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martedì 13 aprile 2010

IL CORPORATIVISMO NON E' CAPITALISMO!


di Nereo Villa

Lavorare o rubare è il problema! Lavorare concerne i mezzi economici, rubare concerne i mezzi politici. Il corporativismo (organizzazione statale delle persone giuridiche come strumenti politici) garantisce a chi sa impadronirsi del suo complesso armamentario un’illimitata possibilità di sfruttamento della ricchezza prodotta tramite i mezzi economici. Il corporativismo nasce quindi come chiave di ogni relazione parassitaria in ogni convivenza politica, ed è sostenuto da una legale ma non legittima classe di professionisti del parassitismo. George Orwell nella neolingua del suo romanzo “1984” chiamava tale classe “miniver”, cioè “Ministero della Verità” che era invece ministero della menzogna, come è oggi ogni ministero di qualcosa; ad esempio chiamiamo Ministero dell’Economia qualcosa che di fatto genera debito, altro che economia! In tale contesto si sviluppa una vera e propria civiltà della menzogna poggiante su tre slogans: 1) la guerra è pace; 2) la libertà è schiavitù; 3) l’ignoranza è la forza. Come mai?
A partire dall’1989 - anno del crollo del muro di Berlino - si predica una nuova ideologi a “marxista ma non marxista”, che confonde le idee alla gente prendendo come capro espiatorio il capitalismo inteso come causa di ogni male. Così facendo, si chiama capitalismo il corporativismo, che è la degenerazione statalistica del capitalismo sano. Il trasformismo nominalistico per cui si chiamano le cose con un altro nome (trasformismo) non è forse la primigenia operazione che Marx praticò rispetto alle idee di Hegel, generando la medesima confusione che continua ancora oggi soprattutto nella sinistra e in ogni portatore del pensiero debole, sempre più debole? Tale trasformismo ricorda appunto l’operazione del sopracitato “miniver”! E oggi tale operazione vorrebbe condurre l’individuo all’accettazione del debito pubblico come normale economia del debito. La logica dei fatti reali vorrebbe invece che il debito fosse pagato. Abbasso il capitalismo?
Il capitalismo è un bene, non un male. Oggi pochissimi lo affermano non capendo che il capitalismo nasce (anche etimologicamente) dal capo umano e dal logos del pensare che vi risiede. In ebraico “cranio” si dice “golgota” (Giovanni 19,17), che è anche il nome del luogo in cui il sangue del figlio dell’uomo (il sangue è veicolo dell’io) feconda la terra di nuovi impulsi: con la croce del Golgota nasce infatti il segno “più” (+) dell’addizione ed il segno “per” (x) della moltiplicazione. Ma non solo. Nasce la tecnica, la tecnologia... Eppure l’economia, che avrebbe dovuto generare credito e beni economici, è stata ridotta - dal corporativismo - ad ingigantire un debito pubblico che in realtà è inesistente in quanto creato artificialmente dalle banche, emittenti denaro creato dal nulla, ma prestato poi a costo nominale!
Questo è corporativismo! Legame poltiglioso fra Stato e banche centrali, funzionali al parassitismo del primo. Parassitismo che consiste nella pretesa di avere denaro senza dover lavorare per ottenerlo (ed è appunto questo che i governatori delle banche centrali forniscono ai vari governi). Nutrendosi di menzogne, il pensiero debole crede e fa credere che il capitalismo sia un male in quanto proveniente dal capo dell’uomo anziché dalla “legge” (come se le leggi fossero fatte dagli dei)! E questa è alienazione. Invece, a differenza di ciò che accadde nelle società socialiste pianificate (che condusse al crollo del muro perché il calcolo dei bisogni precedeva e predeterminava l’offerta) nel capitalismo l’offerta è un dono, rispetto al quale il donatore non sa mai con certezza cosa riceve in cambio. L’offerta mercatoria in realtà è carità, congiunta alla fede ed alla speranza che dando, si riceva pure! (cfr. G. Gilder "Ricchezza e povertà" , Milano,1982). L’artista non crea per denaro ma per mettere al mondo qualcosa di sé che ancora non c’è, come un dono al mondo. E così è per qualsiasi altro produttore di qualsiasi bene (dal CD musicale a un pomodoro, o da un quotidiano on line ad un giornale cartaceo). Chi produce non immette nel mercato i suoi prodotti per mero denaro ma per offrire al mondo il suo dono, e quasi per sfidare il proprio futuro con le sue capacità creative, coi suoi talenti. Il senso di ciò è soprattutto quello di estrinsecare al massimo grado l’elemento creativo della natura umana che, essendo a immagine di quella divina, crea. Questo è il vero spirito imprenditoriale. L’imprenditore è un creativo che opera economicamente.
Chi invece opera solo secondo la logica delle ricchezze - cioè secondo mera economia politica - non è un imprenditore, ma un parassita di questo.
Oggi il vero capitalismo è imprigionato in un vuoto conoscitivo, generatore di rinuncia rispetto all’unica risorsa umana possibile: la creatività.
In definitiva oggi il socialismo è fallito ma il capitalismo è visto come un male. Da chi? Dal parassitismo, cieco-volontario rispetto al fatto che il male vero non risiede nel capitalismo ma nel corporativismo dello Stato padrone.
Oggi siamo appunto governati da un Berlusconi che, proclamandosi keynesiano, blatera “meno Stato”: una contraddizione in termini. Infatti il keynesianesimo continua ad ingrandire lo Stato, assieme al debito! Ovviamente i parassiti non sono soltanto i portatori di pensiero debole di sinistra ma anche i portatori di pensiero debole di destra, insomma sono tutti coloro che hanno il grave torto di non capire che le forze creative e innovatrici agenti nel campo umano e nella natura sono le stesse che sempre condussero imprenditori e commercianti ad avventurarsi oltre ogni situazione statica, assicurando all’umanità il capitalismo come strumento più efficace per la sopravvivenza.
Invece di odiare il capitalismo proclamando paradossalmente al mondo tale odio tramite computers e tecnologia (meravigliosi prodotti del capitalismo) sarebbe meglio incominciare a capire che la più bella forza del capitalismo è il suo carattere individualistico etico. Ecco perché per il libertario Ludwig von Mises l’ostilità verso il capitalismo non c’entra nulla con la miseria crescente della gente. L’umanità ha infatti migliorato - grazie al capitalismo - il proprio tenore di vita. L’ostilità verso il capitalismo, afferma Mises, è dovuta al risentimento del falliti (cfr. Mises, “La mentalità anticapitalistica”).

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