SITO ANARCOLIBERALE A CURA DI DOMENICO LETIZIA. Laboratorio per un Neo-Anarchismo Analitico che sia Liberoscambista, Volontarista, Possibilista e Panarchico con lo sguardo verso i valori del Liberalismo Classico, del Neo-mutualismo e dell'Agorismo. Un laboratorio che sperimenti forme di gestione solidali, di mercato dencentralizzato e di autogestione attraverso l'arma della non-violenza e lo sciopero fiscale, insomma: Disobbedienza Civile

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lunedì 28 dicembre 2009

ALLA SINISTRA LIBERTARIA?!



di Domenico Letizia

Pubblicato dal sito del Movimento Libertario

Il pensiero libertario si sta diffondendo in Italia, la cultura libertaria inizia ad essere guardata con curiosità, la battaglia libertaria di Giorgio Fidenato ha diffuso il pensiero antistatalista, insomma, non vi sono dubbi anche in Italia parlare di antistatalismo non è più un tabù insuperabile.
Di formazioni politiche e culturali vicino al metodo libertario sul territorio ve ne sono e lavorano anche bene, basti ricordare biblioteche e centri studi oppure le formazioni politiche come il Movimento libertario o le galassie radicali come l’Associazione Luca Coscioni o Nessuno Tocchi Caino (libertarismo civile), ma nonostante questi progressi visibili e reali, restare fermi è autodistruttivo, lo stato alla fine ha sempre molti strumenti e riesce a far prevalere la sua cultura e il suo potere.
Uno sguardo, attento, invece, lo darei a quella che è la sinistra libertaria italiana e antiautoritaria. Certo già immagino le critiche e le varie dichiarazioni di perdita di tempo che vengono subito alla bocca quando si parla di “sinistra” . Invece voglio rivolgermi proprio alla sinistra libertaria (quella italiana in America sinistra libertaria indica altro) facciamo un passo noi e proviamo a veder cosa nasce. Quando i nostri cari amici “no-global” prendono e occupano uno spazio pubblico e statale completamente in rovina e quindi gestito in modo disastroso dallo stato perché non dovremmo essere dallo loro?
Certo per loro non sarà mai una forma di ‘privatizzazione’ ma lo è e spiegarlo con i fatti non è difficile, non è altro che sottrarre uno spazio statale alla gestione disastrosa dello stato per farlo fruttare in modo partecipato e autogestito, non è forse questo, anche, il metodo libertario, cioè la gestione e la creazione di nuovi metodi di gestione politici ed economici al di fuori dello stato?
Certamente ai nostri cari amici no global va fatto chiaro che una volta preso in gestione un pezzo di ex- stato non va preteso nessun contributo pubblico e nessun finanziamento statale, e a parer del vero così mi sembra, ovviamente non tutti, ma gli spazi autogestiti in mano alla sinistra libertaria vivono e crescono alle spalle dello stato e come suo concorrente (ecco che il mercato ritorna sempre), allora perché non sostenere questi cari disturbatori dello stato? Magari facendo capire loro che in una società libertaria queste forme di privatizzazione (o come le si voglia chiamare) saranno accettate e giuste, anzi sostenute da noi libertari liberoscambisti perché forme economiche e sociali in concorrenza allo stato.
Quando un caro amico “no global e anticapitalista” combatte contro le istituzioni della Banca Centrale, del Fondo Monetario Internazionale, del WTO o qualsiasi struttura capitalista corporativistica in fondo non sta facendo altro che una battaglia liberista e libertaria. Così difficile farlo capire? Forse si, ma per il trionfo del pensiero libertario perché non provarci.

(trovate l'articolo e alcuni commenti qui: http://www.movimentolibertario.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3578:aprire-alla-sinistra-libertaria&catid=1:latest-news#yvComment3578 )

sabato 26 dicembre 2009

mercoledì 23 dicembre 2009

Salvate Christiania


Per i mille abitanti di una delle ultime comunità hippy d'Europa è iniziata la guerra per la sopravvivenza. Il governo danese vuole liberarsi di loro, uomini, donne e bambini che da 40 anni abitano un quartiere nel pieno centro di Copenhagen animando un esperimento sociale unico al mondo.
È il 1971 quando sei giovani occupano i 34 ettari di una ex base militare nel cuore di Copenaghen fondando la "città libera" di Christiania. Un esperimento riuscito talmente bene che la comune circondata dai canali si popola di gente di ogni angolo del pianeta. Ancora oggi varcando la porta della cittadella sembra di essere catapultati negli anni Settanta. A Christiania si vive seguendo le stesse regole di allora: rifiuto dello Stato e della violenza, inesistenza della proprietà privata e guerra alle droghe pesanti. Il tutto scandito dalle decisioni dell'assemblea generale che delibera con la "democrazia del consenso". E poi ci sono l'ufficio postale, l'asilo, i ristoranti, i bar, le imprese di artigianato, il cinema, i concerti, l'arte, la bandiera locale e la nazionale di calcio. Tutto rigorosamente autogestito.

A Christiania le abitazioni non sono di proprietà ma vengono affidate ai residenti per circa 200 euro al mese. I soldi finiscono nel "tesoro comune" con il quale la "città libera" paga luce, acqua e lavori di manutenzione. E chi vuole prendere un alloggio rimasto libero deve essere accettato dal severissimo comitato dei vicini.

Nel 1989 il Parlamento ha concesso a Christiania lo status di "esperimento sociale" e, aggrappandosi a questa delibera, gli avvocati degli hippy stanno negoziando un compromesso con il governo. Il 27 Maggio 2009 dopo decenni di schermaglie l'Alta Corte danese ha dato ragione al governo di centro-destra e torto all'ultima roccaforte hippie. Sfratto all'Utopia? Christiania, il posto più tranquillamente eversivo d'Europa con la sua Pusher Street ormai chiusa da anni e i tricicli dal carrello anteriore porta-bambino (uno se l'è comprato pure Angelina Jolie) e con la sua vita a misura d'uomo (auto proibite) così com'è non può andare avanti. Quei 34 ettari pittoreschi, abitati da onestissimi fuorilegge e visitati da un milione di turisti all'anno, non appartiene a chi quarant'anni fa con un'occupazione abusiva li «recuperò» dall'abbandono.

Ma adesso la «città libera» (Fristaden) divisa in 19 circoli che adottano la legge dell'unanimità (la maggioranza non è abbastanza) è meno «libera» di prima. Ma Knud Foldschak, l'avvocato che ha difeso la comunità in tribunale, sostiene che il verdetto — riconoscendo la realtà di Christiania negli ultimi 40 anni — costituisce «una vittoria morale» e «una buona base» per continuare la battaglia alla Corte Suprema.

sabato 19 dicembre 2009

Di laicità cosmetica e arredamento d'interni


di Luigi Corvaglia


Sia ben chiaro: se mi vietano gli spaghetti, faccio le barricate. Gli italiani, brava gente, nello spaghetto si riconoscono. Gli spaghetti, la pizza, la mamma, la nazionale. Abbiamo i nostri totem, i nostri simboli, le nostre griffes. L’appartenenza si fonda sul carboidrato alla pummarola e sulle mamme che ad esso ci iniziarono. E poi c’è il crocefisso. Trattasi di un complemento d’arredo costituito da una salma lignea o, sempre più spesso, in materiale plastico che raffigura, si sa, un uomo morto dopo tortura e che campeggia, generalmente ignorata dai più, in ogni dove. Ma non vuoi che ce lo vogliono togliere? Si, l’Europa, quella che decide il diametro dei piselli e la curvatura delle banane, lo ha decretato con una sentenza della Corte di Strasburgo. La folcloristica affissione del manufatto nei luoghi pubblici, responsabile dei risolini di scherno di tanti visitatori protestanti, più adusi al concetto di laicità e meno afflitti da iconolatria, è vietata perché incompatibile col rispetto delle opinioni di tutti. Che questo fatto sia banalmente vero rende il senso del mio stupore nel considerare che per definirlo sia dovuto intervenire un tribunale e, ancor di più, che da destra e da sinistra, da sopra e da sotto, si sia levata la protesta di teo-demo e psudo-laic. Onestamente, non riesco a scaldarmi. "Certo", dirà il lettore, "tu sei laico. Vorrei vedere ti levassero gli spaghetti. Chissà come gongoli". Si, è vero, sono laico, ma non gongolo. Il fatto è che una cosa sono gli spaghetti e un’altra la loro icona. I primi sono fumanti, conditi e tolgono l’appetito, la seconda è una rappresentazione simbolica. Per questa non farei alcuna barricata. Teo-dem e pseud-laic, invece, insorgono a difesa dell’effige.
Si, insomma, il lettore ha ragione, considero il concetto giusto, oserei dire “sacrosanto”, se non fosse contraddittorio. Un’istituzione sovra personale, lo Stato, rappresentante e tutore di tutti, impone simboli solo di alcuni. Laico e libertario, mi dicono i miei amici transazionali, liberali, liberisti e ibertari, così come i miei consociati agnostici e razionalisti, dovrei gioire della sentenza. Non gioisco. Non gongolo. Ghigno un po’, lo ammetto. Due i motivi. Innanzitutto, se non mi piace un’istituzione sovra personale che obbliga tutti suoi “cittadini” alla esposizione del crocefisso, diffido di un istituto sovra-statale, anche se mi ha regalato un attimo di illusione. Domani potrebbe farmi urlare di dolore. Potrebbero impormi - sacrilegio! - gli spaghetti di grano tenero, ad esempio. Summa lex, summa iniuria. Già, ma ora ammetto di ghignare allo spettacolo del teatro delle vergini violate intorno a me. Gli italiani, brava gente, si scandalizzano; i nostri ministri, bravissima gente, si mobilitano contro l’oscena sentenza. E si, dicono, sarà vero che siamo ai primi posti al mondo per consumo di cocaina (ma non abbiamo rivali nell’accoppiata fra questa e i trans), che la mafia prospera, la corruzione metastatizza il paese, però, in fondo, sapete che siamo? Brava gente, sempre pronta a una manifestazione in favore della famiglia o per una ronda. Purché si stia insieme in allegria. Gioviali e conviviali sempre, gli italiani. Ma soprattutto cristiani. Da cosa si deduce l'intima cristianità degli italiani? Ma dall’onnipresenza di salme lignee. Da cosa altrimenti? Da diffuso spirito cristiano non direi. Così, il ripristino del povero Cristo sul muro a guardare sconsolato lo stato della scuola e dei tribunali italiani non rappresenterebbe certo la vittoria dello spirito del nazareno, come l’averlo tolto non rappresenta alcuna vittoria della laicità. E questo è il secondo motivo di mancato gongolamento. E’ solo laico-cosmesi. Lo sapete che lo stato italiano versa ogni anno alla chiesa cattolica 700 milioni (700.000.000) di euro? Non mi venissero a parlare di laicità! Lascino l'arredo crucifero e ci ridiano i soldi, piuttosto.

http://disgusto.ilcannocchiale.it/

giovedì 17 dicembre 2009

Chi non dimentica


Chi non dimentica, un piccolo ricordo.

lunedì 14 dicembre 2009

La fine di Chomsky


L'anarchico Chomsky, una forzatura direi, il socialista Chomsky tanto avversario all'anarco-capitalismo anche nelle sue impostazioni più teoriche che dichiarò:
A mio avviso l'anarco-capitalismo è un sistema dottrinale che se dovesse realizzarsi, instaurerebbe forme di tirannia e di oppressione che nella storia umana non hanno eguali.
(per il resto, se volete leggete qui: http://www.lettera.com/libro.do?id=5143)

Chomsky come tutti da un pò hanno capito ha perso, nonostante la lucidità dei suoi scritti, la mentalità libertaria, il suo anarchismo è stato definito agnostico, e molte dichiarazioni sono state fatte a favore dello stato e dello statalismo per combattere il potere dei privati che poi nei fatti economici attuali è comunque potere di stato e del capitalismo corporativista.

L'ultima di Chomsky è quella di aver lodato la dittatura bolivariana, di aver lodato in nome di un antimperialismo socialista la politica di Chavez, da molto criticata da tutti i settori dell'anarchismo.

Riporto un articolo della Rivista A di Octavio Alberola:
Noam Chomsky alla corte di Chávez.

L’intellettuale americano va a Caracas e loda in maniera sperticata la rivoluzione bolivariana e il suo leader. Come è possibile?


Contrariamente a quanto molti pensano, la capacità di dare adito a delle menzogne e di accettare ciecamente la falsità, per quanto irreale e grottesca possa essere, non è una prerogativa degli stupidi e degli ignoranti. Il noto studioso Noam Chomsky ha appena dimostrato che anche prestigiosi intellettuali, acuti e perspicaci, possono essere abbindolati arrivando ad accettare atteggiamenti e manovre politiche che possono essere considerate, sotto ogni punto di vista, demagogiche, ingannevoli e autoritarie. Credendoci o, almeno, facendo finta di crederci. Non è certo una novità vedere un intellettuale di alto rango cadere in tale contraddizione. Già ai tempi dell’Unione Sovietica e della Cina maoista si era verificato il fenomeno alquanto irrazionale dei “compagni di strada”, quegli intellettuali che davvero avevano creduto – e molti di loro in buona fede – che in quei paesi si stesse instaurando il “socialismo” e si arrivasse a creare l’“uomo nuovo”, fino a quando i fatti li avevano costretti a vedere cosa fossero in realtà quei regimi. Ma nonostante questo, anche se in molti casi tali annebbiamenti non erano motivati dalla richiesta di un qualche tipo di ricompensa e sembravano essere sinceri, pure fatalità antropologiche, è logico chiedersi come e perché si siano potuti verificare. E anche se sembra più facile pensare che è semplicemente per l’illusione di convincimento, da cui nessun essere umano – compreso il più razionale – può essere escluso, nel caso di Chomsky non possiamo dimenticare che lui nel passato ha combattuto contro questa illusione di convincimento. E allora è giusto domandarsi come può un uomo, apparentemente capace di ragionare, di analizzare criticamente quello che sta succedendo nel mondo, andare oggi in Venezuela a elogiare il “socialismo del XXI secolo”, senza accorgersi di quanto sia castrista la mentalità del suo inventore, il Comandante Chávez, e non vedendo il carattere populista fortemente grottesco di quella che viene chiamata la “rivoluzione bolivariana”.


Ma è lo stesso Chomsky?


Come può Chomsky commettere lo stesso errore che hanno commesso, il secolo scorso, famosi intellettuali dell’epoca, alcuni celebrando Stalin, e altri, alcuni anni più tardi, esaltando Mao e il suo “libretto rosso”? Loro perché credevano che nella Russia e in Cina si stesse costruendo il “vero comunismo”, e Chomsky perché è convinto che oggi in Venezuela si sta creando “un mondo nuovo, un mondo diverso”. Come ha potuto dimenticare che quegli intellettuali, con il passare del tempo, si sono visti costretti a recitare il mea culpa per la cecità ideologica che aveva impedito loro di vedere cosa si nascondesse dietro al discorso rivoluzionario stalinista e maoista? Lo stesso totalitarismo, responsabile della morte di milioni di persone, morti per fame o per le torture, che oggi ha ispirato a Castro una dittatura che a Cuba dura da cinquant’anni, e di cui Chávez è un devoto ammiratore. Ma la cosa sorprendente nel Chomsky di questi ultimi anni, non è solo quest’apparente amnesia storica, ma che si sia fatto sedurre dalle lusinghe di quel castrista istrionico (“Sei veramente il benvenuto, […] era ora che ci facessi visita e che il popolo venezuelano ti vedesse e ti ascoltasse dal vivo”) e lo abbia ringraziato per le sue “care e generose parole”. A cui bisogna aggiungere la buffonata di avergli detto quanto “emozionante” fosse per lui “vedere come in Venezuela si stesse costruendo un altro mondo possibile e vedere uno degli uomini che aveva ispirato questa situazione”. La cosa più sorprendente di questa conversione alla fede messianica, simile alle celebri conversioni al cattolicesimo (quelle di Baudelaire, Peguy, Claudel, etc.), è che il miracolo è arrivato dopo il crollo del “socialismo reale” d’ispirazione sovietica e, in Cina, dopo l’instaurazione del capitalismo proprio grazie a quel Partito Comunista che Mao aveva lasciato al potere. Beh, diversamente da quei giovani intellettuali “idealisti” che avevano acclamato Stalin e Mao prima che si avverassero questi importanti fatti storici, Chomsky ha avuto modo di conoscerli in vita e per questo è ancora più incomprensibile che ora sembri essersene dimenticato. Soprattutto ora, quando il fallimento del messianesimo rivoluzionario ha confermato in maniera indiscutibile le loro profezie. Stiamo assistendo da tempo alla strumentalizzazione di Chomsky, in molte direzioni. E questo nonostante la sua posizione etica, i suoi riferimenti ideologici e il suo comportamento politico si trovino agli antipodi di quello che difendono e adorano molti di quelli che oggi vorrebbero averlo come mentore. Ce ne accorgiamo leggendo i suoi libri, sempre se escludiamo che il Chomsky di oggi non sia lo stesso di quando scriveva: “Viviamo in un periodo di corporativismo del potere, di consolidazione del potere, di centralizzazione. Questo può andare bene se sei un progressista, come ad esempio un marxista leninista. Dagli stessi presupposti ne susseguono tre importanti esiti: il fascismo, il bolscevismo e la tirannia corporativa. Nascono tutti più o meno dalle stesse radici hegeliane” (Chomsky, Class Warfare, p. 23). Per non parlare di quanto scrisse poi a proposito del paese uscito dal colpo di Stato bolscevico dell’ottobre del 1997 che, per Chomsky, era responsabile dell’eliminazione delle strutture socialiste emergenti in Russia: “Sono gli stessi bruti comunisti, i bruti stalinisti di due anni fa, quelli che oggi hanno in mano le banche” e che sono loro “i gestori entusiasti dell’economia di mercato”. E da qui il suo pessimismo: “Quelli che cercano di associarsi alle organizzazioni popolari e aiutano la popolazione ad organizzarsi autonomamente, quelli che appoggiano i movimenti popolari in questo modo, semplicemente non potranno sopravvivere in tali circostanze di accentramento del potere”. (Chomsky, Comprendre le pouvoir, pp. 7-11). Com’è possibile allora che oggi commetta lo stesso errore commesso un tempo dai “compagni di strada” pro-cinesi – che avevano conosciuto la cecità comparabile (e riconosciuta) a quella della generazione che li aveva preceduti, quella dei vecchi stalinisti arrivati solo dopo molto tempo all’autocritica – nonostante lui stesso fosse stato un testimone critico di tale cecità? La cosa grave, nel caso di Chomsky, è che non gli è servito a nulla conoscere e denunciare quelle esperienze! Il caso di Chomsky ci spinge anche a interrogarci sul “mistero” di questa strana convivenza, all’interno di un solo spirito umano, dell’intelligenza più acuta con la credulità più ottusa. E ci stupiamo ancora di più se pensiamo che, a quei tempi, lui era stato tra chi con maggior intensità aveva criticato la cecità in cui erano incorsi molti dei suoi colleghi intellettuali che costituivano con lui la créme dell’intelligenza occidentale: i Sartre e altri grandi filosofi, storici, giornalisti o universitari di un certo rilievo.


In nome dell’antimperialismo


È tutto veramente misterioso, considerando che sono stati pochi gli intellettuali che in un secondo tempo non hanno dovuto confessare di essersi sbagliati e di riconoscere che Chomsky aveva avuto ragione mettendo in evidenza la cecità che li aveva spinti a commettere quel gravissimo errore di interpretazione del passato. Chomsky come ha potuto dimenticarselo? È vero che nemmeno la cecità degli antichi stalinisti – mille volte confessata e analizzata in articoli, interviste e libri- è servita da lezione ai giovani maoisti occidentali, dato che a distanza di vent’anni riproducono lo stesso tipo di smarrimento. E con lo stesso orgoglio e fatuità dei loro predecessori. Ma in loro prima ci fu l’adesione cieca a quello che si presentava come una rivoluzione emancipatrice. A Chomsky sta succedendo il contrario: prima è venuta la denuncia, l’analisi obiettiva, razionale, rigorosamente critica, e poi la cecità…È anche vero che l’antimperialismo statunitense di Chomsky lo ha spinto a una relativa discrezione verso l’autoritarismo crescente dei sandinisti nel loro esercizio del potere negli anni Ottanta in Nicaragua e, da alcuni decenni, anche verso la dittatura castrista. E questo nonostante tra le vittime di quest’ultima ci fossero persone con molti punti in comune con i militanti antimperialisti pro-cubani del resto dell’America Latina. Sarà forse questo ostinato antimperialismo la ragione per cui per lui la cosa principale è denunciare le ingiustizie generate da questo paese su scala planetaria, a spingerlo a schierarsi in modo tanto sconcertante nei confronti di quello che succede nel continente americano?Effettivamente, anche se Chomsky continua a considerarsi “anarchico-libertario”, è chiaro che per lui le considerazioni ideologiche devono passare in secondo piano e che si deve porre una sorta di graduatoria tra le ingiustizie divise secondo il grado di pericolosità planetaria dei bianchi contro cui si dirige la critica. Il problema è che questo relativismo politico permette a molti marxisti-leninisti, populisti e politici, la cui unica preoccupazione è la conquista del potere, il suo esercizio e la sua conservazione, di ricorrere al riparo solo degli argomenti antimperialisti di Chomsky invece che preoccuparsi dell’aiuto da apportare alla popolazione per organizzarsi autonomamente. Ed è un vero e proprio problema, perché Chomsky nulla fa e nulla dice per dissuaderli dal farlo. Anzi, mantenendosi con tanta perseveranza in questa immorale discrezione e lasciandosi ritrarre accanto ai Castro e ai Chávez si rende complice – anche se le sue lodi sono discrete e di convenienza – delle buffonerie e delle derive autoritarie, dittatoriali, di questi nuovi oligarchi. Ma sfortunatamente, l’ostinazione di voler mantenere tale divisione manichea (perché si ritiene meno pericoloso l’accesso al potere di questi populisti dei disastri che causa l’imperialismo yanqui nel mondo) non solo non serve a impedire tali disastri (questi populisti stanno continuando a fare affari con le multinazionali dell’impero) ma contribuisce a smobilitare i popoli e a rendere ancora più difficile il compito di chi sta veramente combattendo contro la dominazione planetaria del Capitale e dello Stato.È possibile che, vista l’età, Chomsky non riesca a vederlo: ma è impossibile pensare che non sia cosciente della distanza che lo separa da tutti quelli che ricorrono ai suoi argomenti contro l’imperialismo yanqui e che, invece, dimostrano di essere molto reticenti, per interesse o comodità, a denunciare le forme di dominio imposte da questi populisti presunti rivoluzionari.


Una lettura interessante che, forse, dimostra una prima spaccatura tra il movimento anarchico e l'intellettuale sempre più marxista Chomsky.

sabato 12 dicembre 2009

La prospettiva economica....



Sull'ultimo numero di Rivista A vi è un articolo di Andrea Papi sulla crisi economica: La finanza ci regala la sua crisi.
Dopo aver illustrato, giustamente, una situazione molto grave vi è una proposta o meglio un illustrazione di prospettiva, semplice ma importante a mio avviso, vi riporto cosa:

In questa prospettiva senz’altro ci può essere d’aiuto la vecchia idea proudhoniana delle banche del lavoro e di mutuo soccorso. Ovviamente aggiornata, adeguata ai tempi, in modo da risultare efficiente e propositiva. Se pensiamo che tutti ci troviamo costretti a versare i soldi dei salari e degli stipendi nelle banche della speculazione disastrante, non mi sembra nient’affatto male l’idea di rendere agibili luoghi, accessibili a tutti gli esclusi dal mercato speculativo, in cui versarli al posto delle banche, gestendoli direttamente e votandoli alla solidarietà e al finanziamento di progetti autogestiti. Sarebbe un primo passo per non regalare all’oligarchia i sudati risparmi, quando ci sono, ottenendo di sottrarli agli scopi nefandi dell’onnivoro potere finanziario e di autogestirli direttamente per scopi sovversivi di autogestione alternativa.

giovedì 10 dicembre 2009

Nazional-Anarchismo, Di cosa parliamo?


Sul blog http://residenclave.wordpress.com/ si discute di nazional-anarchismo, un bel dibattito tutto teorico su cosa salvare, come collegare questa teoria all'anarcocapitalismo, qual'è la sua concezione di società, cosa intendono questi nazional-anarchici con proprietà, in cosa consiste il separatismo razziale volontario ( importante sottoliniare questo ultimo termine), quali sono i suoi rapporti con il fascismo e l'anarchismo.

Il Nazional-Anarchismo è una corrente politica sincretica che è stata sviluppata intorno al 1990 da un tentativo di ex sostenitori della terza via di conciliare l'anarchismo con il nazionalismo e in alcuni casi con il separatismo razziale volontario ed il federalismo. Ha le sue radici intellettuali negli scritti di Julius Evola e del neo-spengleriano Francis Parker Yockey e include Pierre Joseph Proudhon, Mikhail Bakunin, Peter Kropotkin, Lev Tolstoj, Murray Bookchin e Max Stirner nelle sue influenze.
Usato in questo senso, il termine venne coniato contemporaneamente da
Troy Southgate (Gran Bretagna), Peter Topfer (Germania) e Hans Cany (Francia) e fu usato dall'ora defunto National Revolutionary Faction per descrivere la sua ideologia.
Nazional-anarchici vedono le gerarchie insite nei governi e nel capitalismo come oppressive. Essi difendono l'azione collettiva organizzata secondo le linee dell'identità nazionale e propongono un ordine sociale decentralizzato nel quale singole comunità volontariamente stabiliscono e mantengono comunità distinte. Essi possono più accuratamente essere definiti "anarchici tribali". Il Nazional-anarchismo è stato denunciato dagli appartenenti alla sinistra, che lo ritengono un'ideologia di estrema destra.
I nazional-anarchici auspicano un'organizzazione sociale basata non più sullo Stato come figura istituzionale più importante, ma all' opposto su piccole entità quartierali di massimo 3.000 abitanti ciascuna, a fungere da base per le istituzioni superiori (comune, provincia, regione, Stato). A questi miniagglomerati sarebbe demandata la concessione dei servizi su base d'
appalto. In pratica lo Stato verrebbe abolito e tutte le sue funzioni svolte da società private a cui viene dato in appalto dalla comunità il servizio da svolgere. Per i servizi pubblici su licenza, quali i trasporti ed il piccolo commercio, prospettano l' assegnazione di essi sulla base dell' offerta libera che gli interessati offrono all' ente pubblico (miniagglomerato, o comune, o provincia, ecc) come tassa. Ovverosia in un determinato settore le licenze verrebbero concesse al richiedente che sappia di poter far fronte coi suoi introiti lordi all' entità della tassa pagata. Questo per eliminare la corruzione nell' assegnazione e la stasi nel ricambio, concedendole a chi veramente si dimostri capace di far bene il lavoro a cui la licenza fa riferimento.
I Nazional-anarchici tendono a difendere pratiche economiche come il
distributismo e il mutualismo, nelle quali l'enfasi è posta su una vasta proprietà dei mezzi di produzione, nella forma di piccoli commerci e cooperative operaie socializzate in un sistema corporativo in cui i presidenti nazionali delle corporazioni (eletti in un sistema base-verticistico dalle corporazioni in modo simile alla democrazia organica) verrebbero a rappresentare i ministri del corrispondente settore. Il concetto rivoluzionario-conservatore dell'Anarch è fondamentale nel Nazional-anarchismo, come l' abolizione delle tasse.
Si fa notare come questi programmi siano propri anche dei partiti
Bolscevico Nazionale e Sinistra nazionale.
È per l' abolizione del sistema carcerario come oggi lo conosciamo, sostituito da una "città" nella quale i detenuti possano vivere "liberamente" assieme ai loro congiunti come in una qualunque altra città, ma dalla quale non possano uscire se non con permessi-premio simili agli attuali.
Il Nazional-anarchismo condivide con la maggior parte delle tendenze dell'anarchismo l'obbiettivo di riorganizzare le relazioni umane, con un'enfasi nel sostituire le strutture gerarchiche di governi e
capitalismo con locali e comuni decisioni. Troy Southgate ha detto:
Noi crediamo nel decentramento politico, sociale ed economico. In altre parole, noi desidereremmo vedere un declino positivo per cui tutti i concetti burocratici come l'
ONU, la NATO, l'Unione europea, la Banca Mondiale e perfino gli stati come la Germania e l'Inghilterra siano sradicati e conseguentemente sostituiti da villaggi-comunità autonomi.



Dal dibattito è emerso che:

'anarchismo e nazionalismo è un binomio che non ha mai abbandonato la storia dell’anarchismo, basti pensare a Bakunin a a Proudhon, per farla breve. Alla fine l’abbandono della sovrastruttura statale, come ho già detto più volte, non implica necessariamente il rifiuto dell’identità nazionale, così come il separatismo etnico e culturale volontario è perfettamentecompatibile con una società libertaria.'

'In un sistema di comunità monoculturali e monoetniche non si capisce come potrebbe qualcuno allontanarsi da un’enclave che non gli è congeniale (il solito Neo-Sudafrica). La competizione tra comunità diverse deve per forza prevedere una grande mobilità tra l’una e l’altra, se no gli incolpevoli abitanti di un’enclave fallimentare saranno costretti a crepare di fame.'

'tra tutti i movimenti politici mi sembrano gli unici da poter annoverare tra “i conservatori culturali e antistatalisti radicali'

'Temo che Hoppe lo abbiano letto e come molti fascisti che trovo in alcuni forum sul web questi leggano Hoppe e l’anarcocapitalismo (in particolare paleo) come una prospettiva di giustificazione “cavallo di Troia” per imporre sempre e inevitabilmente le solite logiche.'


'Il Nazional-Anarchismo è un sistema enclavico concettualmente e praticamente chiuso, scarsamente competitivo al suo interno, collettivista e poco propenso a mio parere a intrattenere rapporti di buon vicinato con le altre enclavi'


'Vi sono punti in comune – a me ad esempio non pare che vi sia opposizione al concetto di proprietà, semmai la questione va declinata nella terminologia mutualista della proprietà Vs possesso – e molte istanze di “attualità” (pc, mondialismo, avversione alle élites, etc) sono intese dai due gruppi in maniera pressoché identica. Ripeto, dai loro comunicati e dalla loro iconografia emerge forse la retorica rivoluzionaria nazional-popolare, eppure a discuterci si scopre che i problemi riguardano più i termini che le idee (ad esempio i Nazional-Anarchici non accettano la definizione capitalismo neanche se specifichiamo cosa realmente intendiamo, ma da buoni mutualisti, non hanno alcun problema verso “il libero mercato”).'








domenica 6 dicembre 2009

venerdì 4 dicembre 2009

I Disobbedienti Libertari!

Un sito assolutamente da sostenere, un disobbediente assolutamente da appoggiare: http://www.palmerini.net/blog/



venerdì 27 novembre 2009

La giusta posizione!


Roderick Long illustra quali sono i punti per un left-libertarian sui quali far pressione e diffusione:


I libertari, soprattutto i left-libertarian , devono lavorare affinché sia visibile la nostra posizione. Essere visibili non è sufficiente è necessario argomentare le proprie ragioni ma una buona posizione argomentativa non serve se la gente non capisce la posizione che si sta difendendo.
Così, il nostro compito fondamentale è posizionarci sulle seguenti tesi:

1, la grande impresa ed il gran governo sono una maggioranza opprimente, alleati naturali contro la libertà.

2, benché i politici conservatori dicano di essere ostili al gran governo ed i progressisti vogliano fare credere di essere ostili alla grande impresa (quella monopolista) , le politiche dell'establishment economico, tanto progressiste come conservatrici, effettuano lo stesso intervento massiccio in favore delle grandi imprese e del gran governo.

3, i politici progressisti mascherano la loro posizione usando la scusa di essere per le classi deboli; i conservatori lo fanno in favore di una retorica di non intervento e libero mercato. Tuttavia, in entrambi i casi la retorica e molto differente dai fatti.

4, perfino una politica che si realizzasse realmente in favore dei deboli non funzionerebbe: la natura del potere statale la trasformerebbe per favorire le elite.

5, una politica di autentico libero mercato e non intervento funzionerebbe, poiché la libera concorrenza favorisce il consumatore e indebolisce le elite.

6, essendo che le politiche conservatrici, benché abbiano un alone di retorica liberoscambista, normalmente sono il contrario del libero mercato, i fallimenti dei conservatori rinforzano la posizione in favore del libero mercato.

giovedì 26 novembre 2009

Ciclo di incontri sulla storia dell’anarchismo (ultimo ciclo 27 novembre)

Venerdì 27 novembre, ore 17.
Biblioteca Panizzi

Presentazione del libro:
Leda Rafanelli tra letteratura e anarchia
Atti della giornata di studi Reggio Emilia, 27 gennaio 2007
A cura di Fiamma Chessa
Biblioteca Panizzi
Archivio Famiglia
Berneri-Aurelio Chessa, 2008

Intervengono
Fiamma Chessa
Archivio Famiglia Berneri-Aurelio Chessa,Reggio Emilia
Giorgio Sacchetti storico dell’anarchismo
Università di Trieste e di Padova

http://panizzi.comune.re.it/berneri/Pagine_di_anarchia_2009.pdf

martedì 24 novembre 2009

Arezzo: Una Via a Berneri, Finalmente!


Nelle ultime settimane è stata ottenuto dal Sindaco l'impegno solenne per l'intitolazione di una via a Camillo Berneri, dopo che una prima volta la commissione toponomastica del Comune aveva ignorato la formale domanda. La richiesta è stata inoltrata dal Comitato Berneri, sostenuta da un movimento di opinione e anche da un gruppo facebook di oltre 500 persone. "Scalinata Camillo Berneri (1897-1937) militante libertario" 'è la targa che comparirà, molto presto, sulla scalinata che va da via Guido Monaco a Piazza del Popolo, in pieno centro, vicino al "suo" liceo classico Petrarca. Una vittoria dal basso, un atto di resistenza dignitosa al revisionismo.

da: Umanità Nova

Tornano a chiedere a gran voce un monumento e una via per Camillo Berneri. Qui, ad Arezzo, una delle sue città. Dove la famiglia si era trasferita nel 1916 in via De’ Redi, dove Berneri ha studiato (allo Scientifico); nell’Arezzo che gli ha dedicato poco tempo fa un convegno ed è nato un comitato per valorizzarne gesta e pensiero.
Un gruppo di intellettuali dai nomi illustri sostiene il ricordo dell’anarchico ammazzato in Spagna dai comunisti stalinisti, ma anche un gruppo di gente “della strada”. Su Facebook, il social forum, tanti sostenitori per questa causa che vive ad Arezzo un altro round per concretizzare il risultato di un ricordo visibile.
Il gruppo intende sensibilizzare l'opinione pubblica e le istituzioni locali affinché, quanto prima, si intitoli una strada di Arezzo a questo grande militante libertario. Una sensibilizzazione forte per questa figura centrale dell’antifascismo europeo. Camillo Berneri era nato a Lodi nel 1897 e fu giovane socialista a Reggio Emilia, quindi anarchico. Uno di quelli anarchici che viveva fra fra Arezzo, Firenze e Cortona nel periodo fra la prima guerra mondiale e l'esilio. Un intellettuale e pubblicista di primo piano, allievo di Gaetano Salvemini, amico di Piero Gobetti e dei fratelli Rosselli. Fuoriuscito in Francia è stato tra i primi antifascisti ad accorrere in Spagna. Pubblicista e giornalista possiamo affermare, redattore di "Guerra di Classe", delegato politico del battaglione internazionale della Colonna Francisco Ascaso Cnt-Fai (più nota come "Colonna Rosselli"). Berneri ha combattuto il regime antifranchista ed è morto a Barcellona per mano di altri antifascisti, assassinato dai sicari di Stalin nelle tragiche giornate del maggio 1937.
Arezzo vuole che gli sia resa memoria. Nel settantesimo dell'assassinio,due anni fa di questi tempi, gli è stato dedicato il convegno di studi storici "Camillo Berneri: un libertario in Europa fra totalitarismi e democrazia - 5 maggio 1937 / 2007". Folla nella Sala dei Grandi della Provincia.
Gli atti del convegno verranno pubblicati proprio nelle prossime settimane con un delizioso saggio, fra l’altro, di Giorgio Sacchetti che non è soltanto una ricerca di luoghi e memorie, ma anche l’analisi di una mente curiosa e aperta. Un intellettuale aperto ed eclettico

http://eccolatoscana.myblog.it/archive/2009/05/16/arezzo-un-monumento-a-camillo-berneri-l-anarchico-ucciso-in.html

Il gruppo a cui aderire: http://www.facebook.com/group.php?gid=78290681228

P-Lib e libertà individuali in Spagna

domenica 22 novembre 2009

venerdì 20 novembre 2009

Conosciamo le People's Organization


La libertà di autorganizzarsi

Conosciamo le People's Organization

Colin Ward attraverso studi approfonditi ci ha chiaramente illustrato come l’anarchismo, il concetto libertario, non sia un’idea o una concezione metafisica, un cambiamento da aspettare con la rivoluzione sociale, con l’insurrezione, ma un’essenza, uno stile di vita di gruppo e individuale che è sempre esistito, che vive alle spalle dello stato e alle sue spalle si sviluppa: l’anarchismo pragmatico.
Un esempio di anarchismo pragmatico lo ritroviamo nelle organizzazioni di comunità diffuse negli Stati Uniti: sono le People’s Organization; personalmente seguo on-line il lavoro di una di queste strutture in Virginia (http://richmondjwj.org/), l’idea di queste strutture è da ritrovarsi nel pensiero e nella figura di Saul Alinsky: nato e cresciuto nei ghetti di Chicago, frequentò l’università di Sociologia e iniziò presto ad occuparsi di disagi di quartiere, di bande, di migranti e collaborazioni con i sindacati. La metodologia di Alinsky consiste nel conquistarsi la fiducia delle chiese, dei comitati e delle associazioni di quartiere, di vivere con loro e di impegnarsi con queste strutture unite in un organismo che diviene una People’s Organization. Queste “associazioni’’ presero vita negli anni ‘30 organizzando i primi ed indimenticabili boicottaggi di grandi magazzini che si rifiutavano di pagare salari decenti, i primi picchettaggi di banche che prestavano soldi ai boss e ai grandi costruttori criminali locali, addirittura formarono i primi “Tribunali Pubblici” (l’idea è ripresa anche nei recenti studi sul neo-mutualismo di Kevin Carson) dove le parti in causa vengono invitate pubblicamente ad esprimere le loro ragioni e una giuria comunitaria elabora un verdetto. Una delle forme di protesta più conosciute e ricordate è quella della People’s Organization di Chicago negli anni ‘60 che ebbe problemi con l’amministrazione comunale della città. Con uno studio si analizzò che la prima cosa che facevano le persone appena scese dagli aerei era quella di precipitarsi nei bagni pubblici dell’aeroporto di Chicago. Il sindaco aveva scommesso molto su questo aeroporto e la People’s Organization organizza una forma di protesta facendo trovare i bagni pubblici sempre occupati. Il sindaco, spaventato da questa forma di protesta e anche dallo “sbeffeggio” della stampa, convoca subito le parti e tutti i problemi trovano una soluzione.

Alinsky ha elaborato un buon metodo di lotta, non-violento, pragmatico e senza nessuna congettura marxista o comunista (lo stesso Alinsky considera l’ideologia comunista bigotta e fondamentalmente conservatrice) insomma una forma di lotta autenticamente libertaria.

Che dite, perché non provare anche in Italia ad analizzare meglio le lotte e l’organizzazione di queste People’s Organization e cercar di praticarle? Non potrebbe essere una nuova idea di sindacato veramente di base e antidogmatico quindi fondamentalmente pragmatico?

A voi le considerazioni.

Domenico Letizia

http://www.cenerentola.info/archivio/numero118/articoli_n.118/dib.htm#2

mercoledì 18 novembre 2009

Giorgio Fidenato al Congresso dei Radicali Italiani



Grande Fidenato. (l'intervento inizia 6:14:30)
la risposta da Caserta:

Il gruppo di radicali e libertari di Caserta dell’Associazione radicale: “Legalità e Trasparenza’’ e della Cellula Luca Coscioni di Caserta esprime pubblicamente solidarietà a Giorgio Fidenato. Il 19 Novembre alle ore 11:00 presso il tribunale di Pordenone si terrà il processo a Giorgio Fidenato, lo stato torna a reprimere chi cerca di difendere il diritto naturale al godimento delle propria proprietà individuale. Fidenato in questi ultimi mesi ha dato vita ad una battaglia di disobbedienza fiscale, rifiutandosi di fare il gabelliere gratuitamente per conto dello stato, con Fidenato è iniziata una vertenza importantissima, una vertenza politica, culturale e di libertà, la battaglia contro il sostituto d’imposta. Giorgio Fidenato, presidente e fondatore del movimento Agricoltori federati di Pordenone, versa ai propri sei dipendenti lo stipendio lordo, rifiutandosi di esercitare la funzione di sostituto di imposta e, di conseguenza, di fare le trattenute di legge (come Irpef, Inps, addizionali regionale e comunale). Questa è una battaglia libertaria perché nessun imprenditore deve esser costretto a lavorare gratuitamente per lo stato e tutti i lavoratori hanno diritto di sapere a quanto ammonta lo stipendio lordo senza le trattenute fiscali, ed è proprio questo che da fastidio allo stato centralista e al sindacalismo corporativistica.
Con questa lettera invitiamo tutti i cittadini ad essere vicini a Fidenato, chi può sia a Pordenone il 19 Novembre, la stampa dia risalto a queste iniziative e speriamo che la libertà trionfi.

martedì 17 novembre 2009

Luca Casarini si scopre libertario!


CORRIERE DEL VENETO
- VENEZIA —
Ha deciso di fare il grande passo: iscrizione alla Cgia, la Confederazione generale italiana dell’artigianato. «Già, ho aperto un’im­presa individuale di consulenza sul marketing e design pubblicitario e la scorsa settimana l’ho re­gistrata. Non sono contrario alle partite Iva. An­zi, sto con loro e prometto di dare battaglia insie­me a loro perché siamo la classe più debole di quest’epoca». Ad annunciarlo non è un artigiano, anzi, un piccolo imprenditore qualsiasi. E’ Luca Casarini, il leader dei no-global che fino a qualche tempo fa infiammava le piazze contro il potere. Ora ha famiglia, un figlio di tre anni, e questa nuova at­tività in proprio. E sta già lottando per la soprav­vivenza, contro il Fisco «iniquo e vessatore», contro lo Stato «che impone e non garantisce», contro gli studi di settore, «la mannaia dei politi­ci di sinistra». Insomma, parla da piccolo e arrabbiato im­prenditore del Nord Est. «Parlo da chi è costretto a sostenere i costi im­pressionanti di un’impresa che si affaccia sul mercato. Siamo costretti a pagare senza avere un ritorno. Mi spiego: già siamo soli, non abbia­mo alcun servizio da parte dello Stato perché non è che ti paga chessò, il commercialista, e siamo pure in balia delle fluttuazioni di merca­to. Cioè, il lavoro devi cercartelo, non sei sicuro di averlo, te lo devi guadagnare, conquistare. E sei soggetto a una tassazione da lavoro stabile e sicuro. Tutto questo trasforma i piccoli impren­ditori in schiavi del Fisco. Per esempio, perché devo pagare l’imposta sull’attività produttiva? Devo pagare perché lavoro, perché produco? Questa è una fabbrica sociale dove la partita Iva è la forma minima di lavoro. E invece di ricevere aiuti, paga».
Disobbedienza fiscale? «Io sono contro il Fisco iniquo. Dove finisco­no i miei soldi delle tasse? Se mi proponesse l’asilo nido gratuito per mio figlio, o un soste­gno all’università o agli ospedali, pagherei volen­tieri. Ma siccome finiscono per il 90% in spese di guerra, in superstipendi di manager pubblici, in emolumenti di politici, non ci sto. Ho capito che la cocaina costa ma non posso comprargliela io. Non voglio mantenere un baraccone».
Casarini sta con gli evasori? «Li capisco bene anche se io preferisco parla­re di obiezione fiscale. La materia dev’essere ridi­scussa dalla a alla z affinché i soldi non finisca­no più a Roma per poi sparire nel nulla. E’ ipocri­ta la sinistra che guarda alle partite Iva come eva­sori. A dirlo sono soprattutto quei politici che non hanno mai fatto altro in vita loro. Si aprano una partita Iva e poi ne riparliamo. Ci provi an­che Bersani».
Simpatizza per Bossi e Berlusconi? «Ma no. Quelli fingono di proteggerci, in real­tà stanno a Roma. Il loro è un finto federalismo. Sono al potere, figuriamoci, sono lo Stato. Io so­no per un federalismo vero, per una contrattazio­ne più vicina con il potere».
Quanto dichiara Luca Casarini? «Vedremo, questa è la mia prima volta. Se va avanti così penso di non superare i 15 mila euro».

Dovrà fare i conti con gli studi di settore... «Altra mannaia, altro imbroglio. Serve allo Sta­to per mantenere i super­stipendi e il resto. L’ho vi­sta io la villetta di Visco a Pantelleria...».

Come si colloca il marxismo in questa sua scelta? «Mi considero un neomarxista critico. Franca­mente non ho mai avuto una grande passione per lo Stato che da noi è garantito da Fini e dalla sinistra nella forma del patriottismo costituzio­nale. Questo Stato che impone e non garantisce, ha 700 parlamentari pagati con soldi pubblici, e versa enormi quantità di denaro alle grandi aziende. No, preferisco l’autonomia».

Diranno: quando Casarini non lavorava urla­va contro gli imprenditori, adesso che fa l’im­prenditore li difende, comodo «Io sono sempre stato dalla parte dei più de­boli. Ora sono contro la grande industria e a fa­vore delle partite Iva che rappresentano il nuovo tessuto produttivo di base. Il mondo è cambia­to, Marx non basta più. E poi lo diceva lui stes­so: diffidare dei marxisti».
Andrea Pasqualetto
17 novembre 2009

http://www.movimentolibertario.it/home.php?fn_mode=fullnews&fn_id=426&fn_cid=4

domenica 15 novembre 2009

Inflazione malattia primaria

giovedì 12 novembre 2009

IL TRATTATO DI LISBONA!

martedì 10 novembre 2009

Forlì, inaugurata la biblioteca Gino Bianco

Il 18 ottobre 2009 nella sede della Fondazione Alfred Lewin a Forlì si è inaugurata la Biblioteca “Gino Bianco”. Oltre a tanti amici e “soci” della Fondazione erano presenti Roberto Balzani, sindaco di Forlì, Mario Bocerani, sindaco di Tuoro sul Trasimeno, dove Gino Bianco abitava, l’assessore alla cultura di Forlì, John Patrick Leech, e quello di Tuoro, Lorenzo Borgia.
Dopo l’intervento di Rosanna Ambrogetti, presidente della Fondazione (che riportiamo qui sotto) e i saluti dei due sindaci, ha preso la parola Adriana Montini Bianco che in un breve intervento è riuscita a darci un’idea di una Londra “favolosa”, quella laburista degli anni Sessanta e Settanta, dove poteva capitare di abitare sullo stesso pianerottolo delle nipoti di Gershom Scholem ed essere invitati a una festa dove il grande intellettuale intratteneva per ore i presenti, o in un’altra casa dove Arie L. Aliev, presentava il suo libro che racconta l’odissea della Ulua, la nave carica di ebrei che attraversò mezzo mondo; era la Londra degli esuli polacchi, due dei quali, entrambi ebrei, amici di Gino, Melvin Jonah Lanski e Leo Labedz, dirigevano le prestigiose Survey ed Encounter, e degli strettissimi legami col laburismo israeliano; la Londra dell’Internazionale socialista, in cui Gino conobbe Golda Meir, in cui Willy Brandt gli affidò il rapporto sull’eurocomunismo per poi bocciarglielo perché troppo scettico, ed erano tempi di Ostpolitik...

Ringrazio e do il benvenuto a tutti i presenti. Inizio dandovi una triste notizia. Come sapete la Biblioteca è stata costituita dalla Fondazione Alfred Lewin, fondazione a lui intitolata, per la sua storia che lo lega a Forlì. Alfred, insieme alla madre Jenny e ad altri 16 ebrei, è stato fucilato nel settembre del 1944 da fascisti italiani e SS tedesche nei pressi dell’aeroporto di Forlì. La strage è stata a lungo dimenticata finché nel 1994, grazie anche all’impegno della rivista Una città, non solo “la città ha finalmente ricordato” ma si è potuto dare degna sepoltura, alla presenza del Rabbino, agli ebrei uccisi, i cui resti erano pressoché anonimi in loculi invisibili.
Lissi Pressl Lewin era la sorella di Alfred e figlia di Jenny, e nel ’38, grazie alle insistenze della madre e del fratello, li aveva lasciati per riparare in Inghilterra, dove accoglievano solo ragazze ebree giovani, per lavorare alla pari. Così si salvò. Sposatasi con un tedesco della resistenza antinazista e andata a vivere nella Germania dell’Est, non seppe più nulla della sorte di madre e fratello.
Solo nel 2000, grazie a un giovane berlinese, figlio di amici di famiglia, e venuto a fare servizio civile all’Istituto della Resistenza di Reggio Emilia, seppe che i suoi cari erano sepolti a Forlì.
Nel 2000, dopo 57 anni, Lissi poté visitarne la tomba. Restò poi in stretto contatto con noi, tornò a Forlì in occasione del Giorno della Memoria e dell’Anniversario delle Leggi razziali, per parlare della storia sua e della sua famiglia nelle scuole e nel 2003 fu felice di dare il suo permesso a intitolare la Fondazione che stavamo costituendo al fratello Alfred Lewin e di diventarne Presidente onoraria.
Purtroppo Lissi Pressl Lewin è deceduta il 25 settembre scorso. Le sue condizioni di salute andavano peggiorando da tempo ma aveva continuato a seguire con estremo interesse i progetti della Fondazione. E siamo certi che sarebbe stata molto contenta sapendo della giornata di oggi.

La Biblioteca.
Spiegare perché è intitolata a Gino Bianco è un po’ come raccontarne la storia.
Gino Bianco era giornalista e militante socialista, socialista libertario. Fu corrispondente dell’Internazionale socialista da Londra per più di vent’anni, collaboratore di Critica Sociale negli anni 60, redattore di Tempo Presente di Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte, del quale fu allievo e amico. E fu proprio per intervistarlo su Nicola Chiaromonte, e successivamente su Andrea Caffi, che ci conoscemmo. Fu, cioè, il comune interesse per “l’altra tradizione”, quella socialista e libertaria, sempre eterodossa e pluralista, del tutto misconosciuta, a farci incontrare verso la metà degli anni Novanta. Per noi fu un incontro molto fecondo. E nacque anche una bella ed importante amicizia, che si è estesa alla sua famiglia e che è durata fino alla sua morte, nel 2005. Per anni ha prestato la sua firma come direttore responsabile alla rivista Una città ed è stato fra i fondatori della Fondazione.

La Fondazione possedeva già una raccolta di testi sulla Shoà (circa 600 volumi), ma l’idea della biblioteca ha preso forma ed ha cominciato a essere più realistica quando Gino ci ha lasciato gran parte della sua biblioteca di cultura politica, il suo archivio personale, una raccolta di carte tuttora inedite di Andrea Caffi, e numeri molto rari di Giustizia e Libertà degli anni della guerra di Spagna. Altro stimolo poi ci è venuto quando Miriam Rosenthal, vedova di Chiaromonte, conosciuta sempre tramite Gino, ha donato alla biblioteca una collezione della rivista Politics (rivista americana in cui scrivevano oltre a Chiaromonte e Caffi, Hannah Arendt, Simon Veil, Albert Camus) ed una raccolta di libri appartenuti a Caffi. Alla sua morte, poi, ci ha lasciato una parte consistente della biblioteca di Nicola Chiaromonte.
Nel frattempo era arrivata la donazione, da parte di uno dei fondatori, della casa in cui ha sede la Fondazione e le donazioni, sempre da parte di soci, di collezioni di riviste, dal Mondo di Pannunzio, a Tempo Presente, a L’Unità di Gaetano Salvemini, le annate di Critica sociale dell’ultimo decennio dell’800 e del primo del 900, il Ponte di Piero Calamandrei, Preuves, l’alter ego francese di Tempo Presente, ecc. Così il sogno di una biblioteca ha preso corpo.

Presto sarà anche aperta al pubblico, sarà in rete e speriamo che possa diventare un punto di riferimento, in un certo senso -vorremmo dire- anche “militante”, per dei giovani, ricercatori o meno, che vogliano riandare al passato per interrogarsi sul presente.

UNA CITTÀ n. 168/ novembre 2009

giovedì 5 novembre 2009

Anarchismo Integrale ( America, Europa )

Anarchismo Americano
Ipotesi di ricerca
di Marco Perez
http://www.instoria.it/home/anarchia_america.htm

Confronto tra Anarchismo americano ed europeo
Per un Anarchismo Integrale
di Domenico Letizia
http://www.instoria.it/home/anarchismo_americano_europeo.htm

lunedì 2 novembre 2009

Analisi e Proudhon


Da: http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/ ( A rivista Anarchica).

Il pensiero proudhoniano è stato oggetto di molteplici interpretazioni, le più diverse, le più disparate. Stroncato dai marxisti come piccolo-borghese, salutato dalla destra francese come teorico dell’autorità familiare, riconosciuto dai “socialisti liberali” come loro precursore, identificato dal sindacalismo rivoluzionario come nume tutelare e intellettuale di Sorel, riscoperto dal socialismo consiliare come iniziatore dell’autogestione operaia, infine, criticato, discusso e rispettato come uno dei fondatori del pensiero anarchico.
Alla radice di questa varietà interpretativa vi è il pensiero stesso di Proudhon, continuamente contraddittorio, dispersivo, costruito più per spunti ed intuizioni, che per schemi. La matrice di questa contraddittorietà è data dall’uso assolutamente originale del metodo dialettico: a differenza di Marx ed Hegel che definiscono la realtà nella forma triadica di una tesi e di una antitesi che si risolve sempre in una sintesi superiore, Proudhon afferma che le opposizioni e le antinomie sono la struttura stessa del “sociale”, e che il problema non sta nel risolverle in una sintesi che finirebbe per irrigidire la realtà, ma nel trovare e nel costruire un equilibrio funzionale capace di far convivere più tendenze di per sé contraddittorie.
Le opposizioni tra ordine stabilito e progresso, tra proprietà privata e proprietà collettiva, tra socializzazione e individualismo, fanno tutte parte del tessuto della vita sociale. I contenuti specifici della sua dottrina, privilegiando di volta in volta aspetti diversi della molteplicità socio-economica, possono definire Proudhon come teorico ora all’una ora all’altra tendenza, rendendo praticamente impossibile una “lettura anarchica” del suo pensiero. Quest’ultimo, inoltre, ha subito un’evoluzione continua caratterizzata da alcune fasi più inclini al democraticismo rivoluzionario o al riformismo che all’anarchismo.
Tuttavia vi è nell’opera complessiva di Proudhon un metodo d’indagine e di analisi, un modo di accostarsi e di interpretare la realtà sociale ampiamente libertario; metodo che porta alla duplice costituzione teorica di due fondamenti principali del pensiero anarchico: il pluralismo e l’autogestione. Essi costituiscono non solo una caratteristica propria dell’anarchismo storico ma anche dell’anarchismo contemporaneo, permettendoci una doppia giustificazione di una “lettura anarchica” di Proudhon: allo stesso tempo ideologica ed attuale.

L'analisi:

Dissonanze.
Quel democratico di Proudhon
di Luigi Corvaglia

Il concetto di “dissonanza cognitiva” è noto da tempo agli psicologi. Quando concetti, nozioni e credenze vissute come incoerenti o opposte sono contemporaneamente presenti nell’apparato cognitivo di un individuo, si viene a creare un disagio psicologico che necessita di esser risolto. Un esempio noto è quello del fumatore. Egli sa che fumare fa male, sa al contempo che chi fa qualcosa che lo danneggia è stupido, pertanto il tabagista dovrebbe accettare l’idea di essere stupido; questa idea, però, contrasta con la benevola autoconsiderazione che è di ogni individuo non depresso. La soluzione può essere, allora, quella di squalificare la scientificità degli studi sui danni da fumo, oppure il considerare il piacere sicuro prodotto dal suo vizio più importante di un danno incerto, come anche l’ affermare a se stessi che, “con l’inquinamento che c’è”, il fumo di sigaretta è piccola e trascurabile cosa. Tutto pur di salvaguardare la propria immagine di individuo razionale. Bene, alla dissonanza cognitiva e alle contorsioni intellettuali messe in campo per risolverla non è immune neppure il pensatore di cose politiche, l’analizzatore di grandi sistemi e neanche i tanti, troppi autori di “brevi saggi sull’universo”. Anzi. Si prendano gli anarchici, noti compendiatori di universi, tra l'altro, e il loro rapporto con il libero scambio. E’ noto che se sei per il libero scambio sei un capitalista, c’è scritto su tutti i brevi saggi. Libero scambio e anarchismo sono “dissonanti”, non possono coesistere nella stessa scatola cranica, specie se già occupata da molti altri ingombri intellettuali, quali, per esempio, quelli che fanno confondere il libero scambio col capitalismo, un sistema predatorio che nulla ha a che vedere con uno scambio realmente “libero”. Stranamente, però, anarchismo, che è per definizione libertà, e impedimento dello scambio, che è costrizione, sembrano non essere particolarmente dissonanti. Ora, intendo sottoporre al lettore un caso piuttosto lampante di risoluzione di una dissonanza cognitiva di tipo simile. L’argomento è Proudhon.
Per una strana coincidenza, sull'ultimo numero di "A Rivista Anarchica" (n. 348, novembre 2009), Mirko Roberti sembra quasi rispondere al mio invito(http://tarantula.ilcannocchiale.it/?r=19435), pubblicato su vari fogli e noto anche a quella redazione, a leggere Proudhon. Egli, infatti, si produce in una singolare argomentazione proprio proponendo una "Lettura di Pierre Joseph Proudhon". Nell'introdurre alcuni brani del francese, estrapolati qua e là, l’autore parte dalla constatazione che “Il pensiero proudhoniano è stato oggetto di molteplici interpretazioni, le più diverse, le più disparate.” Ciò è senz’altro vero e, del resto, era proprio tale constatazione a motivare la mia proposta di approfondimento dell’opera proudhoniana. Tale approfondimento, in altri termini, avrebbe dovuto far cogliere al lettore la profonda coerenza interna del suo pensiero, onde far miseramente crollare una serie di luoghi comuni di pronto utilizzo, appunto, per le più diverse e contrastanti posizioni. Già, ma l’invito del più noto magazine libertario italiano sembra procedere in vista di ben altro fine. Si, perché Roberti scrive che “Alla radice di questa varietà interpretativa vi è il pensiero stesso di Proudhon, continuamente contraddittorio, dispersivo, costruito più per spunti ed intuizioni, che per schemi”. La posizione di Roberti è rispettabile come quella di qualunque studioso e, in un dibattito intellettuale, la differente interpretazione è per definizione una necessità, pena l’assenza del dibattito stesso. Senonché, ad un certo punto diventa piuttosto chiaro che l’autore tende a risolvere il disagio psicologico che proprio la lettura dell’autore di “Che cos’è la proprietà?” procura al suo anarchismo. Proudhon, con la sua ostinazione a non sclerotizzare le posizioni in dogmi e a considerare mobile ogni cosa viva, a vedere, cioè, come necessarie ed ineliminabili perfino le “contrapposizioni e le antinomie”, incluse quelle “tra proprietà privata e proprietà collettiva, tra socializzazione e individualismo”, perché “fanno tutte parte del tessuto della vita sociale”, provoca qualche vertigine. Manca un saldo parapetto. Ecco allora che avviene l’impensabile: l’uomo che per primo osò definirsi “anarchico” viene espulso dal novero degli anarchici! Scrive, infatti, Roberti: “I contenuti specifici della sua dottrina, privilegiando di volta in volta aspetti diversi della molteplicità socio-economica, possono definire Proudhon come teorico ora all’una ora all’altra tendenza, rendendo praticamente impossibile una “lettura anarchica” del suo pensiero. Quest’ultimo, inoltre, ha subito un’evoluzione continua caratterizzata da alcune fasi più inclini al democraticismo rivoluzionario o al riformismo che all’anarchismo.”
Uno scoop, direi, che non solo finisce con l’ accreditare le letture fantasiose da cui si era partiti, ma che, nel cercare di risolvere una serie di dissonanze cognitive con l’espulsione di tanto autore dall’esclusivo club, finisce col rivelare un pericoloso sfondo intellettuale. Infatti, il motivo della scarsa coerenza anarchica dell' uomo di Becancon Roberti la vede nell’ “’uso assolutamente originale del metodo dialettico: a differenza di Marx ed Hegel che definiscono la realtà nella forma triadica di una tesi e di una antitesi che si risolve sempre in una sintesi superiore, Proudhon afferma che le opposizioni e le antinomie sono la struttura stessa del “sociale”, e che il problema non sta nel risolverle in una sintesi che finirebbe per irrigidire la realtà, ma nel trovare e nel costruire un equilibrio funzionale capace di far convivere più tendenze di per sé contraddittorie.”In altri termini, sembra che la colpa del fondatore dell’anarchismo moderno sia quella di considerare l’identità anarchica come qualcosa di anarchico. Ecco, questo non è dissonante….

domenica 25 ottobre 2009

Samuel Edward Konkin III (1947-2004)


di Jeff Riggenbach


Non ci sono errori : abbiamo perso un grande libertario, e probabilmente non vedremo mai una figura simile.
Samuel Edward Konkin III è nato nel Saskatchewan, in Canada l'8 luglio 1947. La sua famiglia si trasferì ad Alberta, mentre era ancora un ragazzo, crescendo intorno a Edmonton, finito il liceo frequenta l’ University of Alberta, dove si è laureato, con lode, nel 1968. Successivamente raggiunge l’ University of Wisconsin per iniziare gli studi universitari in Chimica, fu un grande fan di fantascienza e fu particolarmente innamorato delle opere di Robert A. Heinlein.

Uno dei romanzi di Heinlein, in particolare, lo avevano impressionato -- La Luna è una severa maestra (1966) - in cui un gruppo di coloni ribelli sulla Luna, sotto la guida di un computer rinnegato e un filosofo politico di nome Bernardo de la Paz, fondano un qualcosa che egli chiama "Rational Anarchy," una rivoluzione riuscita. Sam era già impegnato in politica, ma non in formazioni libertarie - in formazioni populiste. Presso l'Università di Alberta divenne capo del giovane partito del credito sociale, partito politico fondato ad Alberta a metà degli anni 1930 sulla base delle teorie del economista britannico Clifford Douglas.

Come dice l'edizione online dell'Enciclopedia Britannica , "la teoria Douglas ', prima promossa nel 1919 nella pubblicazione socialista inglese: Il New Age, ha cercato di porre rimedio alla cronica carenza di potere di acquisto mediante l'emissione di ulteriori finanziamenti per i consumatori, al fine di liberare la produzione dal sistema dei prezzi, senza alterare l'impresa privata e senza scopo di lucro. Il movimento di credito sociale ha avuto un breve seguito in Gran Bretagna nel 1920 e ha raggiunto il Canada occidentale negli anni '30. "

Nel 1935, appena costituito, il Partito del credito sociale "ha vinto 56 dei 63 seggi all'Assemblea in Alberta’’.

In una delle ultime cose che ha scritto, un messaggio inviato alla sinistra libertaria, un e-mail list di discussione del Giovedì 5 febbraio 2004, Sam ha lasciato il seguente commento riguardo il movimento di credito sociale:


Paradossalmente, come con i vari movimenti populisti negli Stati Uniti, ho il sospetto che il successo del partito del credito sociale in Canada riflette in realtà un radicato anti-statalismo della popolazione. Essi giustamente percepiscono il capitalismo delle multinazionali, come un sistema di potere, e allo stesso modo il sistema bancario che è l’essenza del potere organizzato del capitale. Ma non riescono a percepire pienamente il ruolo di intervento dello Stato capitalista, in questo potere, e sono ingannati dai rimedi statalisti.


"Stranamente il primo governo provinciale di Alberta, 1905-1919, è stato Georgist (cioè il Partito Liberale di allora), il secondo governo è stato eretto dai Coltivatori Uniti di Alberta, 1919-1935, la cui ala federale è stata considerata il ' gruppo di elite' del Partito Progressista del Canada, e il terzo governo è stato sostenuto dal partito del credito sociale (1935-1971). "

A Madison, inizia ad allargare i suoi orizzonti politici. In primo luogo la sua nuova coinquilina, la chimica Ph.D. è ex devota di Ayn Rand. Tony Warnock, lo presentò al Wisconsin Conservator Club dove incontrò Robert Lefèvre. Sam fu selezionato come delegato alla convention nazionale degli YAF a St. Louis nel mese di agosto del 1969.

St. Louis è stata una tappa importantissima per lo sviluppo di Sam come libertario. Egli venne all’assemblea pensando se stesso come un giovane conservatore, anche se ciò che aveva letto e appreso durante l'anno da e su Rand, Lefevre, Ludwig von Mises e Murray Rothbard cambiarono molte sue idee. "Il passo finale," Sam disse ad un intervistatore nel 2002, "è stato fornito da un anarchica di mercato anticomunista di nome Dana Rohrabacher presso il St. Louis YAF convenzion. Era un attivista carismatica ,che fornì a Sam piccoli finanziamenti per viaggiare per il paese per convertire le YAF in Libertarian Alleance. Ahimè, poi cadde in politica. "Ma nel 1969-71, Dana Rohrabacher è stata la più amata attivista libertaria, e, a mio parere, non ci sarebbe stato un movimento senza di lei. Ed era una cara amica fino a quando ha tagliato il traguardo con la sua campagna per il Congresso. "

Se la convention di St. Louis YAF è stato uno spartiacque nello sviluppo personale di Sam come libertario, lo è stato anche per il movimento libertario.

Nel 1969, sia l'SDS che gli Young Americans for Split Liberty nel corso di una conferenza storica a New York ove erano presenti Murray N. Rothbard e Karl Hess le due formazioni raggiunsero un accordo. Nel febbraio del 1970, vari attivisti che lavoravano per Robert LeFevre organizzarono una conferenza ancora più grande a Los Angeles alla USC, ove parteciparono Hess e Carl Oglesby ex- presidente degli SDS e quasi tutte i grandi nomi del movimento di allora.

Dopo la conferenza di Los Angeles, i campus della Libertarian Alliance sorsero in tutto il paese. Io personalmente ne ho organizzato cinque nel Wisconsin nel 1970 e una dozzina in Downstate New York (New York City e dintorni), 1971-73. Il Libertarian Party fece la prima "vera" campagna con Fran Youngstein e fu l'unica campagna in cui l’anti-politica era protagonista (ciò che gli europei chiamano anti-parlamentarismo) ove i libertari hanno lavorato insieme agli anarchici.

Da quel momento il movimento libertario era cresciuto da migliaia di militanti nel 1970 a decine di migliaia nel 1971 e centinaia di migliaia (alcune all'estero, come in Gran Bretagna e Australia) nel 1972. Il tasso di crescita del movimento venne livellato con l'aumento della visibilità del partito libertario.

Sam trascura di menzionare il ruolo cruciale degli oggettivisti nella fondazione del Libertarian Party. È certo che Ayn Rand ha influito sul libertarismo e la gente di più di Murray N. Rothbard e Robert LeFevre.

Questi precisazioni sono in ultima analisi, di poca importanza, comunque. Nelle sue linee essenziali, e per quanto riguarda la maggior parte della sua ‘’documentazione’’, Sam tiene un resoconto delle origini del movimento alla rapida crescita con precisazioni in particolare quando riguarda il giornalismo . Ed è come un giornalista libertario che Samuel Edward Konkin III è ricordato e meglio compreso. Dopo la convention YAF, è tornato a Madison per un anno, poi si trasferì a New York. (Dopo tutto, Mises e Rothbard erano entrambi lì.) Finiti gli studi in Chimica Teorica, ha iniziato a lavorare a Manhattan incontrando Rothbard ed ha frequentato il famoso seminario economico di Ludwig von Mises in economia austriaca alla New York University, egli fu coinvolto coinvolto nella nascita del Partito Libertario.

In qualità di delegato di New York City nel 1973 e nel 1974 al Cleveland e Dallas Sam ha organizzato l'originale "caucus radicale" all'interno del partito. Ma alla fine nel 1974, Sam aveva abbandonato l'idea che il partito fosse autenticamente libertario . Pubblicamente uscì dal partito, portando con se un pezzo considerevole di militanti. Successivamente, pensò a se stesso come "nemico del Libertarian Party".

Di maggiore importanza è stata la decisione di Sam di assumere la direzione del NYU Libertarian Notes, una newsletter universitaria, rapidamente rinominata New Libertarian Notes mirando ad abbracciare un pubblico ampio. La sua missione, secondo lui, era quella di "coprire" il neonato movimento libertario a riferire sulle sue questioni e gli eventi, e offrire commenti volti a guidare il nuovo movimento in quello che Sam riteneva la direzione corretta. Nei primi anni '70, il movimento vive un grande fermento ed è in crescita. A Mercer Street fonda la Laissez Faire Books una libreria autenticamente libertaria.

Sam si trasferì prima a Long Beach, California (la quinta città più grande della California, con mezzo milione di persone, a circa venticinque miglia dal centro di Los Angeles). Da lì si trasferì a Culver City, un sobborgo di Los Angeles. Poi, dopo un paio d'anni a Las Vegas e al sorgere del nuovo secolo è tornato a Los Angeles.

New Libertarian Notes divenne New Libertarian Weekly e infine New Libertarian, Un "mensile" che effettivamente non rispettò del tutto le scadenze (fu un mensile a singhiozzo). Tuttavia, New Libertarian è stato oggetto di attenzione per più di venti anni magnificamente. E’ stato il periodo ove vi sono tra le pubblicazioni le più divertenti, provocatorie e stimolanti argomentazioni libertarie mai pubblicate . Molti dei migliori scrittori del movimento sono stati contribuenti ed editori, giornalisti regolari o collaboratori frequenti come Robert Anton Wilson, James J. Martin, Wendy McElroy, Murray Rothbard, Jeffrey Rogers Hummel, Sharon Presley, Robert Lefevre, Eric Scott Royce , George H. Smith e, naturalmente, lui che era lì, numero dopo numero, con i suoi commenti, spesso bizzarri, ma quasi sempre penetranti e incisivi sui temi e gli eventi del movimento libertario.

Sam era convinto che tutto il giornalismo, come tutta la storia, si basa su alcuni presupposti sulla condizione umana e sulla quale le esperienze sono più e meno importanti. Sapeva anche che ci sono due, e solo due tipi di giornalismo: la natura in cui queste ipotesi sono consapevolmente detenuti ed esplicitamente individuate, e la natura, nelle quali non sono mai identificate. Sam è stato un nuovo tipo di giornalista.

Sam non ha mai preteso che i suoi collaboratori, anche i suoi giornalisti e redattori fossero d'accordo con lui su tutto. Al contrario: la testata New Libertarian proclamò che tutti quelli che figurano in questa pubblicazione non sono d'accordo! In un momento (anni '70 e '80), in cui il frazionismo all'interno del movimento è stato più virulento di quello che è oggi (che ricorda a volte delle lotte intestine tra i vari concorrenti gruppi palestinesi), Sam ha perseguito una politica di fermezza per dar voce ad ogni fazione.

Egli non faceva mistero delle sue opinioni, naturalmente e quando pubblicava un articolo di chi era in completo disaccordo con lui, si sentiva libero di annotare l'articolo con i commenti tra parentesi.

Qual è stata la serie di ipotesi che hanno guidato Samuel Edward Konkin III nella sua pratica del giornalismo libertario? In una parola, Rothbardianism. Sam ha seguito fedelmente Rothbard nelle sue posizioni non-interventiste in politica estera. Ha seguito fedelmente Rothbard nella sua denuncia della "pubblica" istruzione.

Sam ha continuato a pubblicare una serie di altri periodici, oltre a New Libertarian, ci fu New isolationist, Strategy of the New Alliance Libertarian, The Smart Set & Notes Libertarian Calendario, il trimestrale Agorist e molti altri. Sul finire del 1980, Sam aprì una serie di uffici per l’ Agorist Institute (fondato nel 1984) in un centro di Long Beach e ha proceduto ad ospitare una serie di classi, conferenze e lezioni. In precedenza, nello stesso decennio aveva completato e pubblicato la sua principale dichiarazione strategica: The New Libertarian Manifest.

Sam aveva a lungo invidiato libertari che avevano coniugi e figli e ha voluto, ha detto, allevare libertari nuovi. Nel 1991 ha ottenuto la sua chance. Un matrimonio breve con Sheila Wymer da cui ha avuto un figlio, Samuel Edward Konkin IV, che ora è, da tempo amico di famiglia J. Neil Schulman ha tredici anni e la passione per il punk rock ". Il suo matrimonio però finì presto. Fino al momento della sua morte, ha annunciato la resurrezione imminente di New Libertarian e la creazione dei siti web: http://www.agorist.org/ e http://www.newlibertarian.com/ . Sarebbero stati costantemente aggiornati.

Sam è stato un leader e, come tale, un membro della seconda generazione di leadership nel "moderno" movimento libertario - che è, il movimento che venne alla luce nel 1940 con le pubblicazioni di Ayn Rand : La fonte meravigliosa, Isabel Paterson Il Dio della Macchina le pubblicazioni di Friedrich Hayek'e di Ludwig von Mises: Human Action, La seconda generazione è costituita da intellettuali nati negli anni 1930, '40 e '50. Di questa seconda generazione vi sono stati due grandi giornalisti libertari: Roy A. Childs, Jr. (1949-1992) e Samuel Edward Konkin III (1947-2004). Entrambi erano troppo giovani per morire.


(Traduzione di Domenico Letizia)

giovedì 22 ottobre 2009

A ciascun cittadino una quota del reddito del capitale dello Stato


di Nereo Villa


Come nello Stato socialista la proprietà è dello Stato e non dei cittadini, così nello Stato dei fantasmi (società anonime, persone giuridiche, ecc.) la proprietà è dello Stato dei fantasmi (società anonime, persone giuridiche, ecc.) e non dei soci, ed anche tutte le banche centrali, in quanto persone giuridiche, sono fatte credere pubbliche, mentre sappiamo tutti che pubbliche non sono.
Oggi è il tempo in cui la confusione tra “giuridico” ed “economico” va chiarita. Attraverso questa confusione, il razionalismo marxista realizzò una concezione mitica e mistica dell'interesse sociale.
Il berlusconismo anticomunista non ha realizzato neanche quella, e neanche da’ segni di volerla superare: semplicemente continua ad usarla, credendosi anticomunista.
Insomma, la proprietà di Stato non è proprietà dei cittadini, ma proprietà del mito, del fantasma Stato che continua a proporre interesse sociale, diverso e contrapposto a quello dei soci, i cittadini.
Però solo attraverso l’interesse reale dei cittadini (tutti, non solo quelli di destra o di sinistra) la società non è fasulla o un mito, ma un organismo sociale, cioè un insieme di uomini vivi, legati da rapporto organico, vivo. Non si tratta di sopravvivere, bensì di essere capaci - ed ogni cittadino ha questa possibilità interiore - di ritornare al diritto sociale, sensato in quanto favorevole alla persona in carne ed ossa collegata al suo reale patrimonio, concepito come oggetto concreto del diritto. Solo così è possibile socializzare la moneta, cioè partecipare tutti agli utili, non solo i banchieri.
Quando oggi si parla di partecipazione agli utili, se ne parla invece solo in termini di azienda privata, e secondo i medesimi ipocriti parametri del "politicamente corretto", già denunciati da Gesù di Nazaret a proposito dell'antica questione della menta e del cumino.
Occorre allora portare il dialogo a livello di macro-economia, per offrire a tutti, in quanto siamo tutti CITTADINI, una quota di reddito di tutto il capitale amministrato dallo Stato. Io ho una quota di capitale solo quando ho diritto di pretendere la mia quota di reddito.
Solo in questo modo è possibile rompere i "rapporti" che non sono rapporti, cioè il clientelismo che, attraverso l’omertà del signoraggio, domina la politica economica, considerata sociale. Senza approfondire il rapporto fra comproprietà e signoraggio si realizza nulla, o tutt’al più uno Stato pollaio, in cui si allevano uomini il cui potere politico a propria discrezione distribuisce dall'alto il chilo di mangime a testa. Vi è un detto antico dimenticato: "Ubi societas ibi autem communio, communio datur sine societate": dove c’è società, c'è pure comproprietà, data senza società.
Ciò significa che la comproprietà è precedente e non successiva alla società, in quanto è grazie alla comproprietà che la società diventa tale. Dunque là dove c’è società, vi è pure comproprietà, ma non perché è la società a creare comproprietà, bensì perché è vero il contrario, in quanto è la comproprietà a creare società. Il potere dello Stato di diritto ha senso se garantisce giuridicamente ciò. E ciò è ben diverso dall’avere la discrezionalità nella distribuzione dei beni di consumo, come di fatto è.
Oggi si sopravvive, NONOSTANTE l’ordinamento attuale dello Stato pollaio accennato, che vorrebbe essere anticomunista solo a parole. Se vuoi essere anticomunista mi sta bene, ma non puoi essere anticomunista attraverso i medesimi parametri materialistico-giuridici della società mitica sopra accennata. Altrimenti io preferisco il comunismo russo, almeno “ho” l’orto. Anche sul piano critico del linguaggio comune la parola "comunismo", o "essere di sinistra" assume per la maggior parte della gente il significato di una specie di comproprietà. L'uomo ingenuo pensa che col sistema comunista o con le sinistre o con il centro sinistra, si debba dividere qualcosa.
È ovvio pertanto che il povero è oggi tendenzialmente comunista. Ma si deve chiarire che comunismo non è comproprietà, perché comproprietà è un modo di essere della proprietà privata. Comunismo vuol dire invece coincidenza del potere politico col potere patrimoniale, cioè "governo proprietario", non "popolo proprietario". La domanda chiave da proporre ai politici di sinistra o di destra dovrebbe allora essere: diteci se volete realizzare proprietà di popolo o proprietà di governo.
La risposta a questa domanda dovrebbe essere chiara, perché la storia ha insegnato che il comunismo è proprietà di governo.
Occorre allora battersi per la proprietà dei cittadini! Ma i deboli di pensiero imperano... Il dilemma per tutti i politici è dunque: Stato sovrano rispetto ai cittadini, o cittadini sovrani rispetto allo Stato?
O meglio: Stato, padrone dei cittadini, o cittadini, padroni dello Stato? O meglio ancora: comunismo o sovranità cittadina? Cos'è che è vero per voi? Per quale verità optate? Per quale pensiero?
Optate per il pensare meramente logico (del cumino e dei trattati universitari di economia), o per quello conforme alla realtà?

"Il mio identikit politico è quello di un libertario, tollerante. Se poi anarchico l'hanno fatto diventare un termine orrendo... In realta' vuol dire solo che uno pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia, le stesse capacità" ( Fabrizio De André )