Giuseppe Motta
Soltanto un cieco o un alienato mentale può continuare a ignorare o a negare che il bilancio dell’occupazione integrale dell’Università da parte degli Stati, durata circa due secoli, è fallimentare su tutti i fronti. Le Università migliori del mondo sono oggi quelle che sono riuscite, almeno parzialmente, a sganciarsi e a liberarsi da questo bacio della morte, da questa morsa, da questa gabbia d’acciaio, da questa camicia di forza politico-burocratica imposta a un sistema nato in Europa come espressione di libertà e di indipendenza del pensiero e della conoscenza.
Dai monasteri mecenati alle città libere, delle quali sono state esempio per tutto il mondo quelle centro-settentrionali italiane, l’Università ha visto uno sviluppo ininterrotto delle sue potenzialità e capacità, con la preparazione di specialisti e di scienziati. L’Università è una creazione del Medioevo e in essa per secoli si sono formati i pensatori più audaci, gli spiriti più liberi e più creativi, riuniti in fraternità di insegnanti e discepoli, in federazioni di collegi.
Quando poi sono diventate tutt’uno con le città, simboli del loro orgoglio, le Università hanno dimostrato la loro indipendenza anche dall’influenza ecclesiastica, trasformandosi in centri di studio e riflessione libera, aperta al nuovo.
La figura del professore vecchio e fossilizzato nelle sue idee obsolete e stantie, magari formulate vent’anni prima, nel tardo Medioevo era una figura sconosciuta: appartiene tutta all’età moderna. Le Università sono state la culla della civiltà europea, senza le quali questa non è nemmeno concepibile o comprensibile. Soprattutto però le Università sono state libere creazioni di associazioni, il frutto dell’iniziativa privata e non di quella politica.
L’apparizione di nuove Università per secoli è stata stimolata dalla continua formazione di gruppi autonomi di professori che si separavano dall’Università di appartenenza (ad esempio Padova da Bologna), al fine di costruirne una nuova, più consona ai loro ideali e libera da influenze politiche.
Così le Università sono state generalmente il frutto dell’organizzazione spontanea, dell’associazione volontaria: da quella dei gruppi di professori, a quella degli studenti (che vi esercitavano un grande controllo, come a Bologna), che hanno conservato per secoli i loro statuti e le loro tradizioni: un insieme composito che ha prodotto un’esplosione di studi e di scienza senza precedenti nella storia umana.
Tutto questo perché erano studia generalia liberi dalla minaccia pel potere politico e religioso e riunivano persone desiderose di imparare ed altre che volevano mettere a disposizione le loro conoscenze e che venivano pagate in misura della loro bravura.
Tra i Professori vi erano differenze di reddito e prestigio, secondo le Facoltà, che erano in concorrenza tra loro. Per studiare si andava lontano, dove avvenivano le più belle “battaglie intellettuali”, condotte da maestri universitari itineranti e di qualità internazionale riconosciuta. Perfino contadini o figli di calzolai riuscivano a diventare nobili dopo lo studio nell’Università, con una evidente ascesa sociale. Non a caso allo studio si riconosceva una grande importanza sociale. Per gli studenti poveri esistevano le “provvidenze” stabilite dalle stesse Università come privilegium paupertatis.
Il New College di Oxford fra il 1380 e il 1500 era composto per più del 61% di figli di contadini e il numero di studenti di origini rurali era nettamente superiore a quello degli studenti di origini urbane. Inoltre gli studenti, che riuscivano sempre a conoscere l’ebbrezza della libertà intellettuale negli “studi che liberano” (Giovanni di Salisbury) non erano sottoposti alle leggi che valevano per i cittadini comuni e godevano di consistenti sgravi fiscali. Nessuna autorità accademica determinava gli incarichi e i titoli.
Queste istituzioni costituivano il vero tessuto, quello culturale, dell’Europa senza confini, della quale l’Unione Europea attuale, confinaria e statalista, non è che una pessima e tragicomica caricatura.
Nell’epoca della Riforma tuttavia è iniziata l’occupazione statale, la sottomissione al controllo regio, che è diventata sempre più massiccia e militare, fino all’epoca devastante del Nazionalismo.
Trasformatesi a partire dall’Ottocento sotto imposizione governativa in fabbriche di burocrati sia all’interno (i Professori trasformati in “burocrati della scienza”) che verso l’esterno (produzione di amministratori e servitori) e in strumento di controllo di Stato, sul modello europeo-continentale della centralizzata “Università Imperiale” francese, l’Università europea è decaduta, fino a raggiungere il livello disastroso di quella italiana attuale.
Di Università considerate ovunque per secoli le migliori del mondo (Bologna, Padova, Pavia, ecc.), sono rimasti fantasmi.
Persino quelle che oggi continuano a figurare come “private” sono di fatto dipendenti dallo Stato, perfettamente inserite nel sistema statale. Assaltate da bande di predoni estranei alla scienza, sono diventate centri di potere, prede di partiti e consorterie, bottino di una lotta politica tanto imponente quanto distruttiva, centri di parassitismo devastati da cavallette e sanguisughe.
Il potere politico le affama per tenerle sottomesse.
Burocrati della conoscenza dettano “l’agenda degli studi”, condannando i non-conformisti, che sono stati la linfa vitale delle Università storiche, fondate su un sapere libero e polemico, insofferente dei dogmi, al palo e alla fine della carriera. Ma nei primi secoli dell’istituzione universitaria chi accedeva al titolo di dottore poteva insegnare il giorno successivo.
Il livello culturale delle Università brutalmente statalizzate è andato precipitando negli ultimi due secoli.
Lo Stato è l’antitesi dello spirito e del movimento universitario, fondato sulla totale libertà di pensiero e sull’autogoverno.
Fuori lo Stato dalle Università!
martedì 20 aprile 2010
Fuori lo Stato dall' università
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1 commento:
M'è venuta una lacrimuccia a pensare la bellezza della mia università libera...
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