, visto che la politica e l'informazione sulle droghe e' lasciata quasi esclusivamente in mano a militari e poliziotti, piuttosto che a scienziati e medici.



Do la mia solidarietà al preside.


Gli unici effetti nocivi individuati dagli oltre 17mila studi sulla marijuana, riguardano la salute neuropsichiatrica degli adolescenti, ma anche in questo caso non e' scientificamente dimostrato quanto la sostanza sia causa oppure solo fattore scatenante di una patologia gia' esistente.Ricordiamo anche che tabacco e alcool -sostanze legali- creano maggiore dipendenza della marijuana e producono nel mondo circa 4 milioni di vittime ogni anno, mentre non si registrano decessi per cannabis.Cio' che e' stato scientificamente e statisticamente dimostrato, e' che militari e poliziotti non dovrebbero fare informazione sugli stupefacenti nelle scuole, perche' provocano risultati contrari a quelli auspicati. Un enorme programma statunitense basato proprio sulle lezioni di poliziotti (il D.A.R.E.), non solo non ha dato risultati positivi nelle migliaia di scuole dove e' stato attuato, ma addirittura ha spinto i soggetti piu' curiosi e vulnerabili a provare droghe nuove.Insomma, da denunciare per istigazione al consumo sono i carabinieri e i poliziotti che vanno a pontificare nelle scuole e quei politici che ce li mandano.

domenica 12 aprile 2009

Internet, semplicemente vittoria


Secondo una ricerca sul comportamento online degli utenti europei e sulle tendenze per il futuro pubblicata da Microsoft (non di certo gli ultimi quanto a Web e Computer…) giugno 2010 è la data fissata per il fatidico e inevitabile sorpasso di Internet ai danni della televisione. Quelli di Redmond sono talmente certi della cosa da lanciare la notizia con tutti i crismi dell’ufficialità: per la prima volta, insomma, il Web sottrarrà al tubo catodico tradizionale il primato di mezzo di comunicazione più utilizzato. Secondo l’indagine, nel 2010 l’utilizzo di Internet raggiungerà una media di 14,2 ore alla settimana (più di 2,5 giorni al mese), rispetto alle 11,5 ore alla settimana (2 giorni al mese) della tv.
Non stiamo parlando del declino della televisione, bensì di un mutamento, drastico, nel modo di fruire dei contenuti televisivi. Anche perché sarà la televisione stessa a diventare uno strumento simbiotico con il Web, forse propedeutico, grazie a tecnologie sempre più avanzate che permetteranno una interattività completa. Senza contare che la tv è anche oggi fruibile attraverso altri media come personal computer e cellulari.
E’ un processo, questo, che è cominciato concretamente nel 2001, sebbene fosse un sommovimento organico e inevitabile in ogni caso, quando due aerei si schiantarono contro le Torri Gemelle a Manhattan graffiando la potenza del “mostro imperialista”: allora il potere di Internet fu per la prima volta nell’era moderna estremamente evidente agli occhi di tutti e sotto gli occhi di tutti.
Per quel fatidico mese di settembre i quotidiani online, che giusto in quegli anni cominciavano la loro scalata, furono presi d’assalto registrando punte record mai raggiunte prima: la gente stava capendo, in un momento emotivamente tragico, che esisteva vita oltre il tubo catodico. Le varie testate online si inventarono modi nuovi di raggiungere il pubblico e i video e le statistiche messe in rete dai navigatori aiutarono in maniera decisivo allo svisceramento dell’argomento “11 settembre”. Le Torri Gemelle hanno fatto a Internet, quello che l’assassinio di Kennedy fece alla televisione. Se sarà storia o meno, lo vedremo tra qualche anno.

da: http://www.movimentolibertario.it/home.php

venerdì 10 aprile 2009

Obama, Obametto....


Ricordate le promesse di Bertinotti sulla guerra e il pacifismo?
Obama, peggio. Colui che tutti amano e che è divenuto il paladino della pace, del progresso e della Nuova America, che con il prosegiure del tempo assomiglia sempre più ad una repubblica sovietica protocapitalista, rafforza e continua la guerra voluta dai governi e dai capitalisti.
Obama, mostra il suo vero volto, che poco cambia quanto fatto da Bush.

"Il presidente americano Barack Obama ha detto a Strasburgo che il vertice della Nato ha visto un "sostegno forte e unanime" alla nuova strategia per l'Afghanistan e che i 28 alleati hanno approvato l'invio di 5.000 tra soldati e addestratori nel Paese. "Siamo forti e uniti: non ci prenderanno per stanchezza, continueremo con successo la nostra missione", ha aggiunto il presidente americano.
Il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs ha spiegato che gli alleati della Nato si sono impegnati ad inviare circa tremila soldati per il periodo delle elezioni in Afghanistan assieme ad altri circa duemila addestratori. Tra i Paesi che invieranno truppe per le elezioni, Gibbs ha citato la Gran Bretagna (900 soldati), la Germania (600 soldati) e la Spagna (450 soldati). Inoltre saranno inviate circa 70 squadre di addestratori: ogni squadra avra' tra le 20 e le 40 persone, ha detto Gibbs.


E tutti che avete amato ''THE CHANGE'', siete contenti della vostra scelta?

martedì 7 aprile 2009

Te lo do io Proudhon (2)


La proprietà non è un diritto naturale


di LuigiCorvaglia

II parte



Figli del secolo dei lumi, liberalismo, socialismo ed anarchismo sono fratelli bastardi. Sono infatti nati dalla assidua frequentazione della dea Ragione con gli elementi della triade rivoluzionaria “Libertà, Eguaglianza e Fraternità”. E’ la secolarizzazione, infatti, che permette di ripensare l’idea dell’ordine immutabile delle cose, è la caduta dell’ancien regime che dà vigore alla cognizione che l’arrangiamento degli individui possa essere costruito dagli uomini secondo principi liberamente scelti e non imposti. I tre elementi che furono il motto del 1789, però, sono in equilibrio instabile. Questo perché l’ordine lessicale, per utilizzare la definizione che sarà di John Rawls, cioè la graduatoria della loro prescindibilità in un ideale “gioco della torre”, può essere molto diverso. Il socialismo ha privilegiato l’eguaglianza, anche a costo di rimetterci in libertà, qualora fosse costretto ad una scelta. Il liberalismo, invece, presenta un ordinamento inverso, premettendo la libertà individuale ad ogni altro fine, inclusa quindi l’eguaglianza. La fratellanza, terzo elemento della triade, risulta in un compendio delle prime due e non può darsi senza una composizione, un equilibrio. Bene, l’anarchismo mira a dare pari dignità alla diade libertà-uguaglianza. Michail Bakunin scrisse: “ la libertà senza il socialismo porta al privilegio, all’ingiustizia; e il socialismo senza libertà porta alla schiavitù e alla brutalità”. Bisogna ammettere che fra tante profezie politiche e “sol dell’avvenire” di cui XIX e XX secolo sono stati infestati, l’unica ad essersi inverata è questa del rivoluzionario russo. In realtà, però, anche l’anarchismo ha spesso sofferto di sbandamenti verso l’uno o l’altro polo. Lo stesso Bakunin, ad esempio, ha teorizzato un collettivismo che è l’ultima fermata del treno libertario prima del capolinea anarco-comunista di Kropotkin. Inverso il discorso per l’individualismo americano di Warren, Tucker e Spooner, teorici di un “liberalismo” radicale. Solo Proudhon, fra i giganti del dell’anarchismo classico, sembra riuscire nel difficile compito di mantenere un equilibrio, instabile come ogni cosa viva, fra i due estremi (e in ciò è, probabilmente, da ricercare il motivo delle accuse provenienti dai contrapposti fronti di situarsi nella trincea opposta). Ciononostante, non trova spazio nella teorizzazione del tipografo di Becancon alcuna utopica idea di fine della storia, alcun sogno di composizione totale della frattura fra le antinomie. L’esperienza umana, egli ci ricorda, è intessuta di contraddizioni e l’idea di una soluzione unica e definitiva che porti alla stasi, cioè alla morte, ciò che è vivo e dinamico non può che risolversi in un fallimento o nell’arbitrio del potere. Questo è forse il motivo dello scarso appeal che questo pensatore ha presso gli apostoli della palingenesi insurrezionalista. Lasciamo la parola allo stesso Proudhon:


I poli opposti di una pila elettrica non si distruggono. Il problema consiste nel trovare non la loro fusione, che sarebbe la loro morte, ma il loro equilibrio incessantemente instabile, variabile a seconda dello sviluppo della società.
(da Teoria della proprietà)


La stessa uguaglianza, per Proudhon, è ben lontana dal risolversi nella piattezza del livellamento che soffochi le individualità, “non è affatto una condizione fissa, ma la media algebrica di una situazione sempre mobile”.
Le antinomie sono irrisolvibili. Inclusa quella fra libertà ed uguaglianza. E allora? Allora, il terzo elemento della triade, la fratellanza non può che risolversi in un dinamico sistema che, accogliendo l’uno e l’altro elemento della diade, sia radicato nella Giustizia:


Scartate l’ipotesi comunista e l’ipotesi individualistica, la prima in quanto distruttrice della personalità, la seconda in quanto chimerica, non resta da prenderne in esame che un’ultima sulla quale del resto la moltitudine dei popoli e la maggioranza dei legislatori sono d’accordo: quella della giustizia. (da La Giustizia nella rivoluzione e nella Chiesa)


Ecco. Giustizia. Questo concetto è fondamentale in Proudhon e l’accezione nella quale egli la considera merita una spiegazione. Proudhon è giusnaturalista. Egli, cioè, è convinto dell’esistenza di indiscutibili norme di diritto naturale. Così il suo concetto di giustizia, come è stato criticamente notato, è quello di un dato immanente e quasi metafisico da scoprirsi con l’uso della Ragione, non da costruirsi storicamente. Ciò ne fa, nel bene e nel male, un chiaro figlio del suo tempo. La giustizia è, la Giustizia, indipendentemente dalla legge, la quale può essere conforme o meno ad essa, è unica e data. Non, però, come qualcosa di esterno e superiore all’uomo, bensì di immanente (“è in noi come l’amore, come le nozioni del bello (…) La giustizia è umana, del tutto umana, nient’altro che umana”, ibidem). Bene, proprio illuminati da questo faro, tanto l’individualismo quanto il socialismo gettano ombre deformi che feriscono il senso del giusto. La cosa qui assume estrema importanza. Ciò perché il richiamo al “diritto naturale” è tradizionalmente la base delle teorizzazioni che, partendo dalla fonte di Locke e scendendo per li rami fino allo stagno di certo sedicente liberismo radicale, vedono la giustizia nel rispetto di diritti “auto-evidenti” quali la proprietà. Eppure, per Proudhon la proprietà è un furto. E’proprio il suo essere un giusnaturalista, quindi, che permette a Proudhon di scardinare la cassaforte ideale dei proprietari. Egli, cioè, si muove sullo stesso terreno di coloro che intende criticare, risultando pertanto particolarmente efficace nel marcare le contraddizioni nel discorso di chi, partendo dalle stesse premesse, intendeva – e intende – giustificare la proprietà quale diritto naturale. Vediamo come. Innanzitutto, egli nota che, presentandosi quale diritto “solo in potenza, come una facoltà inattiva e fuori servizio”, viene meno il criterio di universalità che caratterizza necessariamente i diritti naturali. Sarebbe grottesco affermare che “tutti gli uomini hanno un diritto eguale a proprietà ineguali”. I diritti, infatti, sono “inalienabili” per definizione e non suscettibili di crescite e diminuzioni. Soprattutto, però, avendo la Dichiarazione dei diritti individuato i quattro diritti imprescrittibili dell’uomo in quelli alla libertà, all’uguaglianza, alla sicurezza ed alla proprietà, Proudhon nota un elemento stonato in questo quartetto. Se realmente realizzati e rispettati, infatti, i diritti alla libertà, all’uguaglianza e alla sicurezza si completano a vicenda e portano alla concordia sociale. Armonizzano. Non funziona così per la proprietà. Scrive :


La libertà e la sicurezza del ricco non soffrono della libertà e della sicurezza del povero: anzi, possono rafforzarsi e sostenersi scambievolmente: al contrario, il diritto di proprietà del primo deve essere continuamente difeso contro l’istinto di proprietà del secondo. (…) Così il ricco ed il povero sono in uno stato di diffidenza e di guerra reciproca! Ma perché si combattono? Per la proprietà; dunque la proprietà comporta necessariamente la guerra alla proprietà!
(da Che cos’è la proprietà?)


Se, in altri termini, gli altri tre diritti portano all’avvicinamento, all’unione, alla socialità, la proprietà si palesa quale diritto antisociale, dotato di una forte carica disgregante. Non è quindi su tali basi che può considerarsi un diritto “naturale”. Su quali allora? I giusnaturalisti hanno ancora due carte, quella del “lavoro” e quella dell’ “occupazione”. Partiamo da quest’ultima. E’ idea ben nota agli anarcocapitalisti, che rivendicano il naturale diritto all’occupazione della “terra” – intesa latamente come qualunque mezzo di produzione che non sia già in mano ad altri. Qui Proudhon riprende un discorso di Cicerone:


Il teatro, dice Cicerone, è comune a tutti; e tuttavia il posto che ciascuno vi occupa è detto suo; nel senso che è da lui posseduto, non che è di sua proprietà. Questo paragone annienta la proprietà; esso implica inoltre l’eguaglianza. Posso forse in teatro occupare simultaneamente un posto in platea, un altro nei palchi ed un terzo in galleria? (…) Secondo questo paragone, ciascuno può sistemarsi come preferisce nel suo posto, può abbellirlo e migliorarlo: ma la sua attività non deve mai superare il limite che lo separa dagli altri”

(da Che cos’è la proprietà?)


In altri termini, se ogni uomo ha eguali diritti di lavorare e produrre, è ovvio che debba godere anche del diritto di occupare la terra, i mezzi di produzione. Da ciò non discende affatto la proprietà dei mezzi, ma solo il loro usufrutto. Ciò per un concetto tanto logico quanto semplice. Se nel teatro di Cicerone entrano altre cento persone, chi già vi si trovava ad usufruire degli spazi, si stringerà per far posto ai nuovi arrivati. Toglierà cappelli e cappotti dai sedili vicini, ad esempio. Ciò vuol dire che il diritto di occupazione è variabile. Insomma, “poiché la misura dell’occupazione dipende dalle condizioni variabili dello spazio e del numero, la proprietà non può costituirsi” (ibidem).
Ora i vari lettori che si imbattono nella definizione della libertà come furto non dovrebbero più incorrere nell’errore che fu anche di Marx e di Stirner, quello di cogliervi, secondo il noto luogo comune, una contraddizione (“come si può rubare se non c’è proprietà?”) . Il furto è nel fatto che chi si considera proprietario si appropria, sottraendolo definitivamente a tutti gli altri, di un bene a cui tutti hanno uguale diritto d’usufrutto.
Arriviamo ora all’argomento principe, il pilastro della teoria della proprietà. E’ quello del “lavoro”. L’idea lockiana del mescolamento del proprio lavoro alla terra fondandone la proprietà. Il proprietario ha migliorato la terra e ha creato il prodotto. “Ma chi ha creato la terra? Dio. In questo caso proprietario ritirati”, scrive Proudhon. Se è innegabile che chi produce qualcosa ha il diritto di possedere tale prodotto ( possesso), di certo non può vantare diritti sullo strumento che non ha creato (proprietà). “Il pescatore”, continua il francese, “che, sullo stesso litorale, è capace di prendere più pesci degli altri diventa forse, per questa sua abilità, proprietario dei paraggi della pesca?” (Che cos’è la proprietà?) .
Ebbene, a dimostrazione del fatto che la lettura di Proudhon non si limita alla mera e sterile ricerca dello storico, c’è proprio l’attualità della questione del lavoro che è da sempre uno degli ambiti più molli del fianco del liberismo estremo, ad esempio del cosiddetto “anarcocapitalismo”. Si è, infatti, molto discusso sulla vaghezza del concetto di lavoro. Sembra che a Murray Rothbard, principale teorico dell’anarcocapitalismo, basti il lavoro di recintare un terreno per renderlo di sua proprietà. In realtà, a voler seguire la lettera della teoria, questo lavoro potrebbe comportare al massimo la proprietà della sola striscia posta al di sotto della recinzione. Seguendo questo discorso, dando per scontato che nulla in una recinzione migliora un luogo, e che quindi la sola azione permetterebbe di sancire una proprietà, anche urinare in mare dovrebbe rendere padroni di un certo tratto di costa. Produrre onde radio rende padrone dell’atmosfera? Quelli che paiono giochetti logici ed elucubrazioni da ossessivi, invece, sono argomento di dibattito nel mondo dell’individualismo libertario che alcuni porrebbero a “destra” dello scenario politico. Comunque, pur presupponendo che sia possibile definire cosa sia lavoro e cosa no e perfino accettando che ogni lavoro comporti un miglioramento, cosa oggettivamente definisce il “miglioramento” nello stato della “terra” rispetto alla condizione precedente? Produrre onde radio migliora o peggiora l’atmosfera? Il miglioramento percepito da alcuni fruitori della “terra” in che modo comporta la necessaria accettazione della proprietà da parte di quanti gli usufruttuari che non ritengono che detto lavoro abbia comportato un miglioramento? Questi sofismi, pur nei loro tratti caricaturali, evidenziano la vaghezza dei criteri in merito. Come non bastasse, procedendo ancora ad un ragionamento per assurdo che dia per scontata la logica dell’appropriazione tramite il lavoro, il punto centrale che invalida l’idea “naturale” del diritto di proprietà frutto del lavoro è nella estrema contraddittorietà che si coglie ponendosi la domanda di cosa giustifichi la proprietà dei latifondisti o dei proprietari d’industria. Questi, ricorda Proudhon, posseggono enormi territori (o fabbriche manifatturiere) che non lavorano ma da cui ricavano delle rendite. Probabilmente essi hanno lavorato in passato e, quindi, acquisito il diritto alla proprietà di tali beni. Ma oggi? Il contadino salariato, il colono, l’operaio continua a lavorare quelle stesse terre, quegli stessi mezzi di produzione e ne trae dei prodotti. Eppure non ne acquisisce la proprietà. In base al principio per cui il lavoro fonda la proprietà, questi avrebbe diritto, non solo ai prodotti, ma anche ad una quota della terra. Ma ciò non avviene. Insomma, ciò che fu valido per alcuni, non può più essere valido per altri. Ciò è un controsenso. In definitiva, la proprietà, che l’autore distingue nettamente dal possesso, è il fatto economico attraverso il quale un oggetto nelle proprie disponibilità diventa creatore d’interessi. (l’intraducibile droit d’aubaine).
Non solo si ritrova in queste considerazioni il germe del concetto marxiano di “alienazione”, ma a Proudhon è da attribuirsi anche la paternità di quella teoria del “plus-valore”, generalmente considerata parto del pensatore tedesco. Il francese la esprime nei termini della forza collettiva:


Duecento granatieri hanno alzato sulla base in qualche ora l’obelisco di Luxor; si suppone che un solo uomo, in duecento giorni, ne sarebbe venuto a capo? Tuttavia, per il conto del capitalista, la somma dei salari sarebbe stata la stessa.

(Che cos’è la proprietà?)


Il profitto del capitale è nella sproporzione fra le somme consegnate ai lavoratori per le loro singole forze e il prodotto collettivo creato, frutto di una forza collettiva non conteggiata ed intascata dal capitalista. Un furto, quello della forza collettiva, perpetrato sulla scorta del furto primordiale, la proprietà.


In conclusione, ci dice Proudhon,
La proprietà non esiste per se stessa; per prodursi, per agire, ha bisogno di una causa esterna, che è la forza (l’ocupazione) o la frode (far credere che dal lavoro discenda la proprietà).


(da Che cos’è la proprietà)

In realtà, ce ne sarebbe un’altra, ma nulla ha a che fare con i diritti naturali: è l’accordo. Ma questa è un’altra storia.


Continua.....


lunedì 6 aprile 2009

Appello “anarcoliberale” per Maddaloni

Partiamo subito con l’analizzare la più importante delle problematiche: bisogna delegittimare e far cadere tutti i politici di questa città, siano essi di destra o di sinistra. E' dimostrato tutti i giorni dalle vicende riportate nei giornali locali come costoro siano una massa di furbetti raccomandati e parassiti, un'accozzaglia uniforme di gente che pensa solo ad arricchirsi a spese dei tanti cittadini onesti. Non vogliono esser citati, non vogliono una anagrafe che li controlli, sebbene sia stato fatto un appello pubblico in tal senso.
Insomma stanno tirando, e senza neanche sollevare troppo scalpore nei cittadini, la corda. Tra alcuni mesi vi saranno le europee: non votate, astenetevi, le europee sono per la casta solo un altro giochetto per prendere i soldi dalle tasche dei cittadini che, costretti come da un'estorsione mafiosa, devono pagar le tasse.
Sappiate infatti che ogni partito, se solo riesce ad ottenere il 2% dei voti totali, prende 1 euro per ogni voto: ebbene si, ogni volta che voi andate a votare anche per il più stupido dei partiti o per quello che voi credete essere il "male minore" consegnate sempre e comunque 1 euro dei cittadini nelle tasche di questi impareggiabili parassiti. Niente voti, niente soldi: voi praticate l’astensione e i politici andranno in bancarotta.
Altro punto: la crisi economica non è affatto il frutto del libero mercato, se mai è esistito, ma dello stato che ha favorito e protetto alcuni privilegiati a discapito dei consumatori e della trasparenza del mercato stesso. La crisi e la disoccupazione si combattono innanzitutto sollevando i cittadini dal peso delle tasse. Maddaloni, come tutte le altre città di questa provincia, deve pagare tasse e tassine sia per i politici sia, si sa, per qualche mafioncello della zona. Ma voi siete proprio contenti di dover lavorare per lo stato e la mafia gratis? O, se siete disoccupati, siete contenti di non poter lavorare a causa della depressione economica che queste tasse provocano? Il nostro appello è rivolto a tutti quei cittadini che vogliono cambiare qualcosa, affinché venga rigettato e combattuto in tutti i modi possibili questo sistema di oppressione. Basta tasse, pizzi e balzelli!

Comunque vengano chiamate e chiunque le pretenda sono una costrizione inaccettabile!

I politici temono i mercati deregolati e non tassati, ovvero i mercati neri, proprio perché questi sfuggono al loro latrocinio e conservano intatta la convenienza di chi, volontariamente, ricorre a tali forme di libero scambio. Per questo i politici di ogni schieramento hanno lanciato una campagna di criminalizzazione verso il mercato nero e la contro-economia. Un mercato non tassato e volontario fa infatti paura perché con esso i produttori ed i consumatori la fanno "franca" e non possono esser derubati dai politici.
Diffidate di questa campagna di disinformazione e criminalizzazione, così come anche degli inviti a denunciare tutti quei migranti che, sebbene senza quei documenti che l'oppressione statale rende obbligatori persino per poter esistere e respirare, svolgono piccole attività commerciali o produttive. Anzi solidarizzate con loro, perché siamo tutti vittime di una comune oppressione.
Queste sono delle semplici riflessioni rivolte a tutti per risvegliarci dal suicidio maddalonese.

Tra i vari organi di informazione, per ora, l'unico che ha dedicato un pò d'attenzione è: http://www.pupia.tv/maddaloni/notizie/000166.html

sabato 4 aprile 2009

L’anarchico Renzo Novatore


“Ogni società che voi costruirete avrà i suoi margini e sui margini di ogni società si aggireranno i vagabondi eroici e scapigliati, dai pensieri vergini e selvaggi che solo sanno vivere preparando sempre nuove e formidabili esplosioni ribelli!”.
Oggi alla luce degli scritti jungeriani, Der Waldgang (Il ribelle) ed Eumeswil in primis, non avremmo avuto dubbi nel chiamarlo Anarca. Ma agli inizi del secolo scorso, la definizione che più si avvicinava all’uomo era anarchico individualista.
Filosofo e poeta, Renzo Novatore (pseudonimo di Abele Ricieri Ferrari) fece dell’azione il suo ideale. Refrattario a qualsiasi disciplina abbandonò la scuola e i campi del padre per dedicarsi allo studio di Stirner e Nietzsche. Folgorato dalle letture ma con un alto senso critico, intravide nel nichilismo l’unico fattore che sarebbe stato in grado di accelerare il processo di decadenza. In breve, per risorgere, il mondo doveva tramontare.
Individualista fino al midollo, scriveva: “L´individualismo è la base imprescindibile dell´anarchismo. Chiunque voglia nominarsi anarchico senza riconoscersi individualista, si pone fuori dall´anarchismo. In altre parole, non esiste anarchismo non individualista. (…) Anarchico è solo colui che dopo una lunga, affannosa e disperata ricerca ha ritrovato sé stesso e si è posto, sdegnoso e superbo “sui margini della società” negando a chiunque il diritto di giudicarlo.
La questura di Arcola aveva iniziato a prenderlo di mira da quando nella notte fra il 15 e il 16 maggio del 1910, la chiesa del paese era andata in fumo. Della sua effettiva partecipazione all’incendio non vi erano prove ma la militanza anarchica all’epoca bastava per farsi tre mesi nelle regie galere. Intendiamoci, non vi furono le prove della sua colpevolezza ma tantomeno della sua innocenza. Il fattaccio avvenne in un periodo in cui i regolamenti di conti fra papisti e anticlericali erano all’ordine del giorno. E poi alla fin fine era bruciato solo il tetto e anche il vescovo di Spezia una volta sul posto non si adirò nemmeno, lasciandosi andare ad un rassegnato: “consumatum est!”.
Novatore dopo un periodo da polemista nei fogli: “Il Libertario”, “Gli Scamiciati”, “Croncaca Libertaria”, “Nichilismo”, “Il Proletario”, “Iconoclasta!”, abbracciò la causa futurista iniziando a collaborare con gli ambienti dell’avanguardia: in Italia il provincialismo intellettuale e la conseguente tradizione ritardata didascalico-realista dell´Arte ha colpito fortemente le espressioni del movimento sovversivo ed emancipatore. L´unica decisa rivolta a questa palude stagnante è costituita dal Futurismo che basa le sue energie su personaggi come Carlo Carrà frequentatore e collaboratore di ambienti anarchici a Milano e a Londra con forti influenze Stirneriane. Interessanti alcune impennate dello stesso Martinetti, che fin dal primo manifesto del 1909 pare apprezzare gli aspetti più clamorosi che discendono da Stirner “il gesto distruttore dei libertari”. Notevole la radicalità di Mario Carli promotore del giornale dei futuristi fiumani ed in seguito, il fallito attentato che organizza con un anarchico individualista alla centrale elettrica di Milano.
Numerosi saranno gli interventi di Novatore su La Testa di Ferro e i suoi contributi critici per la stesura dell’amico Marinetti, Al di là del Comunismo, opera di rielaborazione teorico marxista. Con il pittore futurista Giovanni Governato darà vita alla rivista “Vertice” che vide la luce per un solo numero, a causa dei problemi giudiziari del Poeta.
Nel ‘18 accusato di diserzione, venne condannato a morte. Antimilitarista ma con un’anima da guerriero, decise di non partecipare alla carneficina tra proletari per muover guerra allo Stato.
“La mia Rivoluzione è già da molto tempo incominciata. Da quel giorno che conobbi la vita impugnai le MIE armi e dichiarai la MIA guerra. Io lotto per una causa che è mia, nessuna altra causa può più interessarmi.” Datosi alla macchia iniziò il vagabondaggio fra gli Appennini tosco emiliani, gli stessi paesaggi che videro la nascita di Sante Pollastri, il bandito che segnerà indelebilmente, come vedremo, la vita di Novatore. E’ in questa fase di passaggio al bosco, tra fughe, rapine e attentati ai danni delle autorità che scrive i versi della raccolta “Verso il Nulla creatore”. Così concludeva la sua opera:
Che il poeta tramuti in pugnale la sua lira! Che il filosofo tramuti in bomba la sua sonda! Avanti! Avanti per l’integrale conquista dell’Individualità e della Vita!”
Intanto il conflitto bellico era sul volgere e i sopravvissuti tornarono alla vita civile. Qui, nei campi, nei porti, nei cortili dei rioni e nelle osterie, sulle labbra di tutti tornava fieramente il nome di Renzo Novatore. L’amnistia Nitti lo colse in casa dell’amico Dante Carnesecchi, altro anarchico individualista assassinato dai carabinieri. Le guardie, volendosi rifare delle bastonate ricevute durante i tumulti seguiti l’occupazione delle fabbriche, decisero che Dante avrebbe pagato per tutti. Ci vollero 40 coltellate per ammazzarlo, dieci contro uno. Anche in quest’occasione gli sbirri non smentirono la loro natura.
Ma nonostante la repressione, la lotta doveva andare avanti e Novatore non si tirò certo indietro. Dopo il periodo di clandestinità apparve sulle pagine del Libertario il saluto del poeta:
Ventidue mesi ormai sono trascorsi dal giorno in cui il più brutale e viscido di tutti i mostri
tentava di travolgere pure me fra le sue luride e sanguinose fauci.
Io credo soltanto nella mia capacità di potenza! Ed è soltanto in nome di questa che io risposi con superbo e sdegnoso “NO” signorilmente anarchico, e me ne andai…
Ho camminato con gioia infinita sulle vie del Dolore. Per compagno ebbi sempre il pericolo che mi fu caro come un fratello. Sulle labbra ebbi sempre l’ironico sorriso dei superiori e dei forti; negli occhi sereni la fascinatrice visione della tragedia eroica che solo comprendono i veri manti della libera vita.
Ero solo… ma nell’ombra sapevo che stava nascosta un’ardita falange di coerenti e di audaci che vivevano la mia stessa vita!
Che importa se una gran parte di essi languiva da lungo tempo nel fondo di umide celle?
Essi non si piegarono! Essi vissero, noi vivemmo ai margini della società dei veri ribelli, da Iconoclasti intransigenti, oppure non curanti di ciò che poteva essere la tragedia finale. Ed è a questo pugno di coscienti “Protestatari neri”, o caro “Libertario”, che oggi invio dalle tue colonne – dopo aver profondamente ringraziato Te e tutta quella schiera di compagni anarchici e amici socialisti per la massima solidarietà morale e materiale prestatami durante il mio vagabondaggio illegale e la mia…legale prigionia – un mio più fervido e fraterno saluto dicendo a loro: “Siate orgogliosi e fieri della vostra azione, perché e solo dalla disubbidienza e dalla rivolta che nasce un fulgido raggio di bellezza umana!”.
Salve a voi o anarchici del fatto!
Salve a voi o uomini fratelli!
Per ragioni tutt’ora oscure, probabilmente, si pensa a un regolamento di conti, od ordinaria repressione, nella notte del 4 giugno del ’22, un plotone di carabinieri assediò la casa di Novatore intimandogli la resa. Questi dopo aver assicurato l’incolumità di moglie e figlio, si fece strada fra i militi a suon di bombe a mano. Di nuovo latitante tra l’Appennino ligure e il basso Piemonte, decise che si sarebbe aggregato alla banda Pollastri, che da tempo andava espropriando fra pianura e montagne.
L’avventura durò pochi mesi. Nel novembre del ’22, arrivò fatale la notizia. Novatore era morto in uno scontro a fuoco con i carabinieri. Quando lo perquisirono gli trovarono addosso due rivoltelle con altrettanti caricatori di riserva e una bomba SIPE. Novatore morì come visse: armi in pugno, pronto per dare il suo ultimo assalto al chiaro di luna.

(per un ricordo e per un pò di cultura buona lettura, l'articolo da: http://www.rinascita.info/cc/RQ_Cultura/EkFlpZAuVZPaxkgmyO.shtml)

giovedì 2 aprile 2009

Liberi ed eguali: Francesco Saverio Merlino

mercoledì 1 aprile 2009

Mio identikit politico

Come disse De Andrè: "Il mio identikit politico è quello di un libertario, tollerante. Se poi anarchico l'hanno fatto diventare un termine orrendo... In realta' vuol dire solo che uno pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia, le stesse capacità"

Sei

Social-Liberale
(100% permissive)

e ...

Economista Conservatore
(80% permissive)

Sei meglio descritto come:

Anarchico (80e/100s)




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Libertà civili: 100%
Libertà economiche: 80%
Sarà il mio non amore per le grandi compagnie e per le grosse multinazionali, e il mio appoggio, invece, a sistemi di economia decentralizzata e locale, in economia risulto liberale all' 80%.
Non è male.

"Il mio identikit politico è quello di un libertario, tollerante. Se poi anarchico l'hanno fatto diventare un termine orrendo... In realta' vuol dire solo che uno pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia, le stesse capacità" ( Fabrizio De André )