Liberali, liberisti, libertari: tre termini, da saper usare tutti.
di Angiolo Bandinelli
Ho sempre interpretato le modalità di intervento e di iniziativa politica proprie dei radicali come una deviazione, ma anche come un completamento e arricchimento, del liberalismo classico. So che molti, anche radicali, non amano quella definizione del partito - o della galassia - radicale che Pannella spesso ripete e continuamente arricchisce: una definizione che unisce e lega assieme tre ‘forme' di espressione culturale e politica tradizionalmente viste come diverse, se non proprio disgiunte ed opposte tra di loro: "liberale, liberista e libertario". Mentre i due primi termini giocano tra di loro una partita anche fortemente dialettica (e le vicende economico-finanziarie di questi giorni hanno riacceso la ben nota disputa sui rapporti reciproci) ma che li pone sullo stesso piano, come appartenenti alla stessa famiglia, il terzo termine - "libertario" - viene considerato come spurio, un intruso non appartenente all'albero genealogico dei primi due e da questi tenuto anzi in dispregio. Pannella non ha certo la pretesa di conferire ai tre termini una attestazione, una patente di consanguineità, né vuole stabilire tra di essi un rapporto di pacifica coesistenza: conosce le loro differenze storiche, che non possono essere stravolte o forzate. Vuole piuttosto ricordarci - ma da politico - quanto sia pragmaticamente importante e necessario saper utilizzare l'uno o l'altro di essi per incidere nella realtà contemporanea, con le sue peculiarità e difficoltà. Sa bene che l'iniziativa politica, se vuole svolgere una funzione autenticamente liberatrice, si trova di fronte avversari, ostacoli e problemi che richiedono una risposta modulata, di volta in volta, su strumenti concettualmente diversi: e sarà appunto, di volta in volta, iniziativa liberale e/o liberista oppure potrà - anzi dovrà - essere di stampo libertario. A quest'ultima categoria, o modello, appartengono sicuramente le iniziative di tipo nonviolento, gandhiano, quelle che richiedono l'intervento del corpo quale strumento oltre che quale fine ed obiettivo etico. Non è la disquisizione liberale, non è l'oltranzismo liberista, ma la presenza diretta del corpo - nella sua fisicità - a muovere l'iniziativa nonviolenta, a partire dalla disobbedienza civile, dal sathyagraha, dagli scioperi della fame e della sede, dai sit-in o da una o l'altra delle forme di lotta tipiche della cultura, della politica libertaria. Ecco dunque il corpo assunto come attore e protagonista della politica. Non c'è una qualche deriva ‘antropologica' in questo modello operativo? Sicuramente sì, ed è una deriva che ci aiuta a comprendere e a penetrare il senso della modernità, del nostro tempo, così come ce lo fornisce il professor Corbellini (anche quando dalle sue conclusioni si dissente, e io ne dissento...). Esplicitamente, nel suo intervento, Marco Pannella tiene a sottolineare ancora una volta la dimensione "antropologica" che sta assumendo la politica contemporanea: se non altro come conseguenza dell'aumento esponenziale della popolazione mondiale, un aumento che inevitabilmente introduce mutazioni, se non altro di comportamenti, nella "specie" umana. Nella lunga storia della galassia radicale, questa consapevolezza si è esplicitata in forme varie. Oggi si manifesta con la massima chiarezza nel formidabile lavoro della associazione "Nessuno tocchi Caino" come anche nell'attività in continua evoluzione della associazione "Luca Coscioni". Non a caso il suo motto è "Dal corpo del malato al cuore della politica". Non è una formula riduttiva, è invece un ampliamento della consapevolezza della fisicità dell'uomo nelle sue diverse forme, nei suoi diversi aspetti. Dovrà venire il momento per approfondire un po' più da vicino le mille sfaccettature di questa invenzione della galassia radicale, della sua "antropologia politica". Che sia questo l'impegno da affidare alla seconda edizione della "Scuola Coscioni"?
martedì 25 novembre 2008
Sull'Antropologia politica dei Radicali
Etichette:
I libertarians,
Radicali
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