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martedì 18 dicembre 2007

Manifestazione a Vicenza, in migliaia per ridire No alla base americana


Sono 50mila, secondo gli organizzatori le persone che da tutta Italia hanno risposto all'appello del presidio permanente No Dal Molin. Sono arrivati da Napoli, dalla Sicilia, dalla Toscana dal Piemonte e dalla Lombardia. I partiti sono in coda al corteo come era stato deciso. Pochi i volti noti, tra i deputati Lalla Trupia della Sinistra democratica che ha ribadito di voler stare "in mezzo alla sua gente", Franco Turigliatto, Francesco Caruso.
Presenti anche i sindacalisti della Rete 28 aprile della Cgil. Per Giorgio Cremaschi, segretario nazionale della Fiom, "oggi il movimento contro la guerra ha segnato un'altra tappa importante nella battaglia contro la nuova base americana a Vicenza".
Le donne di Vicenza salveranno il mondo
Con un momento mattutino di parole di donne, pervaso dalle musiche di uno strumento a corda, dalla voce di un coro femminile che ha cantato una poesia di Rosina, una ottantenne del posto, e l’intensa lettura del brano Pensieri di pace durante un’incursione aerea di Virginia Woolf si è conclusa la tre giorni di mobilitazione europea del Comitato No Dal Molin a Vicenza.
Nella tenda si comincia a sentire l’effetto del riscaldamento, e le membra all’inizio intirizzite si rilassano. C’è anche più tepore perché il tendone è colmo, di donne, in maggioranza, ma c’è anche qualche uomo. La piccola donna vestita di rosso, della quale non capisco il nome apre due fogli di carta scritti a mano, con la calligrafia grossa e un poco incerta.
Legge, a voce alta e chiara, una sorta di poesia, un lamento struggente per quella sua porzione di terra, la fontega si chiama, che un tempo lontano, durante la sua giovinezza, era dominata dalle vigne, dai fiori e dalle rane. _ “Dove andranno ora le rane, che fine faranno i fiori, le viti, quel vino; che cosa ne sarà di tutto questo, se ci costruiranno sopra una base militare?- si chiede, ci chiede.”

Difficile che i giornali ne parlino; gli occhi dei media erano tutti puntati sul corteo del giorno prima, dal quale molti osservatori si aspettavano degenerazioni, che invece, anche se annunciate da una minoranza mossa più dal testosterone che dai contenuti, non ci sono state, e quindi perché restare e seguire una iniziativa di donne?
E invece ci sono tutte, puntuali nel tendone alle undici di domenica le donne che da mesi animano con determinazione e coraggio il Comitato che non vuole l’allargamento della base militare a Vicenza. Ci sono nonostante la stanchezza sia tanta, e non solo per l’organizzazione della tre giorni, ci mancherebbe.
Nei mesi che hanno alle spalle queste donne hanno visto la propria vita sconquassarsi, forse per sempre, da questa faccenda della base militare Usa in piena città.

Anna, che abita in centro, si è appassionata grazie al figlio di quindici anni che un giorno è arrivato con un volantino redatto da un centro sociale, e tutto è cominciato, magari solo per l’apprensione tutta genitoriale di capire che posti frequentasse l’adolescente. Poi non si è mai fermata.
“Certo, - dice sorridendo come a scusarsi, - questo No Dal Molin ha preso a noi donne tutto il tempo libero, poco, che avevamo. Dimenticata la palestra e qualche momento di riposo, io almeno sto cercando di salvare spazio per imparare finalmente l’inglese, ma mi sa che anche questo diventerà sempre più difficile”. Anna continua a schernirsi per il presunto disordine di casa, che invece è impeccabile. Il Dal Molin fa capolino anche qui, perché al posto delle classiche riviste di una casa media spuntano dovunque volantini, fly, adesivi, manifesti e materiali del Comitato. Mentre prepara una colazione degna di un hotel a cinque stelle Anna dice che si sente come se avesse dormito per cinquant’anni, e nel dirlo c’è tutta l’importanza e la definitività dell’irruzione di questo evento nella sua esistenza, comunque vada a finire.

Antonella invece abita proprio al limite dell’area dove dovrebbe sorgere l’ampliamento della base, chilometri e chilometri di verde e di terra in ostaggio. Racconta che quando Marco Paolini venne a vedere l’impressionante estensione di verde destinata allo scempio salì con l’operatore, per filmare meglio, sulla piccola antenna da radioamatore di suo marito, antenna che si trova a due metri dall’uscio di casa. “Nel giro di tre minuti sono arrivate quattro camionette – racconta -. I militari hanno chiesto che cosa stavamo facendo, e noi sconcertati abbiamo domandato se fosse anche vietano montare sulla propria antenna e guardare il panorama”.
Ma il fatto più straordinario che sta accadendo da mesi in questa ordinata cittadina dell’operoso, chiuso e fortemente xenofobo nord est è quello che salta subito agli occhi quando si percorre il quartiere che sorge accanto al perimetro dove potrebbe nascere la futura base militare Usa, un ordinato e ordinario quartiere le cui strade portano tutte, con sfrenata fantasia, i nomi degli aeroporti italiani: via Ciampino, via Fiumicino, via Linate, via Malpensa eccetera.
Ogni villetta di questo quartiere, nessuna esclusa, per la stragrande maggioranza occupata da nuclei familiari che mai si sarebbero sognati di aderire a qualsivoglia campagna politica, specialmente una campagna che può essere annoverata dentro l’abusata categoria tutta giornalistica del ‘no-global’, ha nel giardino una bandiera sulla quale campeggia l’insegna No Dal Molin. E anche ammesso che la maggiorparte di queste persone sia soltanto interessata al suo spazio privato, al non avere la rogna della grave ed invasiva presenza inquinante socialmente, acusticamente e ambientalmente di una base militare, e magari se si trattasse di un altro luogo non muoverebbe un dito per impedirlo, il risultato ottenuto da questo movimento, e da queste donne in particolare è enorme.

La loro semplicità, la loro grazia nell’esporre le ragioni dell’essere uscite dalle case tranquille per mescolarsi con i giovani dei centri sociali, con i sindacalisti, con l’attivismo ambientalista nazionale e internazionale, con le Donne in nero, con le femministe, per alcune di loro soggetti fin qui estranei o comunque non facenti parte della formazione è la vera e grande novità che salta subito agli occhi.
Assenti dal loro percorso i tradizionali dispositivi ideologici (destra/sinistra, nemico/amico, noi giusto loro sbagliato) le donne No Dal Molin hanno incluso la gente comune perché si sono fatte capire non dalle minoranze militanti, ma dei vicini di casa, spezzando il mortifero ciclo della reclusione dei soli attivisti, perché hanno parlato con il linguaggio del quotidiano, della preoccupazione, della cura e dell’amore per lo spazio comune e pubblico, dando prova di tenerci e di considerarlo altrettanto importante così come chiunque tiene e protegge quello privato.

C’è molto di più, in quello che si sta consumando a Vicenza, rispetto all’opposizione pur giustissima alla costruzione di una ennesima base militare: c’è la ricerca di parole e modi inclusivi e non solo contrappositivi per creare consenso sulle ingiustizie e i pericoli causati della militarizzazione del territorio, e per traslato delle menti; c’è il superamento, rispetto al no necessario dell’inizio, della negazione per costruire aperture, dei sì pieni di progetti, di comunità, di sperimentazione e contaminazione di pratiche e linguaggi; c’è la promessa di pratica politica che lavora su obiettivi, che include e non separa su base ideologica o di tessera.
Fragile, certo, questa sperimentazione delle donne del Comitato, e di incerto esito, visto l’entusiasmo con il quale il governo di centro sinistra appoggia la costruzione della base militare a Vicenza.
Ma anche i fiocchi di neve sono lievi, uno per uno; eppure insieme danno vita alle candide e solide coltri che qui, per molti mesi, coprono il paesaggio.
Il giorno dopo dei No Dal Molin
«La piazza non è il sale della democrazia», aveva affermato il presidente della Repubblica all’indomani della manifestazione contro il Dal Molin del 17 febbraio scorso a Vicenza [...]The people of the northern Italian city of Vicenza, with help from activists around Italy, the rest of Europe, and even in the United States, are continuing to block the proposed construction of a new U.S. military base on their soil [...] «La piazza non è il sale della democrazia», aveva affermato il presidente della Repubblica all’indomani della manifestazione contro il Dal Molin del 17 febbraio scorso a Vicenza, aggiungendo che «è nel riconoscimento della rappresentatività delle istituzioni elettive che ogni forma di partecipazione deve trovare la sua misura». Dopo quasi un anno da quella partecipata manifestazione, ancora tanti [80 mila secondo gli organizzatori, 30 mila per la questura] sono tornati a Vicenza sabato scorso. In tanti hanno manifestato per chiedere il rispetto dei principi democratici, dimenticati proprio dalle istituzioni che dovrebbero invece applicarli. Forse, come dice Napolitano, non sarà la piazza il sale della democrazia, ma di certo un pizzico di sale manca anche nella zucca di chi si ostina ad ignorare un movimento che non rinuncia a voler essere ascoltato, anche di fronte alla sordità delle istituzioni. Se un anno fa la strategia adottata per mettere a tacere il movimento contro la nuova base Usa a Vicenza era stata quella del terrore, che aveva blindato la città, questa volta la tattica adottata è stata quella del silenzio. Il silenzio mediatico, accompagnato dalle ultime dichiarazioni del ministro D’Alema e del presidente Napolitano sulla questione vicentina, questione «chiusa» secondo le parole del ministro degli esteri. Al silenzio calato sulla città berica, il movimento contro la base ha risposto con i canti delle donne No Dal Molin, con le parole dei cittadini scesi in piazza sabato pomeriggio e con quelle di Don Gallo e Dario Fo, giunti a Vicenza per manifestare con i no base. Ai «governanti ciechi e sordi»–come li ha definiti il premio Nobel–si è rivolta ancora una volta la comunità vicentina. Se le forze politiche scese in piazza erano poche e poco visibili, i protagonisti della manifestazione sono stati invece i movimenti, giunti da tutta Italia e dall’Europa. A Vicenza c’erano diverse realtà locali, vicine alla lotta dei No Dal Molin: dai «No Tav» ai «No Mose», dal comitato che lotta contro l’ampliamento dell’aeroporto senese di Impugnano ai «No F35» di Novara. Ai politici presenti in piazza–tra cui il capogruppo del Prc al senato, Russo Spena, che ha affermato che «sulla base deve essere stabilita una moratoria» e che la questione vicentina «è uno degli argomenti della verifica di gennaio»–la risposta del Presidio Permanente è chiara. «Alla politica, ora, la responsabilità di passare dalle parole ai fatti. I parlamentari e i partiti che continuano a dirsi contrari e che erano in piazza devono trasformare in azioni istituzionali concrete ed efficaci le promesse fatte in questi mesi».
C’è soddisfazione a Vicenza, il giorno dopo la manifestazione. La partecipazione ha superato anche le aspettative degli organizzatori. In molti si sono fermati a Vicenza anche domenica, per partecipare ai seminari gestiti dai movimenti pacifisti europei giunti in città. E proprio ieri, mentre nel Presidio di Ponte Marchese c’era chi discuteva, in diverse lingue, di partecipazione e democrazia, alla «caserma No War»–occupata venerdì scorso–c’era chi iniziava le pulizie per sgomberare il luogo che ha ospitato in questi giorni più di 500 persone da tutta Europa. Altri ancora, «armati» di spugne e sapone, pulivano il muro del nuovo teatro di Vicenza, sporcato durante la manifestazione di sabato, a nemmeno una settimana dall’inaugurazione. «Mentre il sindaco e la giunta cercano gli ultimi appigli per attaccare i cittadini vicentini, noi abbiamo ripulito il muro del teatro comunale», dicono dal Presidio Permanente. Le scritte si cancellano, ma la partecipazione di migliaia di cittadini decisi ad impedire la costruzione di una nuova base di guerra in città è un fatto che non si può cancellare, né ignorare.

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