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giovedì 27 dicembre 2007

Nella giungla indiana,la caccia all'ultima tigre


Erano 40 mila all'inizio del '900. Oggi sono 1500. Rischia l'estinzione a causa del bracconaggio e dell'urbanizzazione

DEHRADUN (India)
Ormai ci sono più tigri in cattività che in libertà: 20000 contro 3500. All’inizio del XX secolo decine di migliaia di questi felini popolavano tutta l’Asia, dai confini orientali della Turchia all’Indonesia. Oggi, catalogate come «specie in pericolo», si trovano solo in India, nel Sud-est asiatico e in un pezzetto di Siberia. Non si vedono più sulle rive del mar Nero, né in Asia Centrale. Tre sottospecie - la tigre di Bali, di Giava e del Caspio - si sono già estinte, e nel Sud della Cina rimangono pochi esemplari. Una caccia intensa, praticata soprattutto da ufficiali britannici nell’India coloniale, ha fatto crollare la popolazione di felini. Anche se oggi ufficialmente sotto protezione, le tigri sono minacciate dal bracconaggio - diverse parti dell’animale vengono usate nella farmacopea tradizionale cinese e coreana - e dalla pressione demografica degli umani. L’habitat dei felini si è drasticamente ridotto nell’ultimo secolo.

Di recente, 80 allievi della scuola di ufficiali di polizia sono stati mandati in un parco naturale ai piedi dell’Himalaya, per apprendere dalle guardie forestali le regole della lotta al bracconaggio. «La sparizione di alcune specie animali, soprattutto della tigre, è legata al crimine organizzato», spiega Anu Nagar, responsabile dei corsi. In India restano 1500 felini, contro i 40000 di un secolo fa.

Con la tigre non si spreca nulla, si vende tutto, dalla pelliccia ai denti, anche i testicoli, molto richiesti in Cina per pozioni afrodisiache, o la polvere d’ossa da assumere in caso di fratture. Uno scheletro o una pelle vengono venduti a circa 3 mila euro. Una piccola fortuna per un contadino, una pagnotta per l’intermediario, che può ottenere fino a 35 mila euro al mercato nero cinese.

La tecnica è semplice. Una trappola nascosta immobilizza l’animale ferendolo alla zampa. Ai bracconieri non resta che ucciderlo con un colpo alla gola, per non rovinare la pelliccia. In India, 50 felini trovano così la loro morte ogni anno. «Con i metal detector e le telecamere a infrarossi speriamo di sradicare il fenomeno, ma le tigri si salvano soprattutto colpendo la rete del contrabbando», dice Samir Sinha, direttore dell’Ong «Trafic India». Però «la maggior parte dei capi non ha mai messo piede in una foresta e maschera le proprie operazioni come trasporti legali». Operano a New Delhi, ideale per passare inosservati con i suoi 15 milioni di abitanti. I clienti, cinesi o nepalesi, scelgono le pelli in piccole botteghe, e le firmano una volta concluso l’affare. In seguito, donne di tribù del Nord, note per l’arte della caccia alla tigre, trasportano pelli e scheletri. Grazie alle firme, e agli informatori, alcune reti di contrabbando sono state smantellate.

La lotta al bracconaggio passa anche attraverso la mobilitazione delle comunità di villaggio. Difficile, in quanto i felini hanno fatto numerose vittime a causa dell’urbanizzazione rampante e dell’edilizia abusiva nei parchi naturali. «Con solo il 2% della superficie terrestre, l’India concentra il 20% degli umani e il 40% di tigri, e la coabitazione è un problema», constata Sinha. Nello stato Uttarranchal, nel 2007 14 contadini sono stati uccisi da leopardi o tigri. «In queste condizioni, è difficile difendere la tigre», ammette il signor Chandola, responsabile della protezione animali locale. Dopo l’attacco, vengono inviate squadre per calmare la popolazione. Le famiglie vengono indennizzate, 1800 euro per un adulto ucciso, 900 per un bambino. «Teoricamente, la religione chiede di vivere nel rispetto con la natura e le tigri. Ma oggi l’intolleranza cresce», constata Chandola, e conclude: «Non resta che fare barriere ad alta tensione elettrica intorno ai paesi, per preservare sia la popolazione che le tigri».

(La Stampa.)

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