SITO ANARCOLIBERALE A CURA DI DOMENICO LETIZIA. Laboratorio per un Neo-Anarchismo Analitico che sia Liberoscambista, Volontarista, Possibilista e Panarchico con lo sguardo verso i valori del Liberalismo Classico, del Neo-mutualismo e dell'Agorismo. Un laboratorio che sperimenti forme di gestione solidali, di mercato dencentralizzato e di autogestione attraverso l'arma della non-violenza e lo sciopero fiscale, insomma: Disobbedienza Civile

banner campagna un futuro senza atomiche

The Neolibertarian Network Diventa anche tu Ambasciatore Telethon Italian Blogs for Darfur AIT - Associazione italiana transumanisti
AnarchicA
No TAV

sabato 30 maggio 2009

Test.........europee

Ecco la mia posizione secondo questo interessante e divertente test:




Grazie Fabrizio.
http://ingranaggiodellaliberta.blogspot.com/

venerdì 29 maggio 2009

A OGNUNO LA SUA BANCA


di PIETRO ADAMO

Mentre in Europa si discuteva su come le élites potevano guidare gli oppressi alla conquista del potere, gli anarchici americani discutevano di antitrust, di voto alle donne, di diritti e poteri dei consumatori, di difesa della proprietà individuale, di copyright. L’odio per uno stato liberticida e il principio della sovranità dell’individuo non sono affatto patrimonio esclusivo del liberalismo. Intervista a Pietro Adamo.

Pietro Adamo si occupa principalmente del protestantesimo radicale e della cultura politica dell’anarchismo, sui quali ha scritto vari saggi.
Sembra che il liberalismo sia attualmente l’unica tradizione politica rimasta sulla scena. Esistono però tradizioni di pensiero che potrebbero dare spunti interessanti, e fra queste l’anarchismo autoctono americano, così poco conosciuto in Italia. Da dove deriva tale tradizione?
La tradizione dell’anarchismo autoctono americano, che copre quasi tutto l’800, è stata una corrente di pensiero originale e articolata che si è fondata principalmente sulla realtà sociale e culturale americana, con rarissimi contatti con i movimenti e i teorici che hanno costituito l’anarchismo in Europa. Degli esponenti più noti di questa tradizione -Lysander Spooner, Benjamin Tucker, Josiah Warren, Stephen Pearl Andrews-, l’unico che conosceva bene le opere di Stirner, Bakunin, Kropotkin era Benjamin Tucker, che le fece anche tradurre o le tradusse egli stesso, ma fino a lui gli anarchici americani maturarono il loro anarchismo in modo assolutamente autoctono rispetto a quella tradizione europea (che parte da William Godwin e arriva fino a Errico Malatesta, e che comprende Stirner, Bakunin, Proudhon, Kropotkin, Reclus, Faure e tanti altri) che oggi definiamo “anarchismo classico”. Questa elaborazione autonoma americana, come dicevo, durò fino a circa il 1890, quando, con l’immigrazione di italiani, tedeschi, ebrei negli Stati Uniti si ebbe l’introduzione di tematiche tipicamente europee che fecero sì che i leader del movimento anarchico americano del primo ’900 -vale a dire Emma Goldman, Alexander Berkman, Johann Most, non a caso tutti immigrati- avessero come punto di riferimento non la tradizione libertaria americana, ma quella europea, essenzialmente Kropotkin e l’anarco-comunismo.

E mentre l’anarchismo di matrice europea è figlio soprattutto dell’illuminismo francese e del populismo russo, l’anarchismo americano autoctono è figlio del protestantesimo radicale, delle sette dissenzienti della Riforma che furono anche le matrici del liberalismo americano. Non è casuale che il punto focale di questo particolare anarchismo stia proprio nell’estremizzazione di una forma di liberalismo tipicamente americana.

Il fenomeno liberale negli Stati Uniti ebbe uno sviluppo molto diverso da quello europeo e per dare il senso della differenza è sufficiente ricordare le reazioni che i viaggiatori europei che vanno in America tra la metà del ’700 e l’inizio dell’800 annotano nei loro diari. Tutti questi viaggiatori, appena sbarcati a Boston, a New York o in qualunque altro porto, notano immediatamente quanto manchi nella società americana il senso della gerarchia -lo stupore più grande è provocato dagli operai e dai lavoratori del porto che camminano tranquillamente per la strada in mezzo al “gran mondo”, che apostrofano i loro padroni durante il lavoro- e non sono pochi quelli che, col massimo scandalo, scrivono che in tutta la società americana sembra esserci un forte senso di eguaglianza e di non essere trattati come si tratta un aristocratico, o un membro della classe superiore, ma al pari di tutti gli altri.

Uno dei motivi per cui negli Stati Uniti il senso dell’uguaglianza era molto più forte che in Europa è certamente dovuto al fatto che gli emigranti che nel ’600 andavano negli Stati Uniti dall’Inghilterra, appartenevano in genere alle classi basse e medie, mentre gli aristocratici, in linea di massima, non andavano, salvo qualcuno che faceva il governatore o simili.Per questo, nell’America che nasce da questi emigranti che fuggono dall’Inghilterra per sottrarsi alla miseria e alle persecuzioni religiose, manca il senso dell’aristocrazia, dell’autorità, e anche le classi aristocratiche che nascono nei territori dell’America del Nord si creano in un contesto dominato dal senso dell’uguaglianza. Questo contesto dai tratti egualitari segnerà poi l’intera esperienza del libertarismo americano, che avrà sviluppi diversi da quello europeo, lo stesso Stato moderno viene creato negli Stati Uniti in modo diverso da come si viene creando in Europa.

E’ in questo contesto di un liberalismo venato di egualitarismo, che affonda le sue radici nel protestantesimo radicale, che bisogna pensare all’esperienza e allo sviluppo dell’anarchismo americano. Il protestantesimo dei battisti, dei quaccheri, degli antinomiani, dei ranters prende infatti i concetti centrali del protestantesimo e da essi elabora una serie di teorie profondamente individualistiche, facenti perno sulla centralità e sull’autonomia dell’individuo, teorie che a loro volta diventano un solvente per il principio di autorità. Questa operazione è del tutto conseguente al protestantesimo e in un certo senso è analoga a quella fatta da Lutero quando scrisse il suo primo trattato sulla libertà del cristiano. Lutero fu, io credo, il primo nella storia d’Europa ad immaginare un individuo in sé, completamente staccato, autonomo dallo Stato, dalla chiesa, dalla famiglia, dalle relazioni sociali. Con un grande sforzo d’immaginazione, rielaborando in modo potente e originale quel che avevano detto san Paolo e sant’Agostino, nel 1520 Lutero disse che il cristiano è cristiano soprattutto in quanto ha una relazione privata con Dio e con questa affermazione ha dato all’occidente i materiali da cui prenderà le mosse la modernità.

Questa tendenza alla valorizzazione dell’individuo è presente in vario modo nelle elaborazioni di quasi tutti i teologi cinque-seicenteschi, scoppia nella rivoluzione inglese e viene portata negli Stati Uniti, anche se è difficile fare una descrizione, attraverso una serie lineare di autori, di come questa tradizione si sia spostata. Quello che è certo, comunque, è che per tutto il ’700 abbiamo la riemersione di questi temi forti nelle esperienze liberali: non si può non pensare a un personaggio come Thomas Jefferson senza tenere presente come egli prenda dal protestantesimo quella difesa strenua della libertà degli individui che lo porterà ad affermare, lui che fu presidente degli Stati Uniti, che “il miglior governo è quello che governa meno”. Il nocciolo del protestantesimo radicale è come un iceberg che viaggia sotterraneo ed ogni tanto emerge e noi possiamo vedere come Spooner, Andrews, Warren usino costantemente temi protestanti, come li rielaborino a partire dalle idee delle tendenze radicali del Seicento.

Questo non vuol dire che tutti i protestanti radicali fossero libertari, per molto tempo, anzi, molti si caratterizzarono come dei repressori e dei dogmatici e l’esempio è quello della persecuzione delle streghe. Ma a fianco di questa maggioranza esistevano tuttavia delle sette non piccole che, come ad esempio gli antinomiani, pensavano una cosa sostanzialmente anarchica, cioè che un cristiano in stato di grazia non avesse alcun obbligo di ubbidire neanche al decalogo. Loro vivevano questa contestazione radicale del principio di autorità in senso essenzialmente religioso, ma, poiché il sostegno alla vita civile, all’associazione statale, alla famiglia, era la religione, questa affermazione comportava quasi meccanicamente il rifiuto di obbedire alle leggi fondamentali che regolavano la vita associata. Ed infatti, attorno alla metà del ’600, proprio gli antinomiani faranno questa operazione e diranno “Se non devo obbedire al decalogo allora non devo neanche obbedire al giudice o al poliziotto o al parlamento”. Non a caso gli antinomiani, secondo questo stesso ragionamento, saranno fra i primi a praticare l’amore libero e questo era del tutto conseguente alle loro premesse perché, una volta che ti distacchi dall’idea che la credenza in Dio sia un limite e inizi a pensare che è invece uno strumento di liberazione che ti riguarda in quanto individuo, la questione diventa quella di procurarsi i mezzi di una liberazione che non può che essere anche nel quotidiano, nella società e nella politica.

Il carattere predominante dell’anarchismo americano, cioè la difesa a tutti i costi dell’individualità (che è anche il punto di partenza della riflessione dell’anarchismo classico, non solo di Stirner, ma anche di Proudhon e persino di Bakunin), nasce da tutto questo e si innesta in una realtà sociale che fino alla metà dell’800 non vede i grandi centri urbani europei e la forte presenza di un movimento operaio organizzato, ma grandi spazi, piccoli centri, contadini e allevatori. Quando gli anarchici americani ricercheranno i loro precursori, questi verranno trovati in Thomas Paine, in Thomas Jefferson, in Henry David Thoreau, in Ralph Waldo Emerson, cioè in quei pensatori liberal-radicali che, a partire dalla loro formazione protestante, elaborano nel primo ’800 teorie critiche del sistema liberale che si sta affermando.


Ma centrare tutto sull’individuo non porta ad astrarsi dalla realtà? Gli esseri umani sono anche, o soprattutto, prodotto della società in cui vivono…


Gli anarchici americani non pensavano la loro esperienza come una rottura, o un al di là dei nessi sociali proprio perché erano fortemente radicati nella loro realtà culturale ed in virtù di questo avevano anche una forte presa sulla loro società.Josiah Warren, che fu un po’ l’iniziatore di questa tradizione, segue da presso l’esperienza dei villaggi cooperativi di Robert Owen, dà vita a dei villaggi comunitari e a degli esperimenti sociali nel tentativo di creare nuovi modelli di produzione e distribuzione che nel contempo cambino l’uomo.Stephen Andrews era invece il classico letterato newyorkese un po’ bohémien, conosceva più o meno bene oltre trenta lingue ed era attivo negli ambiti più disparati. Ed infatti quelli che si occupano di spiritismo credono che Andrews sia essenzialmente uno spiritista, quelli che si occupano dello sviluppo delle comuni pensano che sia essenzialmente un sostenitore del modello comunitario, altri ancora pensano che sia un utopista, mentre non molti sanno che Andrews è stato soprattutto un teorico di questa “via americana” all’anarchismo. Andrews, fra l’altro, nel I872 fu sbattuto fuori, da Marx, dalla sezione americana della Prima Internazionale (insieme a Victoria Woodhall, che fu la prima donna a candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti quando le donne non potevano ancora votare), perché pare fosse un po’ troppo propenso a propagandare e praticare il libero amore, ma questo era del tutto naturale per la sua personalità di frequentatore dei circoli dei liberi pensatori.

E mentre Lysander Spooner, avvocato, era il classico congregazionista che applicava le lezioni pratiche e morali che aveva imparato nelle campagne della Nuova Inghilterra all’organizzazione della società, Benjamin Tucker, ultimo grande esponente di questa tradizione di pensiero, sa, all’opposto, di vivere in una società capitalista fortemente articolata e già nel 1890 si misurava con realtà economiche, politiche e sociali che per molti versi sono simili a quelle di oggi.Quando si leggono questi autori si ha veramente la percezione di aver a che fare con dei contemporanei, con persone che stanno dibattendo problemi di cui puoi parlare anche tu. Quello che mi colpisce leggendo i classici dell’anarchismo europeo è che, una volta superate le grandi dichiarazioni di principio e le analisi, ti ritrovi con proposte di intervento e progetti di cui oggi non si sa che farsene: Bakunin postula una élite che guidi la riscossa degli oppressi attraverso sollevazioni di operai e contadini -ma oggi viene da dirsi “quali operai, quali contadini?”- ma, ancor prima di questo, c’è la questione dell’impostazione generale, cioè la necessità del rovesciamento della società capitalistica, la contrapposizione frontale ad essa, e non per nulla ancora oggi la maggior parte degli anarchici è di ispirazione fortemente socialista. All’opposto, uno degli sforzi più grandi compiuti dagli anarchici americani è quello di interpretare la loro società, è il chiedersi cosa siano il liberalismo e il capitalismo e danno una risposta inversa a quella che ancora oggi domina in Europa e in America: il capitalismo, secondo Warren, Tucker, Spooner, non è tanto il libero scambio, il mercato, non è un sistema sociale ed economico fondato sull’imprenditore e sulla sua originalità, ma è un sistema che si fonda sul principio della protezione del più debole, quindi si fonda sulla sovranità del consumatore e nella difesa del consumatore deve trovare il suo centro.

Quando sento in televisione parlare Berlusconi o Abete, con la loro idea che il sistema del libero scambio miri al potenziamento delle risorse, ho l’impressione di sentire dei marziani: sono tutte cose vere, è vero che se tu potenzi l’imprenditoria dai più lavoro alla gente, ma il problema vero è precedente, è di come intendere la vita dell’uomo, se essa debba essere incentrata solo sul lavoro e se questo debba necessariamente passare per l’imprenditore. Più o meno tutti, oggi, partono dal presupposto che il capitalismo sia un sistema che, tramite il meccanismo del male necessario -cioè del vantaggio che tu devi dare ai creativi, agli imprenditori-, porta del bene anche ad altri attraverso, ed è questo il punto centrale, la costruzione di lavoro. E’ quanto dice Abete quando sostiene che dobbiamo aiutare gli industriali, perché così gli industriali creeranno posti di lavoro… Invece nell’America della metà dell’800 -un’America dove sorgevano villaggi nuovi ogni giorno, dove non c’erano istituti bancari, dove molto spesso questi nuovi villaggi funzionavano come delle comunità- la cosa interessante è che questi anarchici cercano di rendere l’idea centrale del capitalismo, cioè la proprietà privata e il libero scambio, portatrice di giustizia e libertà. Ed infatti, facendo la stessa operazione di Proudhon che pensava di risolvere il problema della parificazione delle opzioni individuali creando una banca popolare a carattere mutualistico, creano una proliferazione di banche. Spooner arriverà addirittura a pensare alla possibilità che ogni uomo divenga la propria banca, cioè che ognuno si stampi i biglietti che lo impegnano ad un dato debito a fronte dell’acquisto di una data merce, e se si pensa alla comunità ristretta a cui si riferiva Spooner ecco che questo paradosso diventa pensabile, ecco che non c’è più bisogno dell’intervento delle grandi banche dell’est, degli interessi, dell’usura.

Ma, a parte la questione delle banche, credo che il tentativo più noto di riformulare i rapporti fra consumatore e produttore e di pensare alla questione dell’imprenditoria in altri termini, sia stato il “Time Store” fondato a Cincinnati da Warren.Quel che è interessante in questo tentativo, ed è quello che interessava anche a Warren, è come ottenere la giustizia nello scambio. A questo proposito c’è la sua celebre formula per cui “il costo è il limite del prezzo”; Warren, cioè, pensa che il costo di una data merce debba essere determinato soprattutto dal tempo che viene impiegato per costruirla e questo mettere l’orologio al centro del sistema di scambio, al posto della legge della domanda e dell’offerta, altro non è che un sistema per superare le ricadute negative che il capitalismo portava con sé.Lo sforzo, quasi eroico e furiosamente antisocialista, dei pensatori libertari americani è sempre stato di ricercare un sistema di finanziamento dell’imprenditoria, di scambio di prodotti, di valutazione del costo, che permettesse di superare l’antinomia tra produttore e consumatore o, meglio, che permettesse di pensare al rapporto tra produttore e consumatore non come sistema di dominio, ma come sistema di scambio che a sua volta permettesse di pensare all’esistenza del mercato senza che questo si trasformasse necessariamente in un sistema di dominio. Fu comunque un tentativo, a partire dalla sovranità dell’individuo e dal suo diritto alla proprietà come garanzia di questa sovranità, di trovare una soluzione alle ingiustizie che il capitalismo nascente stava creando senza ricorrere a soluzioni di tipo collettivistico, che molto perspicacemente questi anarchici vedevano destinate al fallimento o alla trasformazione in dittatura. Va comunque sottolineato come questo tipo di teorie e sperimentazioni, che affondano nelle prime teorizzazioni liberali, siano poi servite da spunto anche per teorizzazioni liberali successive: è noto che John Stuart Mill, lo afferma egli stesso nella sua autobiografia, prese spunto per il suo Sulla libertà proprio dalle teorie e dalle esperienze di Warren, da cui mutuò anche l’espressione “sovranità dell’individuo”.


Quindi, un punto centrale di questo anarchismo è la difesa della proprietà individuale…


Sì, tutti difendevano strenuamente il principio secondo cui ogni uomo ha diritto all’intero prodotto del proprio lavoro e quindi la proprietà individuale, ottenuta da ognuno col proprio lavoro, era considerata intoccabile. L’unico terreno su cui non c’era unanimità era quello della proprietà delle idee, del copyright, insomma. Spooner era furiosamente favorevole e sosteneva che un uomo aveva il pieno possesso delle proprie idee, al contrario Tucker pensava che le idee non fossero la creazione di un singolo individuo, ma esistessero e i singoli individui si limitassero a scoprirle, motivo per cui l’individuo non doveva essere compensato per aver creato idee.
L’atteggiamento di questi anarchici americani nei confronti della proprietà era, comunque, quello di una difesa strenua e si proponevano di liberalizzare il mercato togliendo di mezzo tutti i monopoli, le corporazioni, le gilde, i trattamenti di favore, la concessione di patenti, perché questi strumenti, a loro giudizio, opprimevano il popolo. Non a caso saranno fra i primi a parlare della necessità di lottare contro le concentrazioni industriali che finiscono per diventare monopoli, parlavano cioè di antitrust. Per loro il prezzo dei prodotti era alto perché su queste cose veniva caricato il peso dei monopolisti, di gente che non lavorava. Dal loro punto di vista l’adozione di una politica liberale era intesa a difendere la gente che lavorava: i bottegai, gli artigiani, gli operai, i lavoratori a giornata. Io penso che ci siano addirittura dei modi per leggere persino Adam Smith in questo modo, ed infatti un anarchico americano contemporaneo, Bob Black, ha scritto delle paginette divertenti su Adam Smith e sul problema del lavoro che fanno intendere come per molti l’adozione del sistema del libero mercato e del libero scambio, cioè del sistema capitalista (anche se “capitalista” è il modo in cui noi chiamiamo la degenerazione del sistema della proprietà privata), può essere vista in chiave protettiva per i ceti più poveri, piuttosto che in chiave berlusconiana…


Questi anarchici dettero vita ad un movimento organizzato oppure rappresentarono principalmente una tendenza culturale?


Furono noti e attivi nel movimento per l’emancipazione femminile, in quello delle comuni, nel movimento per l’abolizione della schiavitù. L’impegno nel movimento abolizionista era una cosa abbastanza normale in quella situazione, ed infatti tutti gli anarchici americani -con l’eccezione di Tucker, che nacque nel 1854 e quindi era ancora troppo giovane per interessarsi a questo-, parteciparono attivamente al movimento abolizionista, che a sua volta contribuì in modo decisivo nel plasmare un certo tipo di anarchismo all’americana, dandogli la spinta per pensare ad un superamento in chiave liberale della situazione liberale in atto. Non a caso Andrews scriverà, nel suo trattato teoricamente più interessante, che vi sono tre stadi dell’evoluzione spirituale dell’umanità: il protestantesimo, il liberalismo, il socialismo, e con “socialismo” Andrews intende l’anarchismo, l’abolizione dello Stato. Nello stesso periodo in cui scrisse questo saggio, pubblicato nel 1851, Andrews partecipò attivamente alla discussione sul voto alle donne e sui loro diritti. Sui diritti delle donne erano tutti d’accordo, infatti ben presto la questione diventò se si dovesse o meno votare, cioè la questione del riformismo, rispetto al quale la discussione rimase per molto aperta. Sul terreno dell’emancipazione femminile, comunque, Andrews non solo affermò la totale uguaglianza intellettuale di uomo e donna, cosa forse abbastanza scontata, ma si lanciò nell’analisi del matrimonio, del sesso, di tutto ciò che viene associato alla gravidanza, e teorizzò gli asili nido, tant’è che nella Unitary Household, una comune newyorkese di cui fu animatore attorno al 1860, erano previsti. Il ragionamento che li sosteneva era che, siccome le donne non dovevano dedicare il loro tempo soltanto ai bambini, ma dovevano tentare di realizzarsi nell’ambito culturale, letterario, politico, era necessario un luogo in cui si potessero portare i bambini. Come dicevo Andrews è senza dubbio il più eclettico, mentre gli altri sono dei teorici più puri, abbastanza alieni da una vita spettacolare come quella di Andrews. Spooner, secondo me, è la massima espressione dell’anarchismo americano, mentre Tucker ne è stato forse il massimo divulgatore. Spooner è totalmente autoctono -lesse in tarda età pochi classici dell’anarchismo europeo, dubito che sapesse dell’esistenza di Bakunin, e l’unico pensatore europeo che conosceva bene era Fourier, ampiamente conosciuto e discusso in America- e quando nel suo celebre saggio sulla costituzione (The Constitution of no Authority) affrontò molti dei problemi fondamentali della teoria politica dell’anarchismo, lo fece dal punto di vista di un protestante radicale americano, senza alcun legame col socialismo europeo.In The Constitution Spooner discute tutti i problemi che nascono dalla rappresentanza politica, dal voto, dalla fedeltà allo Stato, e contrappone ad essi una serie di argomenti che culminano con l’affermazione che la costruzione statale è assolutamente illegittima e in nessun modo può pretendere di esigere una fedeltà. Il nucleo dell’argomentazione di Spooner è che nessuno Stato può a priori, per il solo fatto di esistere, pretendere fedeltà dai suoi cittadini e che essi sono tenuti ad essere fedeli solo ai patti che direttamente accettano, che in quanto tali sono quindi sempre solvibili. Spooner, che come ho detto era avvocato, fece molto discutere anche col suo saggio Trial By Jury (Il processo con giuria popolare) in cui prova la validità di un principio che per il diritto americano è una bestemmia dal punto di vista della pratica, ma che è implicito in alcuni dei fondamenti di quella pratica stessa. Quello che Spooner vuole provare è che i 12 giurati popolari non hanno soltanto il diritto di pronunciarsi sull’oggetto del processo, cioè se un uomo abbia o no violato la legge, ma hanno anche il diritto di decidere se la legge sia giusta o no, quindi hanno il diritto di emanare leggi. Il diritto americano funziona sul sistema della “common law”, cioè sul diritto consuetudinario, e dal punto di vista di Spooner l’innovazione sta nel fatto che non dovrebbe essere la sentenza del giudice a fare la legge, ma il giudizio dei giurati, in quanto sono espressione di quel popolo da cui le leggi traggono legittimità e per il cui benessere queste vengono fatte e ciò è sicuramente un modo molto ficcante e radicale per contestare il principio di autorità.


Questi pensatori non soffrono un po’ di una certa impostazione americana, che non si interessa di quel che accade nel resto del mondo e quindi delle possibili alternative?


Direi che il modo di pensare, di cui questi anarchici sono l’espressione più radicale, è quello che vede nell’America stessa la nuova storia. Questa concezione è ben evidente in un problema chiave delle teorizzazioni degli anarchici americani: l’alternativa riforma o rivoluzione, rispetto a cui tutti finirono per pronunciarsi contro l’ipotesi della rivoluzione.Prima ancora che una scelta, che il risultato di una elaborazione teorica, questo rifiuto della rivoluzione è la presa di coscienza di una situazione in cui sono immersi, di una realtà che non necessita di una rivoluzione per pensare a una nuova storia, essa stessa è la nuova storia e si tratta di spingere in una direzione o nell’altra, senza bisogno di ipotizzare una totale frattura col passato. Corollario di questa mentalità è la consapevolezza che le scelte teoriche, per essere efficaci nella pratica, devono comunque commisurarsi con una realtà particolare e non ha senso, o è addirittura dannoso, ipotizzare sempre un nuovo inizio che non tenga conto di quanto è successo prima e ha portato alla realtà in cui ci si trova ad agire.
Il gradualismo degli anarchici americani nasce dal riconoscimento che non vi è altra possibilità di rivoluzione radicale che non sia rivoluzione delle coscienze. La rivoluzione è la maturazione dell’individuo, non tanto un rivolgimento politico, il quale, quando avviene, non può essere preso in sé stesso, ma solo in relazione alla rivoluzione nelle coscienze. Quando gli anarchici americani si confrontano direttamente con i meccanismi del politico (governi, parlamenti, polizie, eccetera) finiscono quasi sempre su posizioni anarchiche classiche. Quindi i meccanismi del politico vengono visti in senso estraniante, come un processo di continua sottrazione di diritti e potenzialità al cittadino, in sostanza come uno degli elementi fondanti del sistema di dominio di una parte minoritaria della società sulla maggioranza. Questo, tuttavia, non comporta, come invece accade all’anarchismo europeo, l’apertura alla necessità di una dimensione “altra”, utopica. A questo proposito, comunque, direi che le elaborazioni sono decisamente molto sfumate, perché l’unica possibilità che a molti di loro rimane, data la loro formazione ed i presupposti che essa comporta, è ipotizzare un ritorno allo stato della perfetta naturalità, ma è una mentalità che non viene direttamente accettata perché comporterebbe il contrasto fra natura e società, che a sua volta non viene accettato. Spooner, per esempio, contrappone ad ogni istituzione del politico il richiamo ad una società naturale fondata sul libero contratto e sulla libera iniziativa, ma si guarda bene dallo spiegare in concreto come questa si dia e come possa funzionare. Non lo fece Spooner, non lo fece Andrews, non lo fece Tucker, ma lo ha fatto Robert Nozick, un filosofo contemporaneo, in Anarchia, stato, utopia e non è un caso che in nota, dica “Per il retroterra di queste riflessioni si veda Lysander Spooner e Benjamin Tucker…”. L’operazione che gli anarchici americani classici non hanno fatto, cioè come liberarsi del politico senza ricadere in una naturalità impossibile, che altro non sarebbe che forma mascherata di politico, è stata tentata da Nozick e secondo me neanche lui c’è riuscito, semplicemente perché non è possibile. Sempre a questo proposito si possono trovare degli spunti in un paragone fra Spooner e Tucker: mentre in Spooner la contrapposizione fra società “politica” e società “naturale” finisce per essere plateale, nel caso di Tucker la formulazione è molto più produttiva e interessante perché da un lato c’è lo svelamento dei meccanismi autoritari del politico, mentre dall’altro c’è la consapevolezza che è in quell’ambito che occorre andare ad operare, che è una scelta dettata dalla necessità.


In sostanza, quello che insegnano le idee di questo anarchismo è che il fallimento del socialismo come alternativa al capitalismo non significa dover rinunciare ad una spinta libertaria?


Il mio interesse per l’anarchismo americano nasce dall’enorme sensazione d’ impotenza che comunica la sinistra in generale e l’anarchismo in particolare. E’ evidente che il movimento anarchico, che è stato sempre fedele ai dogmi dell’anarchismo europeo classico, è oggi arrivato a una teorizzazione estremamente povera. Anche le recenti e brillanti analisi di Pierre Clastres sulle società tribali e sul potere indiviso o quelle di Murray Bookchin sul legame esistente fra dominio dell’uomo sull’uomo e dominio dell’uomo sulla natura sono quasi cadute nel vuoto, non hanno inciso a livello di coscienza generale, e le teorie libertarie sono del tutto fuori dal “mercato delle idee”. D’altra parte, la sinistra, soprattutto in Italia, è ancora succube del marxismo nelle sue diverse sfaccettature, quindi del legame fra liberazione e socialismo, o di una versione “solidaristica” del liberalismo classico, rappresentata ad esempio da Prodi. Ora, io non dico che il socialismo non sia un’ ipotesi apprezzabile, ma è comunque una soluzione che va ripensata e che si legittima a partire dalla negazione del capitalismo, mentre a me pare che recuperare la lezione degli anarchici americani possa servire per mettere in atto un confronto senza pregiudizi con il liberalismo e col capitalismo che permetta di comprenderne natura, modi e possibilità liberatorie ancora inesplorate.

mercoledì 27 maggio 2009

“Il cattolicesimo reale”

Lunedì 25 maggio ’09 ore 21
Presentazione del libro di Walter Peruzzi,
“Il cattolicesimo reale”

attraverso i testi della Bibbia, dei papi, dei dottori della Chiesa, dei concili Roma, Odradek edizioni, 2008, pp. 524, € 32.00

Ascolta l'audio della serata in Mediateca ( mp3 ):

http://isole.ecn.org/ponte/mediateca/mediateca.html

domenica 24 maggio 2009

Nasce il Centro Studi Libertari Claustrofobia per ‘rifondare’ l’anarchismo


Di Domenico Letizia

Ecco ci siamo, alla presentazione di questo nuovo progetto: il Centro Studi Libertari Claustrofobia, che trovate all’indirizzo: http://www.claustrofobia.org/
Claustrofobia è un centro che si ripropone di analizzare o di ricanalizzare il pensiero anarchico e libertario in un ottica originaria, individualista, liberale o semplicemente pura: si tratta di riconoscere nei fondamentali della “civiltà liberale” gli elementi base per la demolizione della cultura degli assoluti categorici. Base della nostra proposta è, quindi, l´autodeterminazione dell´individuo in ogni campo, sia pure non in una visione solipsistica, ma tale da sottolineare le reciproche interdipendenze, accettando alcuni spunti sia dell’anarcocapitalismo che del pensiero anarchico classico. Ci si ritrova a studiare una società statale e a cercar ipotesi di società senza stato, tutto basato su documentazione ed analisi.
Claustrofobia prende il nome della rivista Claustrofobia cinque numeri usciti alla fine degli anni '70, frutto dell'opera solitaria di Riccardo La Conca, e rifacendoci un po’ allo scalpore che una simile rivista produsse in quei anni, Claustrofobia vuole inserirsi come una voce all’interno dell’anarchismo, analizzarlo e praticarlo.
Ecco cosa troviamo sul sito, alla voce ‘Chi siamo’: Claustrofobia.org nasce da un’alleanza tra libertari possibilisti liberoscambisti, si propone di creare un luogo di studio e di azione politica riunendo e conciliando, pur mantenendo le dovute differenze, anarcosindacalisti, mutualisti, agoristi e anarcoliberali rifacendosi all’individualismo anarchico e al liberalismo delle origini, alla tradizione dell’autosufficienza, delle comunità locali, del volontarismo federativo e della decentralizzazione, si propone di creare una struttura economica nuova, decentralizzata e autonoma, invitando i lavoratori a ritirarsi in una struttura economica non politicizzata dalle logiche statali, costruire la società giusta nel guscio di quella vecchia. Siamo uniti in un’opposizione allo Stato, al militarismo e all’intolleranza culturale (discriminazione sessuale, razzismo) basando la nostra strategia per la liberazione creando movimento e istituzioni alternative e rifiutando la politica elettorale.
E’ nato, ringrazio tutti dal gentilissimo creatore del sito al dott. Luigi Corvaglia tra i fondatori del nostro Centro. Ora oltre D. Letizia, D. Fidone, e speriamo presto anche F. Massimo Nicosia e lo stesso Riccardo La Conca, rivolgo l’invito a partecipare con critiche, proposte e analisi tutto il mondo anarchico e libertarian, personalmente spero anche in una partecipazione di Pietro Adamo, Nico Berti e nell’aiuto di alcune grandi riviste del libertarismo Italiano. Ma soprattutto spero nella partecipazione di tutti coloro che si sentono libertari, i presupposti per iniziare ci sono già: Iniziamo.

venerdì 22 maggio 2009

Dichiarazione di separazione


Noi affermiamo il diritto di esistere, e ci battiamo per ciò. Non cerchiamo di rovesciare nulla. Non cerchiamo di controllare nulla. Semplicemente vogliamo essere lasciati soli. Vogliamo vivere in pace con i nostri amici e vicini di casa. Per molto, molto tempo ci hanno sostenuto ‘’parassiti politici’’ per la nostra libertà , ci hanno preso a colpi, abbiamo fatto quello che si poteva far per evitare lesioni e abbiamo lavorato con il sistema per ottenere dei risultati. Cambiamo tutto. Noi vi è alcun vantaggio nel stare con i politici. Indipendentemente dai partiti al potere, i loro governi continuano a limitare, frenare e punire gli amanti della libertà. Respingiamo tutti. Ritiriamoci da tutti loro. Ritiriamola nostra obbedienza e recuperiamo il diritto di sciopero. Stanno costruendo le gabbie per tutto ciò che è umano. In nome della protezione, siete degli intrusi in tutti gli ambiti della vita umana. Sostenete il controllo dei nostri beni e le nostre decisioni, dei nostri viaggi e anche della nostra identità . Siamo consapevoli di rivendicare la proprietà. Capite chiaramente: Noi respingiamo la vostra autorità e respingiamo la vostra legittimità . Non avete diritto di fare le cose che fate. Tu stato, hai una potenza massiccia, ma non hanno il diritto di imporre su di noi la legittimità . Vi abbandoniamo. Non vogliamo essere più cittadini vostri. I vostri sistemi sono intrinsecamente anti-umani. Non siamo solo giovani arrabbiati. Siamo padri e madri di famiglia, zie, zii e nonni; ci sono imprenditori e dipendenti; siamo meccanici, ingegneri e gli agricoltori. Siamo infermieri e contabili, studenti e dirigenti. Questo non è una dichiarazione di sdegno; si tratta di una sobria dichiarazione, non vogliamo accettare più la sofferenza che voi provocate alle nostre vite. Per decenni ci siamo seduti in silenzio, sperando che le cose sarebbero cambiate, abbiamo sofferto insieme con tutti gli altri. Ma dopo aver raggiunto i limiti ancora e ancora, rinunciamo alla vostra politica. Noi cerchiamo nulla da voi. Noi vogliamo che le regole e il controllo non siamo imposte. Tutti noi desideriamo di vivere in pace sulla terra. Come sempre, ci saranno vicini, conoscenti, generosi. Ci saranno onesti e affidabili partner commerciali dipendenti. Noi respingiamo l'idea che gli altri hanno il diritto alla nostra vita e alla nostra proprietà. Vi auguriamo pace.

mercoledì 20 maggio 2009

Convegno di Studi: ARCHE' E ANARCHE'


CONVEGNO di STUDI, 29-30 MAGGIO 2009
ROMA-ALATRI

ARCHE' E ANARCHE'
con il patrocinio del Dipartimento di Studi politici

TUTTO IL PROGRAMMA: http://www.filosofiapolitica.net/public/convegni/Arch%C3%A8_Anarch%C3%A8.pdf

martedì 19 maggio 2009

Tasse, tasse.. Da quanto lo diciamo che son un problema?


Secondo i dati contenuti nel dossier di quasi 500 pagine pubblicato dall'Ocse, a pesare negativamente sulle buste paga degli italiani è anche il cuneo fiscale, che calcola la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quanto effettivamente finisce in tasca al lavoratore. Il peso di tasse e contributi, sempre per un lavoratore dal salario medio, single e senza carichi di famiglia, è del 46,5%. In questa classifica l'Italia risulta infatti al sesto posto fra i trenta Paesi Ocse. Più leggero è il drenaggio di imposte e versamenti contributivi se si esamina il caso di un lavoratore, sempre con un salario medio, ma sposato e con due figli a carico. In questo caso il cuneo e al 36% e l'Italia scivola qualche posizione sotto, collocandosi all'undicesimo posto nell'Ocse (partendo sempre dai Paesi dove massimo è il peso fiscale sulle buste paga). La crisi economica, insomma, tocca tutti, ma gli italiani sembrano svantaggiati già in partenza, vista la differenza salariale rispetto ai lavoratori di altri Paesi. Tornando alla classifica sui salari, infatti, un italiano in un anno guadagna mediamente il 44% in meno di un inglese, il 32% in meno di un irlandese, il 28% in meno di un tedesco, il 18% in meno di un francese.

Ci risiamo, tasse = decrescita, da quanto lo diciamo?


Ora anche l'Ocse molto moderatamente ma comunque lancia l'allarme: In Italia paghiamo troppe e inutile tasse, basta con lo statalismo, ora che ne dite? Gli italiani incassano ogni anno uno stipendio che è tra i più bassi tra i Paesi Ocse. Con un salario netto di 21.374 dollari, l'Italia si colloca infatti al 23esimo posto della classifica dei 30 paesi dell'organizzazione di Parigi. È quanto risulta dal rapporto Ocse sulla tassazione dei salari, aggiornato al 2008 e appena pubblicato. La classifica riguarda il salario netto annuale di un lavoratore senza carichi di famiglia. È calcolato in dollari a parità di potere d'acquisto.
Soluzione?

No stato, No tasse!

domenica 17 maggio 2009

La terza America. Un manifesto


Ron Paul
La terza America. Un manifesto

The Revolution
TRADUZIONE DI STEFANO COSIMI
Anno di pubblicazione: 2009
PAGINE 196 EURO 16,00

Non esistono solo l’America dei Republicans e l’America dei Democrats. I due cliché attraverso i quali siamo abituati a leggere la realtà d'Oltreoceano danno un'immagine solo parziale, semplicistica e semplificatrice di quella grande democrazia. Pressoché ignorata dai media, esiste anche un'altra America, una élite di pensatori e politici, che nei due schieramenti, al di là delle contrapposizioni di facciata, vede una sostanziale identità nel tradimento degli ideali che ispirarono i Padri fondatori.

Questa altra America, trasversale, autenticamente libertaria, e conservatrice dei valori originari dell'Unione, combatte l'invasività dei poteri presidenziali, del governo federale, della Corte suprema, del fisco. È contro gli interventi militari all'estero e invoca il pieno ripristino dell'habeas corpus, gravemente calpestato dopo l'11 settembre. Persegue la liberazione dell'economia dalle distorsioni che i governi (sia Democrat che Republican) hanno provocato attraverso dazi, sussidi, esenzioni, protezionismo, inflazione monetaria, e sollecita a tale scopo l'abolizione della Banca Centrale. Nel respingere ogni ipotesi di Stato etico rivendica il diritto per ciascuno a istruire i propri figli in famiglia, ed è decisamente antiproibizionista in materia di droghe.

venerdì 15 maggio 2009

mercoledì 13 maggio 2009

la Stampa delle ''Stronzate''


Ecco cosa riporta CronacaQui:
(http://www.cronacaqui.it/news-raid-degli-anarchici-calabresi-assassino-pinelli-assassinato--_22084.html)

Non sono poi da escludere contatti tra la Fai e la Federazione Anarchica Informale che, hanno affermato i servizi segreti nell’ultima relazione consegnata al Parlamento, «ha rappresentato negli ultimi anni la principale minaccia terroristica di matrice anarco-insurrezionalista a livello nazionale». Nel 2007, i terroristi sono entrati nella cosiddetta fase di « silenzio operativo». Ma l’attività di prevenzione, ha spiegato la questura torinese sabato mattina, durante la festa della Polizia, prosegue. Perchè anche a Torino «il terrorismo domestico e internazionale, in forma cangiante e carsica, tendono a dare segnali di qualificata attenzione».

Oltre che smentire questa marea di informazione ''merda'' ai danni di una delle organizzazioni più ''vecchie'' d'italia, sottolineo che la Federazione Anarchica Italiana è un organizzazione riconosciuta e non violenta e la stampa vuole solo sporcare la sua attività.
La Federazione Anarchica Italiana non ha nulla da condividere con i terroristi è dichiaratamente non violenta. Sono convinto di una cosa, le cellulle terroriste sempre più ''istituzionalizzate'' (chi capisce, capisce) tra i loro scopi hanno proprio quello di screditare la FAI.
Solidarietà agli anarchici, sono dalla vostra.

martedì 12 maggio 2009

L'attacco finale alla Libertà! Ora Resistenza


L’attacco finale alla democrazia è iniziato! Berlusconi e i suoi sferrano il colpo definitivo alla libertà della rete internet per metterla sotto controllo. Ieri nel voto finale al Senato che ha approvato il cosiddetto pacchetto sicurezza (disegno di legge 733), tra gli altri provvedimenti scellerati come l’obbligo di denuncia per i medici dei pazienti che sono immigrati clandestini e la schedatura dei senza tetto, con un emendamento del senatore Gianpiero D’Alia (UDC), è stato introdotto l‘articolo 50-bis, “Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet“. Il testo la prossima settimana approderà alla Camera. E nel testo approdato alla Camera l’articolo è diventato il nr. 60.
Anche se il senatore Gianpiero D’Alia (UDC) non fa parte della maggioranza al Governo, questo la dice lunga sulla trasversalità del disegno liberticida della “Casta” che non vuole scollarsi dal potere.
In pratica se un qualunque cittadino che magari scrive un blog dovesse invitare a disobbedire a una legge che ritiene ingiusta, i provider dovranno bloccarlo. Questo provvedimento può obbligare i provider a oscurare un sito ovunque si trovi, anche se all’estero. Il Ministro dell’interno, in seguito a comunicazione dell’autorità giudiziaria, può disporre con proprio decreto l’interruzione della attività del blogger, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine. L’attività di filtraggio imposta dovrebbe avvenire entro il termine di 24 ore. La violazione di tale obbligo comporta una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 250.000 per i provider e il carcere per i blogger da 1 a 5 anni per l’istigazione a delinquere e per l’apologia di reato, da 6 mesi a 5 anni per l’istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico o all’odio fra le classi sociali. Immaginate come potrebbero essere ripuliti i motori di ricerca da tutti i link scomodi per la Casta con questa legge?
Si stanno dotando delle armi per bloccare in Italia Facebook, Youtube, il blog di Beppe Grillo e tutta l’informazione libera che viaggia in rete e che nel nostro Paese è ormai l’unica fonte informativa non censurata. Vi ricordo che il nostro è l’unico Paese al mondo, dove una media company, Mediaset, ha chiesto 500 milioni di risarcimento a YouTube. Vi rendete conto? Quindi il Governo interviene per l’ennesima volta, in una materia che vede un’impresa del presidente del Consiglio in conflitto giudiziario e d’interessi.
Dopo la proposta di legge Cassinelli e l’istituzione di una commissione contro la pirateria digitale e multimediale che tra poco meno di 60 giorni dovrà presentare al Parlamento un testo di legge su questa materia, questo emendamento al “pacchetto sicurezza” di fatto rende esplicito il progetto del Governo di “normalizzare” il fenomeno che intorno ad internet sta facendo crescere un sistema di relazioni e informazioni sempre più capillari che non si riesce a dominare.Obama ha vinto le elezioni grazie ad internet? Chi non può farlo pensa bene di censurarlo e di far diventare l’Italia come la Cina e la Birmania.

Fate girare questa notizia il più possibile. E’ ora di svegliare le coscienze addormentate degli italiani. E’ in gioco davvero la democrazia!

domenica 10 maggio 2009

17 Maggio: Convegno per l'Indipendenza


L'indipendenza possibile? Speriamo.

venerdì 8 maggio 2009

Osservazione estremamente non Conservatore


La mia antipatia verso i conservatori è esplicita, non lo sono mai stato, non mi piace ciò che pensano, ma da buon libertario non impongo la mia visione libertaria civile, differenza che molti conservatori ma anche paleo-libertarian-conservatori dimenticano allegramente.
Una buona riflessione scritta da Yoshi di http://www.buraku.org/.
La riporto:

Una delle categorie umane che più mi indispone e mi irrita è quella dei conservatori con il culo degli altri. Ossia quelle persone che combattono una guerra contro le libertà personali, la novità e l’innovazione ma che allo stesso tempo godono dei vantaggi e dei frutti di libertà personali, novità e innovazioni passate che loro omologhi hanno in passato combattuto.
Cosa direbbero i dirigenti della Democrazia Cristiana di una volta sapendo che Casini, il leader di un partito che si richiama esplicitamente alla DC e che si atteggia a Defensor Fidei, ha divorziato e convissuto more uxorio con una donna dalla quale ha avuto anche un figlio? Cosa dobbiamo pensare di tutti i vari pasionari politici del Family Day divorziati e con amanti? Perché devo rispettare i preti che si sono curati con rimedi scaturiti magari da ricerche che i loro omologhi del passato hanno condannato?
Insomma, sono opportunisti che godono di frutti che in realtà dovrebbero combattere. Per esempio, Casini ha mai ringraziato Pannella per aver combattuto affinché anche lui abbia potuto avere la possibilità di divorziare? Se in futuro un papa dovesse giovarsi di cure nate dalla ricerca sulle cellule staminali embrionali, dove sarà il suo onore? Fanno battaglie di retroguardia destinate a perdere e a venire dimenticate e guardate con curiosità in futuro.
Se sommessamente fai loro notare queste cose, si incazzano come bisce e ti danno dell’avvoltoio che non rispetta le faccende private delle persone. E qui si arriva all’apoteosi dell’ipocrisia perché le loro sono faccende private, le nostre invece sono affari loro e, ogni volta che se ne presenta l’occasione, non ci pensano due volte a interferire con le nostre scelte personali. Non possiamo scegliere di fumare uno spinello, non possiamo scegliere di terminare la nostra vita, non possiamo scegliere di stipulare un contratto matrimoniale con una persona del nostro stesso sesso. Sono loro i primi che mettono il naso in affari che riguardano l’individuo e la sua autodeterminazione e obbligano le persone a seguire i loro (presunti) valori morali.
Sono loro gli avvoltoi, sono loro che mettono il naso nella nostra vita. Sono loro che ci aggrediscono. Fino a quando non sarò libero di autodeterminarmi non ledendo la libertà altrui, continuerò ad additarli e deriderli per le loro faccende personali.

mercoledì 6 maggio 2009

lunedì 4 maggio 2009

SCUOLA DI STATO? UNITI PER L'ALTERNATIVA!


Un mio articolo pubblicato su: http://www.movimentolibertario.it/home.php?fn_mode=fullnews&fn_id=195&fn_cid=4

DI DOMENICO LETIZIA

Quando parliamo di scuola parliamo necessariamente di statalismo, in Italia una scuola privata, libera e seria è molto difficile da trovare, dove non è pubblica è parastatale e vive di contributi pubblici, cosa che il mondo di sinistra ha sempre e giustamente criticato, dimenticandosi però che ciò non è mercato ma l’ennesimo esempio di capitalismo assistenzialista.
Scuola di stato è prigione e malinconia, scuola libertaria è libertà e spontaneità sono solito dire, i mali della scuola pubblica e imposta sono presenti agli occhi di tutti e soprattutto a quella sinistra antiautoritaria e libertaria alla quale dovremmo rivolgerci con interesse e curiosità perché eliminare la scuola pubblica è prerogativa di tutti noi anarchici sia di matrice liberale che socialista.

Certo come fare?

La lettura di un classico del liberalismo come Von Mises è un inizio: la scuola - finché rimarrà prerogativa statale - non potrà mai funzionare ed essere veramente libera." Non si riuscirà a spoliticizzarla finché resterà in piedi come istituzione pubblica e obbligatoria. C'è un solo mezzo per farlo: fare in modo che lo Stato, il governo, le leggi non si occupino della scuola e dell'istruzione; che il denaro pubblico non sia speso per questo; che l'educazione e l'istruzione siano affidate interamente ai genitori e alle associazioni e agli istituti privati".

Questa è una dichiarazione che tutti gli antistatalisti accetterebbero come principio. Su cosa partire? Puntando soprattutto non sugli istituti privati, non sull’ autoeducazione ma sulle associazioni.

Ne stanno nascendo tante, associazioni di genitori, maestri, volontari, che delusi e stanchi di tutto ciò che è il dramma della scuola statale, decidono di occupare parte del proprio tempo con la creazione di fondazioni e associazioni che si occupino privatamente di istruzione. Ecco l’alternativa da sostenere, insieme, da parte di tutto il mondo libertario.
Quindi la scuola statale delude? Migliaia i genitori in tutt’Italia, per nulla convinti dell’istruzione pubblica, decisi a dare ai propri figli una formazione diversa. A volte l’hanno trovata in una scuola che stava per chiudere proprio sotto il loro naso. Altre volte hanno deciso di metterne su una nuova.
Gli istituti gestiti da genitori sono circa 500 in Italia, compito di noi libertari è sostenerli e collaborare nella creazione di altri istituti. Insomma cremiamo una scuola autenticamente antistatalista. Liberiamoci della scuola statale.

sabato 2 maggio 2009

What Has Government Done to Our Money? (un passo)


di Murray N. Rothbard

A differenza di qualunque altra organizzazione economica, i governi non ricavano il proprio reddito dalla vendita di beni o servizi ma attraverso l'espropriazione di risorse altrui.
In un'economia basata sul baratto, la ricchezza dei cittadini può essere prelevata solo in natura ma l'introduzione della moneta facilitò enormemente il compito delle autorità: l'emissione di moneta infatti è da sempre uno dei loro privilegi. Secoli prima che nascessero le banche, i governi si erano già impossessati del controllo monopolistico della coniazione attraverso il quale, grazie al signoraggio, potevano sottrarre ricchezza ai cittadini.
In pratica, per rimpinguare le casse dello stato, venivano ritirate tutte le monete esistenti, fuse e riconiate con l'aggiunta di metalli di scarso valore al posto di una parte di quelli preziosi. Il valore nominale rimaneva invariato ma quello reale era decurtato della quantità d'oro che l'autorità aveva sottratto alla popolazione.
Casi eclatanti del medioevo europeo furono la livre tournois francese che, definita come 98 grammi di argento puro nel 1200 d.C., nel 1600 era giunta a contenerne solo 11. Il dinaro dei Saraceni in Spagna nacque con un contenuto di 65 grani (misura di peso) d'oro intorno al 700 d.C.. Alla conquista della Spagna da parte dei re cattolici nel dodicesimo secolo, il dinaro conservava ancora 60 grani d'oro, grazie alla nota serietà dei Saraceni in tema di moneta. Meno di cento anni più tardi il contenuto del maravedi, la moneta che lo sostituì, era stato ridotto a 14 grani. Quando fu troppo leggero per circolare venne convertito in una moneta da 26 grani d'argento che però, inesorabilmente, a metà del quindicesimo secolo ne pesava solo 1,5.
Tuttavia ci sono limiti fisici al debasamento della moneta con il signoraggio. Una moneta con un alto contenuto di metallo prezioso ha un aspetto ed un peso diverso da quella che ne contiene poco e la popolazione percepisce direttamente, ad ogni nuova coniazione, l'impoverimento subito a vantaggio del signore di turno.
Il salto di qualità nella manipolazione della moneta si ebbe quando, grazie alle banche, dilagarono i suoi sostituti cartacei: a poco a poco le banconote rimpiazzarono l'uso di monete d'oro e d'argento, separando definitivamente il cittadino dal contatto diretto con le dimensioni ed il peso della moneta e quindi dalla misurazione della sua perdita di valore.
L'economia moderna, con l'ampio uso di sostituti cartacei e la diffusione capillare del sistema bancario, permise ai governi di estendere il proprio controllo sulla moneta attraverso quello sulle banche stesse. I tre limiti all'inflazione della moneta visti poco sopra furono superati grazie al privilegio accordato alle banche di non essere costrette a soddisfare le proprie obbligazioni in situazioni d'emergenza.
Non esiste altra attività economica a cui sia consentito continuare la propria operatività venendo meno agli obblighi assunti per contratto. Le banche, grazie alla generica formula della "sospensione dei pagamenti in moneta", vennero autorizzate dalle autorità (ad uno ad uno questo avvenne in tutti i paesi capitalistici) a non ottemperare ai propri obblighi contrattuali, ovviamente nel più alto interesse della nazione.
Negli Stati Uniti simili sospensioni iniziarono con la guerra del 1812. A causa dell'ingente ammontare delle spese belliche e del rifiuto delle banche del New England, contrarie alla guerra, di finanziarle, il governo dovette rivolgersi alle banche di altri stati le quali emisero così tanta moneta cartacea da scatenare un forte aumento dei prezzi. L'impennata nelle richieste di riscatto dell'oro fisico contro i suoi sostituti cartacei fu tale che, nel 1814, il governo sospese la convertibilità fra carta e metallo per due anni.
Questo precedente costituì la base per le future sospensioni: 1819, 1837, 1857 e via dicendo.
La propaganda governativa inoltre dipinse come patrioti gli istituti di credito che, nell'interesse del paese, potevano rifiutarsi di soddisfare le proprie obbligazioni e come avidi traditori dell'interesse nazionale coloro che insistevano affinché gli venisse dato il metallo che le ricevute in loro possesso "rappresentavano". Tuttavia non si abusò troppo di questo strumento: per funzionare non poteva essere ripetuto molto spesso altrimenti le persone avrebbero perso fiducia nel sistema bancario.

Il passo successivo per permettere al governo il controllo totale sulla moneta venne presentato come una necessità assoluta per uno stato moderno: la Banca Centrale.

La Federal Reserve venne istituita nel 1913, finalmente anche gli Stati Uniti entravano fra le nazioni avanzate. In generale le banche centrali hanno un capitale misto, pubblico e privato ma il loro controllo è affidato al governo che ne nomina i vertici. Essa è la banca delle banche, di cui detiene le riserve e fissa il rapporto che esse devono avere con i depositi dei clienti; essa è l'unica a cui venga riconosciuto il privilegio di emettere banconote a corso legale. Queste ultime però non sono più ricevute di deposito di quantità certe di oro ma sono obbligazioni della stessa Banca Centrale, assimilabili ad una qualunque promessa di una futura prestazione.
Una differenza sostanziale.
Dal 1917 le riserve legali delle banche presso la Banca Centrale non poterono più essere rappresentate da oro ma solo da banconote.
L'oro venne quindi sempre più centralizzato nei forzieri della Federal Reserve, dove poteva godere di "maggiore sicurezza" e di una "gestione più efficiente", almeno per alcuni, mentre nel quotidiano le banconote sostituirono il metallo che, a poco a poco, divenne una sorta di feticcio di un'epoca passata.
Armata di enormi poteri grazie all'intervento del governo, la Banca Centrale venne identificata dal pubblico come un'istituzione degna del più alto rispetto e della più solida credibilità pronta, in caso di bisogno, a trasformarsi in prestatore di ultima istanza per salvare il sistema economico dal tracollo.
Cioè pronta a stampare tutta la carta moneta necessaria alle banche per pagare le proprie obbligazioni se il pubblico si fosse presentato agli sportelli nel panico generale. In altre parole, uno dei motivi della stima generale di cui essa gode è che, se necessario, può inflazionare la moneta con estrema velocità, assicurando si il valore nominale ai creditori delle banche ma diminuendo, di pari passo, il valore reale del denaro che essi riusciranno a riscuotere.

Grazie a leggi opportune e propaganda ad hoc il controllo del governo sulla moneta era stato perfezionato come mai fino ad allora.

Come fa la Banca Centrale a regolare l'inflazione?
A parte la produzione diretta di denaro, la Banca Centrale può espandere la massa monetaria grazie al controllo del rapporto fra riserve e depositi che le banche devono detenere. Ad esempio, se questo rapporto viene fissato al 10%, per ogni 100 dollari depositati dai clienti, le banche devono avere almeno 10 dollari di riserve. Ciò significa che i restanti 90 dollari possono essere immessi di nuovo nel sistema a tutto vantaggio della banca stessa che su di essi guadagnerà l'interesse maturato per averli prestati.
E' da notare che la banca non presta denaro proprio ma, di fatto, denaro che nemmeno esiste. Ovviamente, diminuendo il rapporto fra riserve e depositi, si può aumentare ulteriormente quest'effetto moltiplicatore, creando denaro dal nulla.
Un altro modo per aumentare la massa monetaria è che la Banca Centrale acquisti beni sul mercato. In genere i titoli di credito pubblici sono gli acquisti preferiti dato che permettono di inflazionare la moneta e finanziare contemporaneamente il deficit dello Stato. Il governo può emettere nuove obbligazioni ed ordinare alla Banca Centrale il loro acquisto nel caso parte dell'offerta non venga soddisfatta dal pubblico.
In alternativa la Banca Centrale può prestare denaro alle banche al tasso più basso sul mercato: il piccolo interesse da ripagare è poca cosa rispetto a quello che esse caricheranno sui propri clienti.
L'inflazione è un sistema per raccogliere denaro di certo meno difficile, dal punto di vista politico, rispetto ad aumentare l'imposizione fiscale.
La tassa, la perdita di valore della moneta, viene così spalmata su tutti i cittadini anche se non alla stessa maniera.
Chi è infatti più vicino alla fonte dell'inflazione (ad esempio una banca privata ed i suoi titolari) verrà in possesso del denaro fresco prima che questo abbia attraversato l'intera economia, alzando i prezzi. Quindi, i "fortunati", avranno più denaro a disposizione senza che questo si sia ancora tradotto in prezzi maggiori mentre gli ultimi, in particolare chi vive di un reddito fisso come gli impiegati o i pensionati, lo riceveranno per ultimi, quando ormai la nuova massa monetaria avrà già esercitato l'inevitabile pressione sui prezzi. Anche i debitori saranno avvantaggiati rispetto ai creditori perché una moneta che si svaluta avvantaggia chi deve ripagare un debito il cui valore reale scende anno dopo anno.

L'inflazione è quindi anche un modo per trasferire ricchezza da molti a pochi.

Raggiunto il controllo sul sistema bancario grazie alla banca centrale, il potere delle autorità sulla moneta è quasi totale ma, finché l'oro rimane in un qualche modo la base monetaria, resta ancora un pericolo temibile: la perdita delle riserve auree di un paese a vantaggio degli altri.
Infatti se il processo fin qui descritto avviene in un unico paese, anche se ormai è stato rimosso il rischio di una corsa selvaggia dei cittadini a pretendere che la loro cartamoneta venga convertita in oro, non può essere impedito che questo venga fatto da soggetti stranieri, siano essi privati o pubblici.
L'unico modo per ovviare a questo tragico inconveniente è la cooperazione fra diverse banche centrali. Una volta che l'espansione della massa monetaria avviene a ritmi simili in tutte le maggiori economie del pianeta, non si creano più quei forti squilibri alla base delle richieste di conversione della moneta più inflazionata in oro.

"Il mio identikit politico è quello di un libertario, tollerante. Se poi anarchico l'hanno fatto diventare un termine orrendo... In realta' vuol dire solo che uno pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia, le stesse capacità" ( Fabrizio De André )