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domenica 28 settembre 2008

Il ''Cretinismo Anarchico''


Un bellissimo ''pezzo'' dal Cretinismo Anarchico di Corvaglia:

Mi appresto, con insolita pazienza, e col pensiero rivolto a ciò che Berneri definiva il “cretinismo anarchico”, a spiegare che non esiste concezione libertaria che non contempli la libertà. Dato l’anarcocretinismo imperante, la cosa non è così scontata come potrebbe apparire.

Cominciamo dai miei sulfurei rende vouz col demonio capitalista. Intanto, vorrei cominciare con alcune precisazioni. Innanzitutto, scindiamo liberalismo da “capitalismo”. Le mie simpatie vanno al primo, non al secondo. Ulteriore messa a fuoco: a cosa mi riferisco quando parlo di “liberalismo”? Forse allo zarismo monopolistico e mediatico col quale abbiamo dimestichezza? Niente affatto. In buona compagnia di personaggi che ai preti dell’ordine radical-chic non dovrebbero dispiacere (Merlino, Chomsky, Goodman, Ward, ecc.), mi riferisco con questa etichetta allo spirito di autodeterminazione dell’individuo, alla lotta contro ogni totalità, ogni assolutismo, politico come religioso, all’ethos che ha sovvertito la staticità pre-moderna fondata sul dato immutabile, sulla gerarchia, sul privilegio per rivendicare autonomia e libera scelta. Insomma, a tutto ciò che funse da motore per le rivoluzioni liberali che hanno portato l’occidente nella modernità (e la cui mancanza ha lasciato parte del mondo al medioevo della teocrazia). Ovvio che un libertario non può considerarsi soddisfatto dalla libertà che abbiamo, però, se non si riconosce che la relazione fra il liberalismo e le istanze di cui i cosiddetti anarchici si fanno portavoce è una relazione incestuosa, tutta compiuta all’interno delle medesime mura domestiche, vuol dire che si appartiene ad un’altra famiglia.

In soldoni, se indice relativo di libertà è la scelta (di oggetti, stili di vita, di condotte sessuali, di sistemi economici, di riferimenti morali, di servizi, di organizzazioni sociali e così via), è chiaro che l’esistenza di un ente centrale e monopolistico di produzione di norme e/o di beni comporta una forte riduzione della libertà. Allora tutto ciò che va nella direzione opposta a questa è liberatorio, ergo “libertario”. Cosa va in direzione contraria al monopolio e all’assolutismo centralista? Il decentramento, il federalismo, il confronto, la libera sperimentazione. Ora, tutto ciò è possibile solo se la proposta alternativa non è un altro monopolio confezionato in un pacchetto “all inclusive”, tipo l’abolizione della proprietà e, faccio per dire, il lavoro a rotazione o l’abolizione del lavoro stesso. E’ vero che, se, utopisticamente, tutti gli abitanti del pianeta fossero concordi, quella sarebbe realmente una condizione “anarchica”, perché anarchismo, alla fine della fiera, è socialismo liberamente scelto; ma, oltre a prevedere un mutamento antropologico dell’uomo, questa concezione non ci spiega come si gestirebbe l’eventuale ribelle che decidesse di abbandonare la società anarchica e proponesse ad altri dodici congiurati di diffondere il vangelo della produzione e dello scambio. Una volta, un noto rivoluzionario di professione (di professione intellettuale, perché di mestiere fa il ragioniere) mi rispose citando la soluzione prospettata dal “magnifico Bakunin”: “cappio, veleno e coltello”. Insomma si è tutti liberi di scegliere quello che l’avanguardia anarchica ha scelto per voi
( Una nuova vita vi attende nelle colonie Extra-Mondo.) L’ occasione per ricominciare in un Eldorado di buone occasioni e avventure, un nuovo clima, divertimenti ricreativi…” recitava un cartello pubblicitario nel film "distopico" Blade Runner. Non sembri strano, però, perché ciò è tipico di ogni concezione “democratica”, cioè di quella che il massone Constant (quello di “impiccheremo l’ultimo re alle budella dell’ultimo prete”) definiva la “libertà degli antichi”, ossia quella della polis ateniese, poi ripresa dai giacobini, in cui le libertà non preesistono alla organizzazione sociale ma sono prodotte di questa, pertanto, chi si trova fuori dalle mura della polis è escluso dal godimento di questo diritto calante dall’alto.
Che fine ha fatto la libera sperimentazione con la quale ci si sciacquava la bocca negli “spazi occupati”? Fabbri e Gori? Berneri e Merlino? Proudhon e Goodman? Spooner e Tucker? A ballare il twist nei rispettivi sacelli, immagino. Perfino Malatesta non avrebbe apprezzato (si leggano i passi sulla libera sperimentazione) , ma è meglio non dirlo per non scatenare crisi d’identità in molti nichilisti di professione (sempre intellettuale, of course). Ecco perché, come altrove ho avuto modo di esprimere, concordo con Ibanez, che è un anarchico, mica un portavoce del ministro degli Interni, quando dice che quella anarchica, se male intesa, è una concezione totalitaria, perché idea “che non tollera altra da sé”. Nulla da stupirsi, quindi, se questi signori, nell’unica occasione fornitagli dalla storia di gestire qualcosa di più della propria camera, cioè durante la rivoluzione spagnola del ’36, hanno prodotto ben quattro ministri, vari tribunali che sarebbero stati apprezzati dagli anarco-capitalisti più conservatori e si siano distinti anche per la persecuzione degli omosessuali.

Vediamo, invece, un’altra situazione. In una condizione in cui gli uomini non si propongono in esibizioni intellettuali che distinguano libertà “civili”, da salvaguardare, e libertà “economiche”, da abolire sulla base di un moralismo tutt’altro che laico, è possibile immaginare vari gruppi umani che si organizzano in base alla convergenza di preferenze, “gruppi di affinità” ( per usare un’espressione in voga fra certi “compagni”), e si danno a modalità concordate di conduzione delle interazioni e delle proprie esistenze, sperimentando e riservandosi l’opzione di spingere per modificare gli equilibri sistemici di cui sono elementi, come di uscirne e entrarvi a piacimento. In questo caso ci troviamo in una condizione di libera sperimentazione, di confronto e concorrenza fra diverse opzioni. Insomma, in una situazione “liberale”, in cui non esiste una unica Verità, totale, grande, stabile e immutabile, bensì minuscole verità individuali e temporanee. Il primo caso ha gli stigmi della religione, il secondo, della laicità. Questa situazione non è democratica e, sempre secondo il Constant, ha a che vedere con la “libertà dei moderni”. E’ tenendo conto di tale differenza che un grande pensatore anarchico del passato, Rudolf Rocker, mica un ragazzino di un centro sociale, ha potuto pronunciare la famosa frase “molte strade portano alla dittatura dalla democrazia, nessuna dal liberalismo”. Tale quadro può essere definito Mercato, laddove quello precedente può essere definito Monopolio.
Ma abbracciare una concezione “liberale” significa contemplare l’aberrazione della proprietà privata, sbotterà qualcuno. Si. Come abbracciare la concezione di restare in vita contempla l’aberrazione del defecare. Per forza. L’unica alternativa ad un sistema centralizzato di allocazione delle risorse, che ripropone l’istanza centrale e totalitaria, è il libero gioco di interazioni, di reciproche scelte, l’autopoietico equilibrio di relazioni, pretese ed aspettative fra individui e fra comunità. Però c’è una bella differenza fra il fare una apologia del capitalismo e limitarsi a notare il fatto sotto gli occhi di tutti che può anche darsi capitalismo senza libertà, come nel Cile di Pinochet, ma mai libertà, per quanto relativa, senza il capitalismo. Che l’esistenza del mercato sia condizione tutt’altro che sufficiente, ma sicuramente necessaria, per la libertà è concetto espresso recentemente, per esempio, da un noto intellettuale anarchico, nonché docente universitario, senza che il “politburo” libertario gli revocasse la patente di anarchico (credo che gli abbiano solo tolto una decina di punti) , probabilmente per il prestigio di cui gode il professore. Del resto, lo stesso signore che ebbe a dire che “la proprietà è un furto”, cioè Proudhon – che non è certo un Carneade per gli anarchici -, affermò anche che questo furto era comunque “uno strumento di garanzia, di libertà, di giustizia, di ordine”. Cosa spetta, allora, ai libertari? Sfruttare e mantenere le potenzialità liberatorie e impedire quelle autoritarie implicite in ogni forzatura dell’esistente, in ogni atto di violenza, quale appunto la proprietà è. Come disse Goodman, fare in modo che le libertà passate non si tramutino nelle schiavitù di oggi.

Immaginiamo, ancora, che, nella condizione pluralistica descritta, un più o meno vasto gruppo di individui condivida l’idea di vivere fuori dalla logica dello scambio, in una condizione di socialismo liberamente scelta e sempre rivedibile. Bene, come si era detto, non è forse l’anarchismo il socialismo consensuale in assenza di autorità centrale? Dov’è, allora, la differenza con la situazione precedentemente considerata? Non ci sarebbe differenza nella situazione in cui l’opzione anarco-socialista fosse accolta da tutti. Enorme differenza nel più probabile caso in cui non tutti fossero entusiasti sostenitori del mutuo appoggio e della messa in comune del mondo. Nell’anarchismo “tradizionale”, a carattere religioso, non esiste spazio per opzioni appena meno libere della libertà totale, al punto da vietare la schiavitù liberamente scelta (extra ecclesiam nulla salus); nella società “liberale”, laica e “di mercato”, ognuno sceglie ciò che vuole. Basti pensare che nella società di mercato è possibile vivere senza mercato, mentre nella comunità anti-mercato è impossibile vivere producendo e scambiando per capire quale delle due opzioni sia la più “libertaria”. Lo scambio contiene il non scambio, ad esempio. Che il “più” contenga il “meno” dovrebbe essere acquisizione ovvia per chiunque abbia visto una matrioska. Molti gesuiti della “A cerchiata” non l’hanno mai vista. Il pluralismo è base della libertà. Il grande liberale Isaiah Berlin, autore della celeberrima distinzione fra “libertà di” (democratica) e “libertà da” (liberale), proponeva un parallelismo fra il monismo delle concezioni democratiche, inclusa quella pseudo-anarchica precedentemente considerata, e l’agorafobia, cioè fra la ricerca di una unità compatta, sicura e includente e la ricerca nevrotica di un luogo chiuso e rassicurante. Il pluralismo è figlio di una irrefrenabile claustrofobia.


Dalla rivista Tarantula

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"Il mio identikit politico è quello di un libertario, tollerante. Se poi anarchico l'hanno fatto diventare un termine orrendo... In realta' vuol dire solo che uno pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia, le stesse capacità" ( Fabrizio De André )