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lunedì 24 dicembre 2007

Usa. Lasciateci torturare in pace


Il fine della tortura è la tortura. Il fine del potere è il potere.
(George Orwell)

In un sondaggio dello scorso anno, realizzato dalla Bbc, era emerso che il 29% dei cittadini britannici intervistati era favorevole alla reintroduzione della tortura "in certe circostanze". Negli Stati Uniti la percentuale di chi si dichiara a favore della violenza legale contro i prigionieri risulta essere del 36%, mentre in Italia si registra un 14% di "possibilisti", sponsorizzati dalla Lega Nord quale portavoce delle peggiori psicopatologie collettive, ma anche rassicurati dal fatto che –incredibilmente - in Italia il delitto di tortura non è ancora contemplato nel codice penale.
Questi dati, seppure frutto di rilevazioni statistiche, indicano comunque la diffusione di un'opinione che ormai si va allargando nelle cosiddette democrazie, grazie soprattutto alla creazione della figura di un nemico, visto come il Male assoluto, contro cui è lecito usare ogni mezzo, compresa la negazione di quei diritti umani elementari su cui teoricamente dovrebbero fondarsi le democrazie liberali.
Se in passato il nemico della società è stato vestito con i panni prima dell'anarchico e poi del comunista, ora prevale l'indistinta figura dell'islamico sinonimo di fanatico terrorista, buono per ogni alibi morale e politico.
D'altronde il ricorso sistematico alla tortura nei confronti dei sospetti terroristi, è stato ritenuto un mezzo giustificato dal fine persino da settori ed esponenti liberal della società statunitense, quali ad esempio Alan Dershowitz esimio professore di legge ad Harvard, favorevole alla sua legalizzazione; legalizzazione in realtà già riconosciuta da direttive neanche troppo segretamente emanate dal ministero della giustizia degli Stati Uniti.
Da documenti ufficiali risulta confermato che l'attuale amministrazione Bush autorizza sui detenuti trattamenti quali l'ipotermia, la privazione del sonno o la simulazione di asfissia, senza ritenere che tali misure siano equiparabili, dal punto di vista legale, a torture. D'altronde metodi analoghi rientrano nel normale regime carcerario statunitense, specialmente nei reparti di massima sicurezza.
Persino l'ex presidente Jimmy Carter in una recente intervista alla Cnn è giunto ad ammettere che "abbiamo detto che la Convenzione di Ginevra non si applica alla gente di Abu Ghraib e a Guantanamo e abbiamo detto che possiamo torturare i prigionieri e privarli del diritto di venir incriminati dei reati di cui sono accusati"; circostanze queste ancora più inquietanti se si pensa che secondo le indicazioni stilate dal Pentagono i detenuti potranno essere condannati a morte anche in base alle confessioni estorte sotto tortura.
Altri inquietanti dettagli sono emersi anche dalla recente divulgazione del manuale riguardante le procedure operative applicate nel campo di Guantanamo (Camp Delta Standard Operatine Procedures), tra cui sono esplicitamente incluse varie tecniche di manipolazione psicologica anche attraverso l'uso dei cani, paradossalmente definiti Military Working Dog.
D'altronde, è notorio che nei centri d'addestramento Usa, come quello famoso di Fort Bragg, ai componenti dei reparti speciali Usa si insegnano anche le tecniche più estreme per gli interrogatori dei prigionieri; significativa al riguardo la testimonianza di un cittadino britannico, rinchiuso a Guantanamo, che ha riferito di aver subito torture sia fisiche che psicologiche da agenti statunitensi, tra cui ferite ai genitali e l'ascolto forzato di musica ad altissimo volume.
Nell'aprile dello scorso anno, infatti, secondo un rapporto diffuso da tre organizzazioni per i diritti umani, erano almeno 460 i casi di persone vittime di abusi e torture in Iraq, Afganistan e Guantanamo, per mano di circa 600 tra contractor e militari Usa.
L'opinione di Orwell trova quindi puntuale conferma seguendo la politica statunitense, almeno a partire dalla vicenda di Abu Ghraib nel 2004, quando il Pentagono giunse ad ammettere 35 casi accertati di tortura su prigionieri in mano alle forze Usa in Iraq e Afganistan presso la base di Bagram, nonché 25 vittime tra gli stessi.
Queste e altre violazioni dei diritti umani erano state da tempo segnalate anche dalla Croce Rossa Internazionale, ma per mesi tali rapporti erano rimasti lettera morta.
In seguito alle inchieste giornalistiche e alle indagini legali, risultava che le pratiche applicate ai danni dei prigionieri erano previste e codificate dal Pentagono in un sistema denominato R-21, imposto anche alle altre forze della coalizione antiterrorismo, infatti analoghi crimini sono stati compiuti da militari britannici nella provincia di Bassora. Tra gli altri carceri dell'incubo veniva segnalato quello della città di Mosul.
Nel maggio 2004, la vedova di Massimiliano Bruno, militare morto nell'attentato di Nassiriya faceva accenno a sevizie compiute da soldati italiani su cinque fermati, ma rapidamente ritrattava, togliendo dai guai il governo.
In seguito, emergeva anche la circostanza che i militari australiani erano al corrente di quanto normalmente avveniva nel carcere di Abu Ghraib che, peraltro, nel maggio vedeva la rapida scarcerazione di oltre mille detenuti che potevano rivelarsi altrettanto testimoni scomodi. Secondo alcune rivelazioni giornalistiche risulta, che oltre ai militari statunitensi incaricati della sorveglianza, nel famigerato carcere operavano funzionari dell'Oga (Altra agenzia del governo), facente capo alla Cia, ma anche medici militari collusi con gli aguzzini in uniforme.
Nel giugno 2004, un contractor che aveva lavorato per la Cia, David Passaro, viene incriminato da un tribunale Usa per aver torturato e ucciso un prigioniero di guerra in Afganistan; è il primo civile inquisito per abusi sui prigionieri, ma non sarà l'ultimo, dato che ai mercenari delle compagnie private di sicurezza è appaltata pure la gestione delle carceri.
Il Dipartimento della difesa Usa escludeva quindi la possibilità che su Abu Ghraib potesse essere condotta un'inchiesta indipendente, come richiesto più volte da organizzazioni umanitarie quali Amnesty International e Human Rights Watch.
Un anno dopo, nel 2005, i militari statunitensi riconosciuti nelle foto che ritraevano le vessazioni e le uccisioni, in parte vengono assolti mentre alcuni sono condannati a pochi mesi; condannati dalla corte marziale britannica anche tre soldati inglesi. Almeno cinque denunce internazionali, promosse da varie associazioni (Il Centro Europeo per i diritti umani e costituzionali, la Lega francese per i diritti umani, la Federazione internazionale per i diritti umani…), gravano tutt'ora su Donald Rumsfeld per aver "aver autorizzato la tortura e il trattamento disumano e degradante di prigionieri", ad Abu Ghraib, a Guantanamo e in Afganistan; ma le autorità statunitensi e irachene non hanno mai aperto un'inchiesta sulle responsabilità dell'ex-segretario di Stato e dei vertici militari Usa, nonostante che anche l'ex-generale dell'Us.Army, Janis Karpinski, già comandante del carcere di Abu Ghraib e di altre strutture detentive irachene, abbia depositato a riguardo una compromettente testimonianza scritta alla procura di Parigi.
Il dominio non può infatti mettere in discussione l'utilizzo della tortura, non tanto per strappare informazioni, ma per diffondere il terrore non solo tra i malcapitati rinchiusi nelle strutture di detenzione ma soprattutto tra i possibili oppositori e resistenti che sono fuori di esse.
Migliore conferma non è immaginabile, se non dalle parole dei militari incriminati per Abu Ghraib: "la tortura è lo strumento più efficace per ottenere il controllo sociale".
Niente da aggiungere.

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"Il mio identikit politico è quello di un libertario, tollerante. Se poi anarchico l'hanno fatto diventare un termine orrendo... In realta' vuol dire solo che uno pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia, le stesse capacità" ( Fabrizio De André )