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domenica 9 marzo 2008

Scrittori sardi. La ricetta del successo

Non è forse mai avvenuto, per dei libri pubblicati da scrittori sardi, quello che si è visto accadere nelle ultime settimane per i romanzi di Flavio Soriga e Milena Agus. Gli autori sono stati immediatamente ospiti delle trasmissioni radio che seguono le novità editoriali, le pagine culturali di tutti i maggiori quotidiani nazionali hanno recensito questi libri. Qualcosa del genere si era già visto con le uscite da Adelphi di Salvatore Niffoi, ma ancora si sottolineava l’eccezionalità della scoperta dello scrittore “sardo”. Oggi invece una serie di autori, i precedenti, e ancora Marcello Fois, Giorgio Todde e Giulio Angioni, sono pienamente inseriti nell’ambito dei protagonisti della produzione letteraria italiana.
E’ evidente che qualcosa di nuovo è accaduto.
Qualcosa che riguarda anzitutto le dimensioni del fenomeno. Chi vende centinaia di migliaia di copie di un libro fa guadagnare altrettanti euro ai suoi editori e si spera che qualcosa guadagni anche lui. L’artista sardo entra nel mercato culturale, cosa che non succedeva probabilmente dai tempi di Gavino Ledda e, ancora più indietro, di Grazia Deledda. Personaggi, in passato, oggetto di discussione da parte dell’ambiente culturale sardo, e non a caso. Dove c’è successo, e denaro, in tutto il mondo c’è invidia e competizione. E questo avviene inevitabilmente anche in Sardegna. Una società letteraria matura sembra non poter fare a meno della polemica, della stroncatura, anche del pettegolezzo.
Diversi sembrano gli elementi di novità che hanno dato una svolta alla produzione di opere letterarie in Sardegna. Questa, a dire la verità, non è mai mancata, ma certamente la nascita della casa editrice Il maestrale è stato un elemento di svolta. La Sardegna deve ancora una volta dichiararsi debitrice nei confronti di Nuoro per la capacità di marcare una presenza sarda nella cultura italiana senza complessi di inferiorità. Magari con la pretesa di essere particolarmente speciale e diversa rispetto al resto dell’Isola; mentre è vero invece che ci sono solo sfumature e gradazioni di tempo e di esperienze rispetto ad altre realtà sarde.
Il secondo elemento è stata una nuova attenzione da parte della critica e dei lettori italiani ed europei. Agli scrittori sardi di oggi è garantito un interesse che non sempre è stato concesso a Sergio Atzeni, il quale non è mai arrivato alle decine di migliaia di copie di vendita e all’eco mediatica attuale. Eppure tutto nasce con lui. La storia picaresca del giovane intellettuale che non trova spazio in Sardegna e deve andare a vivere da artista fuori dall’Isola è già presente nel conflitto con la realtà locale ostile e refrattaria de Il quinto passo è l’addio. La politica regionale, rappresentata dal politico con cui Ruggero Gunale ha lo scontro e il colloquio decisivo per la sua partenza, ha oggi per lo scrittore sardo la faccia solidale di Renato Soru. E’ questa un’altra indubbia novità, quella del feeling positivo tra gli scrittori sardi e la politica regionale.
Ad Atzeni si deve anche ciò che di meglio è stato scritto sinora sulla Sardegna che cambia, sulle mutazioni molecolari di linguaggio e di comportamento che avvengono nelle nostre città. Flavio Soriga dichiara di essersi ispirato per il suo Sardinia blues all’esempio di Bellas mariposas. Nessuno ha dimostrato di saperlo seguire allo stesso modo. Gli eroi del suo nuovo romanzo sono giovani cittadini in trasferta, anche se si muovono tra Villanova Truschedu e S’Archittu. Sempre una Sardegna estiva, sempre costiera, di un non-glamour che aspira a entrare nella luce dei riflettori. Manca invece ancora il racconto di questa enorme periferia metropolitana che è diventato il paese sardo. Dove muoiono, intossicati dall’alcool nei bar, i vecchi balenti della guerra senza fine nelle campagne e, allo stesso modo, i giovani che hanno il tifo calcistico come unica parola spendibile per comunicare la loro esistenza.
Nessuno si è ancora avvicinato a Sergio Atzeni nella reinvenzione mitica del passato dei sardi di Passavamo sulla terra leggeri; nessuno come lui ha amato, insieme, le vicende vere e le “fole” su quegli uomini, quei tempi, quelle usanze vere o presunte.
Dietro questo successo degli scrittori sardi c’è anche l’attenzione di un pubblico nuovo. Il poeta improvvisatore chiamava a sé nella piazza tutta la comunità. Si può azzardare il parallelo con le folle di giovani che accorrono alle presentazioni delle nuove uscite letterarie, così come ai vari festival che si tengono in diversi paesi e città? La Sardegna è notoriamente una terra di forti lettori. Di giornali, tanto come di libri. Qualcuno dovrà spiegare, prima o poi, come mai ha anche la scuola che respinge più alunni.
Alle radici dell’apprezzamento c’è ovviamente anche la qualità di queste produzioni letterarie. C’è un respiro nuovo, una capacità inedita di affrontare temi e storie sinora poco considerate. Lo scrittore sardo si considerava vincolato alla rappresentazione di vicende esemplari della propria storia, o comunque significative di una condizione generale. Oggi trova nel destino, nelle preferenze, nelle scelte di vita individuali dei personaggi il mezzo per un contatto più vero e universale con i lettori del mondo. Anche la coscienza linguistica ha subito in questi anni un’evoluzione. Intanto arrivano sulla scena autori che non sono più gravati dal peso, o dalla fortuna, di avere assimilato una lingua madre diversa da quella che hanno appreso a parlare e a scrivere a scuola. L’italiano è mezzo unico di espressione, dal tempo delle canzoncine infantili alle articolazioni dei linguaggi regionali e di quelli distinti per età e ambienti sociali diversi. La lingua sarda veglia in un angolo e aspetta la sua rivincita.

(Il Manifesto)

1 commento:

Unknown ha detto...

Sono assolutamente d'accordo con quanto scritto in questo articolo. Vorrei solo aggiungere che è importantissimo anche, in tempi in cui la parola d'ordine sembra essere quella della caccia allo straniero, la necessità, spiegata attraverso il dramma (anche se credo che Soriga preferirebbe forse chiamarlo farsa o commedia) della talassemia, di una società multietnica, di sangue rimescolato, un ideale obbiettivo per migliorare non solo la vita dei malati, ma della società stessa, anch'essa assai malata. La necessità di circolare liberamente, di potersi mettere in gioco, di esplorare e confrontare realtà differenti e trarne ricchezza, materia feconda da plasmare, opportunità per i giovani di vivere una vita dignitosa e intensa. Complessivamente un ottimo lavoro davvero.

"Il mio identikit politico è quello di un libertario, tollerante. Se poi anarchico l'hanno fatto diventare un termine orrendo... In realta' vuol dire solo che uno pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia, le stesse capacità" ( Fabrizio De André )