SITO ANARCOLIBERALE A CURA DI DOMENICO LETIZIA. Laboratorio per un Neo-Anarchismo Analitico che sia Liberoscambista, Volontarista, Possibilista e Panarchico con lo sguardo verso i valori del Liberalismo Classico, del Neo-mutualismo e dell'Agorismo. Un laboratorio che sperimenti forme di gestione solidali, di mercato dencentralizzato e di autogestione attraverso l'arma della non-violenza e lo sciopero fiscale, insomma: Disobbedienza Civile

banner campagna un futuro senza atomiche

The Neolibertarian Network Diventa anche tu Ambasciatore Telethon Italian Blogs for Darfur AIT - Associazione italiana transumanisti
AnarchicA
No TAV

domenica 29 marzo 2009

Te lo do io Proudhon!


ovvero: basta un poco di zucchero e la pillola va giù...

di Luigi Corvaglia

Una riflessione su Proudhon da Corvaglia sulla rivista http://tarantula.ilcannocchiale.it/

I PARTE

La proprietà è un furto P..J. Proudhon (1840)
La proprietà è libertà P.J. Proudhon (1865)


1. Invito alla lettura

Proudhon, chi è costui? non certo un Carneade. Eppure, celeberrimo motto a parte (“la proprietà è un furto”), perfino molti di quanti si professano partigiani di quell’anarchismo che vide nel pensatore francese il primo interprete di grande spessore non vanno oltre una manciata di luoghi comuni buoni per intrattenere un salotto di provincia. Nella schiera dei don Abbondio libertari, però, non tutti sono ignoranti. Alcuni sono in malafede. Pochi, però, riescono nell’ardua impresa di coniugare in vario grado ignoranza e malafede. Fra questi ultimi, principalmente, i cosiddetti “anarcocapitalisti”. Infatti, è generalmente la sola ignoranza o la sola malafede la responsabile dell’arruolamento del tipografo di Becanson nella truppa dei socialisti (ciò sulla scorta, appunto, del noto motto anti-proprietaristico letto sui Bignami al liceo). Ma è generalmente la commistione delle due cose a produrre la bislacca teoria di un “primo” ed un “secondo” Proudhon. Quest’ultimo sarebbe artefice di un ripensamento sul supposto giovanile socialismo per accogliere una visione a questo opposta. L’ ambiguità non è nuova. C’è ancora chi ricorda perfino la svolta proudhoniana di un Bettino Craxi alla ricerca di un referente nobile del socialismo non marxista e aperto al mercato. Oggi il liso panciotto del tipografo è tirato di qua e di la, dagli anarchici meno romantici e nichilisti come dai sedicenti “federalisti” ora così a la page; ma è con i seguaci dell’anarcocapitalismo di Murray Rothbard che avviene la “transustanziazione”. Il pane ed il vino del mutualismo proudhoniano diventano corpo e sangue del liberismo radicale in un processo che, mantenendo la forma, ne modifica irrimediabilmente la sostanza. In definitiva, mentre a “sinistra” si enfatizza, per non aver letto, la devastante critica alla proprietà espressa nel 1840, a “destra” si sottolinea, per aver letto poco, male e in malafede, la difesa della proprietà del 1865, affermando che quest’ultima sarebbe una revisione di quanto affermato venticinque anni prima. Ciò farebbe di Pierre Joseph Proudhon un tardivo liberale dall’imbarazzante passato. Nulla di più falso. Quanto scritto nella sua Quarta memoria sulla proprietà non è affatto in contrasto con ciò che l’autore aveva espresso in Che cos’è la proprietà?. E’, anzi, un completamento dell’analisi precedentemente svolta. Chi non lo capisce non ha colto (per uno dei due fattori prima elencati) che l’apparente differenza dell’esito dell’analisi proudhoniana è frutto del diverso piano di lettura, cioè del punto di partenza giusnaturalista e di quello utilitarista. Ridotta in pillole (ma, per gli amici giusnaturalisti, in supposte) la questione è che, proprio in quanto giusnaturalista, fedele alla visione di imprescindibili diritti naturali, Proudhon afferma che nulla può giustificare la proprietà come dato naturale ed auto evidente al pari di altri. Essa è immorale, è abuso, è furto dell’eguale diritto dei non proprietari all’usufrutto della terra. E’ solo nella Quarta memoria che egli passa ad esaminare la cosa dal punto di vista dell’ utile. Davanti ad un abuso ancora più grande, lo Stato, ladro monopolista, l’unico contrappeso al grande abuso pubblico è il piccolo abuso privato, l’unica difesa contro la violenza concentrata è l’atto di forza dei singoli, un contropotere decentrante in grado di creare, in una concezione, si badi bene, mutualista, sacche di resistenza. Non c’è contraddizione: I don Abbondio si mettano l’anima in pace. Riflettano, magari, sull’attualità di un pensatore che un secolo e mezzo prima delle scaramucce accademiche e salottiere fra giusnaturalisti e utilitaristi, fra anarcodestroidi e anarcosognatori, fra individualisti e socialisti che infestano la discussione odierna aveva già affrontato e risolto in poche mosse la questione. Propedeutico, però, sarebbe leggere. Contro il dogmatismo della sacralità della proprietà e contro quello dell’abolizione del mercato, una vera mano santa. Da assumere prima e dopo i pasti. Tenere lontano dalla portata degli idioti.

CONTINUA.......

venerdì 27 marzo 2009

Arti&Mestieri. Dall'Usi un nuovo esempio di libero mercato

Arti & Mestieri - Le nostre Pagine Gialle!

Noi Libertari Possibilisti o Anarchici di Mercato liberoscambisti da sempre sosteniamo e animiamo tutte quelle proposte e battaglie di vero libero mercato o per dirla alla Kevin Carson: Libero mercato Anticapitalista.
Che sia il mercato nero, una proposta agorista, una giornata di libero scambio, un’ iniziativa mutualista, o sia un vero programma di liberalizzazioni, insomma tutto ciò che sia mercato e non capitalismo statalista, da noi trova appoggio.
Un buon esempio questa volta ci viene da un sindacato di base l’Usi (Unione Sindacale Italiana), sindacato da sempre con un anima libertaria e qualche volta, questo ci piace di meno, un po’ troppo legato a concezioni marxiste.
Ma oggi parliamo del progetto lanciato dall’Usi con commercianti, semplici cittadini e piccoli imprenditori cioè il sito: http://www.artiemestieri.info/index.php
Questo sito nasce su basi mutualiste, di libero scambio volontario e consapevole, senza nessuna presenza di autorità pubblica o statale, insomma uno di quei tanti esempi di libero mercato anarchico che raffigurano il mercato e lo scambio al di fuori dello Stato. Partire dalla creazione di una rete telematica che vada a sviluppare relazioni tra individui e gruppi di individui e così facendo arrivare a costruire sul territorio dei veri e propri empori che collegati tra di loro costituiranno una base concreta per costruire quindi un’ economia diversa, che garantisca l’espressione di una socialità diversa, che trasformi il quotidiano giorno dopo giorno elevando sempre più la qualità della vita, che dimostri in maniera inequivocabile che si può, che l’utopia è un’invenzione del Potere, che l’Emancipazione è realmente nelle nostre mani, che la Rivoluzione è una cosa banale come andare a lavorare e che quindi tutti la possono fare giorno dopo giorno.
Importante pubblicizzare questo progetto per tutti coloro che guardano al mercato sia come un male e basta e sia a coloro che pensano al mercato solo in ottica monopolista, protezionistica e squisitamente statalista.

giovedì 26 marzo 2009

mercoledì 25 marzo 2009

Sinistra e Libertà: L'opinione di un lettore, ''Remo''


In seguito al mio articolo sulla nascita di sinistra e libertà, vi propongo un e-mail inviatami da un amico che ha voluto avanzare una critica diversa dalla mia, ma molto intelligente.
Tutto ciò per un dibattito che faccia della sinistra una forza libertaria e meno statalista.

Buona lettura:

Caro Domenico,
in una mia e-mail ti accennavo al fatto che la sinistra si sta appropriando anche del tema della libertà, e la nascita del nuovo partito Sinistra e Libertà ne è in qualche modo una conferma.
Come dobbiamo interpretare il recupero del concetto di libertà (che diventa anzi elemento fondante), ed il contestuale abbandono di falce e martello? Come il tentativo di creare una sinistra libertaria, in opposizione alla deriva cattocomunista del PD?
Sembra andare verso un'apertura di credito in questo senso il post che hai scritto, recentemente, parlando della novità.
Mi piacerebbe molto, se fosse così, ma devo dirti francamente che non nutro alcuna speranza a riguardo.
Visti i personaggi che dovrebbero dar vita alla cosa, non basterà loro un semplice cambio d'abito, e neanche di pelle: ci vorrebbe un'operazione di ingegneria genetica.
Come ti dicevo, nel linguaggio della sinistra massimalista la parola "democrazia" ricorre con una frequenza che non ha pari nelle altre categorie politiche (comprese quelle di reale ispirazione democratica).
Tutto è basato su un equivoco: l'dea di democrazia che gli esponenti della sinistra massimalista hanno nel retrocranio è profondamente diversa dal senso che tutti gli altri attribuiscono al termine.
Con l'idea di libertà sarà (è) la stessa cosa.
Non credo proprio che la società libertaria possa nascere da una costola della "nuova sinistra" (o della "nuova destra"). Molto più realisticamente ritengo che una vera società libertaria potrà emergere solo dalle "ceneri" della sinistra e della destra! Le ceneri lasciate non dal rogo del sistema (rivoluzione violenta), ma dall'inquisizione culturale, popolare al sistema stesso.Per come la vedo io, la sinistra sta già facendo hara-kiri: se la spogli di tutti (o quasi) i caratteri che ne salvano la sua ortodossia, diventa tutt'altro (non è forse questo il motivo delle ripetute scissioni, ogni volta che ha inteso spostarsi su posizioni più moderate?).
Una sinistra riformista e libertaria, per definizione non è più, certamente, una sinistra "ortodossa" e probabilmente non è più neanche "sinistra".
Vogliamo continuare a chiamarla così? Facciamolo pure, ma siamo veramente solo sui giochi di parole...
Ciao,
Remo

lunedì 23 marzo 2009

LO STATO MAMMA E PAPA'...


Un ringraziamento a Leonardo Facco, trovate il mio articolo anche sul sito dei libertari: http://www.movimentolibertario.it/home.php?fn_mode=fullnews&fn_id=138&fn_cid=4
Buona lettura,

(di Domenico Letizia)

Non ritengo che per un libertario esista una scaletta di valori di libertà, la libertà è fondamentale in tutti i campi del vivere e dell’agire umano. Ma se c’è qualcosa che fa arrabbiare un libertario più del normale è quando lo stato vuole divenire la tua guida che ti vuole bene e ti protegge. Questa è la minaccia più assurda di tutte, lo stato come mamma e papà, eppure in Italia è avvenuto un qualcosa, a mio avviso, molto grave e che pochi , a dir la verità, hanno notato. Il Ministero della Sanità non esiste più proprio come terminologia, ora c’è il Ministero della SALUTE, non voglio discutere di questioni economiche, ma di terminologia perché ammettere l’esistenza di un ministero della salute è ammettere che esiste un “etica di comportamenti”, etica di “stato” giusta quindi chi non segue questa etica è in sbaglio contro la giusta scelta di mamma e papà stato.

Questa intrusione dello stato nella vita dei privati cittadini è grave, perché creare un ministero della salute (e lo ripeto) significa che esiste un catalogo di cose che son giuste e altre che non lo sono per il proprio e intimo corpo. Tutto ciò è ovviamente antilibertario, Lysander Spooner diceva: “I Vizi non sono crimini”: invece lo sono se si giustifica queste politiche, il fattore davvero grave è che lo stato attraverso una massiccia proibizione sta facendo passare questo messaggio proprio culturalmente e demagogicamente andando contro anche i più semplici principi della filosofia liberale.

Attenzione, potremmo trovarci tra qualche anno a non poter fumare tali sigarette o tabacco, a non poter bere un po’ di buona grappa o a non poter far del piacevole sesso quando vogliamo noi, per non infrangere il Codice della “Salute Pubblica” redatto per noi dal giusto e saggio super-padre Stato.

domenica 22 marzo 2009

Alla CRI del Piemonte


A: cr.piemonte@cri.it

Un caloroso saluto ai colleghi della Croce Rossa del Piemonte,
Sono Domenico Letizia pioniere CRI di Maddaloni (CE) sono pioniere da più di 5 anni e ciò che mi ha spinto ad intraprendere questo percorso è stato proprio l'amore per i principi che sorreggono questa organizzazione, tra i quali la solidarietà senza distinzione di razza, sesso o ceto politico e sociale.
Vi scrivo, calorosamente e tristemente, perché provo vergogna da umano, da cittadino e da Pioniere di quello che sta accadendo nelle gabbie di corso Brunelleschi al Cpt di Torino. Vi chiedo semplicemente di ricordare il perché e cosa fate nella Cri, siamo nati per combattere la violenza ed è una vergogna divenire protagonisti di violenza razzista e stupida, La Cri dovrebbe battersi per la chiusura dei CPT e non per il suo mantenimento.
Il mio è un appello a tutti i colleghi che amano questa organizzazione.
Un caloroso abbraccio a tutta la componente del Piemonte,
saluti cri,
un pioniere,
Domenico Letizia

venerdì 20 marzo 2009

La storia è scritta per gli idioti


Questa è una piccola traduzione (personalizzata, ho tradotto dallo spagnolo qui: http://kill-lois.blogspot.com/) di un post di Fracois Tremblay sulla storia, e la nostra percezione di essa e di tutte le manipolazioni alle quali siamo sottomessi dalla classe sfruttatrice e statista. A questo punto diviene importante acquisire un atteggiamento scettico davanti alla "verità" che ci mostrano, come fa il buon lavoro degli storiografi libertari revisionisti.

La storia è scritta per gli idioti

Fracois Tremblay

Il concetto di storia è molto curioso, poiché, nella sua maggiore parte, riguarda cose che non esistono attualmente, cioè, gli avvenimenti del passato. E la stessa cosa è sulle aspettative del nostro futuro. Possiamo parlare solo in realtà del passato e del futuro come le proiezioni causali del presente. Quando diciamo, ad esempio, che la 2 ª Guerra Mondiale incominciò nel 1939, diciamo questo perché stiamo esaminando prove esistenti su questo evento: i registri ufficiali, memorie, fotografie, ecc.., e ricaviamo da questo materiale un calendario di eventi, che non rappresenta nient'altro che una sorta di fusione di relazione causale tra le prove e le proiezioni degli avvenimenti. In questo senso, il nostro concetto di passato è una gran illusione, tanto quanto il nostro concetto del futuro. Questo non vuole dire, ovviamente, che quegli avvenimenti (dico un assurdità) non siano accaduti, ma la nostra percezione attuale è molto lontana dagli eventi stessi. Cosicché questa è la ragione, nel caso della storia, per la quale esiste una buona possibilità di manovrare la storia per deliri, illusioni, bugie e frodi che si insinuano in quella breccia tra la realtà e la conoscenza. L'idea di un passato corretto, è probabilmente un inganno del cervello. Ma la stessa cosa si può dire del presente. Non abbiamo accesso immediato agli avvenimenti che stanno succedendo in tutto il mondo. Noi ci fidiamo di quello che altre persone dicono, e queste catene di ‘’somministrazione’’ possono trasformarsi in una sorta di controllo da parte dell’unione di plutocrazia economica e statale. Cosicché, in realtà, siamo molto, molto vulnerabili rispetto alle persone che controllano tutto quello che impariamo sul passato ed il presente, perché abbiamo pochi mezzi per verificarlo in forma indipendente.
Ora pensa: Da dove tiri fuori le tue idee sul passato? Cosa pensiamo di quell’ epoca? Da dove vengono queste immagini? Pensiamo, per esempio, al "Far West". La maggioranza delle nostre idee di quel periodo provengono dai film. In realtà, la maggioranza delle cose che pensiamo sono "marchi registrati" del "Selvaggio Ovest", tutto rigorosamente inventato alla gente dal cinema, ovviamente, non ha nulla a che vedere con le abitudini e gli avvenimenti di quel periodo. Ogni tipo di dettaglio, come il cappello dei cowboy, ci ha dato l'immagine del "Selvaggio Ovest" come un posto selvaggio e violento. Ovviamente, questa immagine serve come strumento dalla classe dominante di associare libertà e l'anarchia con la violenza. Un altro strumento di conoscenza circa la storia è la scolarizzazione. Molto di quello che ci viene inculcato circa la storia è una bugia, ed un mucchio di informazioni vitali per apprendere la storia semplicemente si omettono. Inoltre, l'insegnamento della storia è l'insegnamento di una linea di tempo, non l'insegnamento dei principi per il quale le cose succedono o i principi per i quali si muove la gente sulla quale attraverso supposizioni si vuole imparare. Essi non hanno nessun interesse nell'insegnamento della storia mediante l'applicazione dei principi schematici chiamati blocchi, la forma in cui sarebbe insegnata una lingua, un'arte o una scienza. Per insegnare la storia con tale principio sarebbe necessario insegnare sulla libertà e lo sfruttamento che sono temi tabù in un sistema che si basa sullo sfruttamento in ogni passo della strada della storia.
Infine, la forma di spiegare la storia mette enfasi sulle figure individuali, specialmente le figure della classe dominante, e le motivazioni individuali e personali. In realtà, la storia è dominata da azioni di persone che compongono ampi movimenti di classe ed ideologie, principi che muovono queste azioni.
Ma è una prerogativa della razza umana ricorrere a narrazioni e descrizioni, che sono più interessanti, di individui isolati coi quali possiamo identificarci. Alla fine, tutto questo creda quella visione del mondo che ho discusso già prima. Facciamo attenzione tanto agli alberi che non ci rendiamo conto che il bosco esiste. Anche questo inculca alle persone la credenza che essi non possono cambiare nulla che il cambiamento viene da qualche elemento esterno che bisogna seguire servilmente. Se la storia è fatta per le persone di potere, allora le masse impotenti, pertanto, devono partecipare al sistema e tentare di girare il timone dell'imbarcazione. Anche le credenze in un Messia o un Dio salvatore dei nostri peccati, partecipa a questo sentimento d’ impotenza. Da dove prendiamo le nostre idee sul presente? Principalmente delle notizie e dai programmi della televisione. La manipolazione dell'opinione pubblica per i mezzi di comunicazione per servire agli interessi dalla classe dominante è un tema a se stante: solo Noam Chomsky, forse è riuscito a farlo capire, l'ha trasformato in tema politico. Attraverso la semantica, la selezione e la pianificazione della bugia, la televisione ci presenta una visione del mondo che rinforza le nostre credenze nella necessità della legge e l'ordine, in un mondo che è ogni volta è migliore grazie alla politica ed il progresso tecnologico, ed assicura alle persone l’ omissione di tutti i fatti che vanno contro l'ideologia dominante. Possiamo identificare tre grandi zone di diffusione di idee: la prima è dei nostri genitori quando siamo bambini, la seconda è l'educazione, la terza è quello che c'offrono i mezzi di comunicazione, è ovvio che lo sono anche cose come le opinioni dei nostri amici, ma sono anche derivate dallo stesso schema. Di questi, l'educazione ed i mezzi di comunicazione occupano il maggiore spazio nella mente. L’ educazione per i figli ha influenza sulla nostra base culturale per ciò che riguarda credenze sulla nostra vita e quella di altri, ma normalmente non riempie il nostro spazio mentale, salvo per fissare obiettivi alla vita come essere "di successo", o sposarsi. Ora, il sistema educativo ed i mezzi di comunicazione, dipendono in larga misura dai governi e dal capitalismo quello che conosciamo come imprese pro-stato o capitalismo corporativo di stato, per ciò, evidentemente, non dice la verità sul sistema capitalista-democratico sotto il quale viviamo attualmente. Il sistema educativo, per essere una gerarchia coercitiva, certamente non può produrre individui liberi. I mezzi di comunicazione, almeno la parte che è controllata dalle grandi corporazioni e dipendenti dell'elite del potere per le fonti delle sue notizie, l'approvazione ed il finanziamento, non possono dire alla gente la verità sullo stato attuale delle nostre libertà. In realtà, si indottrina le persone a credere il contrario. Hanno fatto credere alle persone che viviamo in una società libera e senza classi, che la democrazia e le guerre si giustificano per "la libertà", che la polizia sta lì per proteggerci, che "l'economia" serve ai nostri interessi e che non può esistere senza autorità, che la coesione del gruppo è più importante dei valori e così via. Gerarchie che diventano tanto onnipresenti che non possiamo immaginare la vita senza esse. Quello che è più importante, ci dicono quali avvenimenti attuali sono importanti. Non in maniera diretta, la maggior parte del tempo la passiamo ad ascoltare gli "esperti" o"demagoghi", attraverso la selezione: 1) quello che si mostra, 2) la forma in cui si descrive e 3) quello che si omette. Come ha mostrato Chomsky, il risultato finale è la fabbricazione di consenso in relazione con qualunque politica che si metta sul tavolo, da un nuovo disegno di legge municipale ad una nuova guerra. Non possiamo parlare solo della "fabbricazione" del consenso, bensì di tutto un mondo fabbricato. Ma questa è una realtà fittizia, come abbiamo visto. Non importa come sia il sistema in cui viviamo, i limiti della percezione individuale e le conoscenze sono intrinseche. Il problema è, quanto controlliamo le fonti di questi contenuti?
Per questa ragione, noi anarchici dobbiamo essere molto diligenti nella selezione dei mezzi di comunicazione. La televisione, per esempio, è un'oligarchia di bugiardi che non hanno nessun interesse a dirci la verità e hanno molti motivi per mentirci. Perfino un individuo sospettoso può essere indottrinato vedendo televisione, poiché l'indottrinamento è spesso sottile.

giovedì 19 marzo 2009

Schifosi di Stato!




Leggete, anche, qui: http://lacanzonedelmaggio.blogspot.com/2009/03/dal-cpt-di-corso-brunelleschi-torino.html

mercoledì 18 marzo 2009

Nasce Sinistra e Libertà: Molto niente, poca libertà ma di sicuro un passo avanti


di Domenico Letizia


Nasce Sinistra e Libertà, un movimento politico composto da Verdi, Sinistra Democratica, ‘ rifondaroli ’ moderati, Partito Socialista, ‘ cossuttiani ’ moderati , Critica Liberale e Partito d’Azione, insomma un movimento politico che forse sarà anche un nuovo progetto (politico) che di sicuro merita un’ analisi. Un “Partito” che non voterò, e che non ritengo meriti il voto (come gli altri del resto) nato dal nulla e molto confusamente, ma di aspetti positivi ce ne sono ed è da stupidi non analizzarli o trascurarli. Partendo dalla terminologia vi è una grande ‘rivoluzione’ nella sinistra, non posso che essere d’accordo con il socialista Riccardo Nencini: ‘’La Sinistra ha recuperato il termine Libertà e l'ha riconsegnato a un progetto politico concreto e nuovo, ad un'alleanza che guarda avanti e che ha deciso di affidare ai fatti e alle proposte concrete una sinistra rinnovata e riformista". Vero la sinistra recupera il termine libertà, ed è già molto, sul progetto politico concreto staremo a vedere, penso nulla di speciale ma vedremo. Ancora più importante è analizzare la posizione dei Radicali che all’interno del Pd non possono far nulla, anzi sono trascurati e isolati da un partito che di sicuro non merita la politica radicale e libertaria, Pannella farebbe bene ad aderire a questo progetto che si rivela migliore della politica del Pd, sicuramente rafforzerebbe le istanze libertarie e radicali in economia del tutto assenti e sicuramente renderebbe molto forti, ancor di più, le politiche libertarie civili, ma per il momento da parte di Pannella e radicali vi è un chiaro rifiuto. Sinistra e Libertà è un progetto che avrà e incontrerà molte difficoltà proprio per il suo voler bilanciare istanze libertarie giuste e concrete con politiche economiche di stampo statalista. Un progetto che non merita il voto, ma che, almeno, un commento o una giusta considerazione si.
Vedremo, intanto il mio invito è nuovamente all’astensione.

martedì 17 marzo 2009

LA LIBERTA' E' TUTTO


Il comunicato stampa conclusivo al termine delle iniziative all'esterno della Conferenza Nazionale sulle droghe organizzate dall'Altra Trieste.


CARTA DI TRIESTE: LA LIBERTA' E' TUTTO

Siamo felici di aver costruito uno spazio realmente orizzontale e partecipato.

Venerdì 13, cinquecento persone, cittadini, operatori, consumatori, insegnanti senza sigle ed appartenenze hanno riempito il Teatro Miela per l'Assemblea Plenaria.
Ci rivolgiamo a tutti e a tutte, a chi c'era e a chi non c'era anche se avrebbe voluto esserci ed invece ha dovuto andare alla corte del sovrano.
Siamo all'anno zero. Il dibattito della Conferenza Governativa ci riporta indietro di decenni. La Conferenza di Giovanardi e Serpelloni, blindata da centinaia di poliziotti, come avevamo previsto è stato uno spot di teorie che gli ultimi quindici anni di lavoro vivo degli operatori e delle operartici hanno dimostrato essere false e dannose.
Siamo convinti che quanto è successo al Teatro Miela sia un punto di partenza imprescindibile per ricostruire dal basso una teoria ed una pratica delle politiche sulle droghe e sul welfare partecipate e reali. Il lavoro vivo degli operatori e delle operatrici, messo in rete, può nei prossimi mesi dare corpo ad interventi che mettano al centro la persona.
Ci sentiamo di vivere un nuovo inizio e torniamo al principio: mettere al centro la persona, la sua libertà e la sua indipendenza, il suo diritto inalienabile all'autodeterminazione.
Il potere, il governo, sono forti, anzi fortissimi. Ma noi dobbiamo alzare la testa e metterci in cammino tutti insieme, operatori del pubblico e del privato sociale, utilizzatori e cittadini.
Abbiamo, in questi giorni, discusso del ruolo dell'operatore. La legge ed i processi di potere stanno trasformando i servizi in centrali di controllo. Dentro questa logica dovremo segnalare, controllare, rinchiudere, normalizzare.
Questo è il campo di azione dentro il quale, in rete, nei territori costruire iniziative e pratiche.
La riduzione del danno, in linea con le politiche europee deve avere dignità, insieme a prevenzione, cura e lotta alla narcomafie. I soldi, che sono di tutti, devono essere investiti nella prevenzione e per offrire opportunità alle persone, anziché per controllare e reprimere, ed il servizio pubblico deve essere difeso.
In un Paese con questa legge non si può stare: la Fini-Giovanardi deve essere abrogata.
La persona e le sue scelte devono tornare al centro della questione e lo Stato non deve entrare nelle scelte delle persone.Rivolgiamo un invito a tutte e a tutti per un nuovo appuntamento da costruire insieme per fine maggio a Genova.

Su la testa!
Gli uomini e le donne che hanno fatto l'ALTRA TRIESTE.

domenica 15 marzo 2009

"Droga libera, potrebbe convenire"


Rischiamo di perdere la guerra contro il traffico della droga. Forse è già persa. Lo pensano in molti. Adesso un rapporto della Brookings Institution, supportato da uno studio dell'economista della Harvard university, Jeffrey Miron, sottoscritto da 500 colleghi, sembra arrendersi alla realtà e invita il mondo a cambiare rotta. E se si liberalizzasse la droga, se si strappasse ai cartelli dei narcos il ricchissimo fatturato e si usassero gli introiti per rafforzare i controlli, le prevenzioni, la lotta alla grande criminalità?
La proposta è una provocazione. Proprio nell'anno in cui il proibizionismo riguardo le sostanze stupefacenti compie cento anni. Ma è una provocazione che nasce sull'amara constatazione che la battaglia condotta negli ultimi dieci anni ha portato a risultati deludenti. C'è sempre più droga in circolazione, è cattiva, è pericolosa per la nostra salute; il fiume di denaro è impressionante.
Se il business dei narcotrafficanti rappresentasse il Pil di uno Stato si piazzerebbe al ventunesimo posto della scala mondiale: subito dopo la Svezia. Parliamo di un fatturato di 320 miliardi di dollari l'anno. Di fronte ad un trend che s'impenna, nella recessione planetaria, esistono i rischi di inquinamenti, interferenze, di condizionamenti delle politiche degli stati e della stessa finanza internazionale. Il caso della Guinea Bissau, ormai diventata il nuovo terminale del traffico internazionale di cocaina, è eloquente. Non si uccidono in meno di 24 ore il capo di Stato maggiore delle Forze armate e un presidente senza la complicità di lobby e cartelli che gestiscono un business miliardario. La proposta dei 500 economisti britannici e statunitensi approda sul tavolo dell'Unodc, l'ufficio della Nazioni unite contro la droga, in un momento delicato. Da stamani per una settimana oltre 50 paesi si riuniranno a Vienna per mettere a punto la strategia del prossimo decennio. Siamo ad un passo da una svolta storica?
"Assolutamente no", nega a Repubblica il direttore generale dell'Unodc, Antonio Maria Costa. "Il tema è stato sollevato, ma non c'è alcun paese che lo sta sostenendo. Sono stato io a sollecitare una presa di posizione. I risultati ottenuti finora non sono sufficienti. Ma pensare alla liberalizzazione delle droghe come una soluzione alternativa sarebbe la fine, verremo sconfitti". In un documento di 22 cartelle, l'Unodc lancia la sua proposta: non si tratta di scegliere tra salute (controllo della droga) e sicurezza (lotta alla criminalità). Bisogna agire su entrambi i fronti. Ma il rischio che la ricchezza prodotta dalla droga finisca per colmare la povertà dell'economia legale è altissimo. Alterando i mercati, condizionando politiche, comprando voti, elezioni. Potere. La sfida è titanica. La posta in gioco decisiva.

Ho riportato questo articolo da http://www.repubblica.it/2009/03/sezioni/cronaca/droga-libera/droga-libera/droga-libera.html, io però aggiungerei un grande vaffanculo ad Antonio Maria Costa

Save the date (Ibl)

venerdì 13 marzo 2009

Riapertura Libreria - InfoShop l' Eldo

mercoledì 11 marzo 2009

La Filosofia Della Liberta

Buona, libera e dolce visione:

lunedì 9 marzo 2009

Fondazioni Universitarie? Si, giusto


Sappiamo bene come il conservatorismo autoritario di questo governo che, non dimentichiamolo, ha la presunzione di definirsi liberale, si sta inserendo nella società. Tutti i giornali hanno parlato di scuola, di riforme, e delle ondate di studenti che per le strade hanno manifestato il loro punto di vista.
Un aspetto particolare che ritengo vada analizzato bene è la creazione di Fondazioni Universitarie.
Tutta la sinistra riformista e quella che ora non lo è più, non per scelta (come i rifondaroli ecc..) grida allo scandalo e all’ aziendalizzazione della cultura, certo nessuno può negare che questo governo è ‘‘amico intimo ’’ del capitalismo statalista e dei banchieri di stato, tutti loro sono la casta e in quanto tale si mascherano a vicenda. Ma le accuse della sinistra alla creazione delle fondazioni universitarie sono estremamente stupide. Queste fondazioni consentirebbero la sostituzione allo stato nella gestione (monopolistica) e nel finanziamento delle accademie. Questa della fondazioni universitarie è un’ ottima idea, una buona occasione per ipotizzare fondazioni ad azionariato diffuso. Tutti, i genitori, i ricercatori, chi ha cuore i problemi dell’istruzione e gli stessi studenti possono divenire azionisti. Un università non gestita dallo stato, non gestita dalle grandi imprese ma dalle persone.
Insomma una ricetta autenticamente libertaria.
Un invito alla sinistra: Come si fa a non essere d’accordo?

L'articolo è pubblicato, anche, sul sito di Giulia Innocenzi: http://giuliainnocenzi.com/2009/03/09/fondazioni-universitarie-perche-no/

giovedì 5 marzo 2009

Ci riprovano con Internet

Il settimanale Umanità Nova (http://isole.ecn.org/uenne/) la scorsa settimana ha pubblicato un articolo interessante riguardo le nuove proposte di legge per controllare internet da parte dei mangiasoldi parlamentari intitolato: Sicurezza fa rima con censura. Niente di più vero e giusto, anche Franceso Lorenzetti del Movimento Arancione scrive: Ufficialmente l'emendamento nasce per oscurare i gruppi facebook che inneggiano alla mafia, ma considerato che essi contano poche decine di iscritti non sembra plausibile che questa sia la vera motivazione dell'intervento del legislatore.
Inoltre, va considerato che l'istigazione a delinquere è già perseguibile con gli strumenti legislativi attuali, perciò è lecito pensare che la norma in questione voglia introdurre un principio ulteriore e diverso, di natura censoria e legato a reati d'opinione non tipizzati dal codice penale. Inutile dire che, aperta questa strada, la libertà di tutti è in grave pericolo.

Partendo da queste premesse invito tutti ad aprire gli occhi e armati di controinformazione a diffondere il male di questi anni: la Sicurezza,come riporta l'articolo del settimanale Umanità Nova: SICUREZZA FA RIMA CON CENSURA

Ecco la loro:

martedì 3 marzo 2009

Rothbard o Bakunin?


Rothbard o Bakunin? L'avvenire di un'illusione (di alternativa)
di Luigi Corvaglia

“Nazionalsocialismo o caos bolscevico?” recitava un manifesto che la Gestapo aveva fatto affiggere nelle città tedesche, reagendo però molto male quando qualche ignoto si preoccupò di incollarvi sopra dei foglietti con su scritto “Erdapfel oder Kartoffel?” (“patate o patate?”). Paul Watzslavick, da psichiatra, ci descrive i deleteri effetti prodotti dall’illusione di alternative apparentemente antitetiche ma risultanti, alla fine, entrambe afferenti ad un unico polo di una coppia di opposti più generale.
Nell’ambito ideologico da cui lo slogan citato scaturisce, ad esempio, non si dà una terza possibilità, cosa che fa percepire i due concetti come opposti assoluti. Da un punto di vista “democratico”, però, le due possibilità afferiscono entrambe al polo del totalitarismo, al quale è da contrapporre, quale antitesi, la “democrazia”. I due poli costituiscono, dunque, una meta-coppia di contrari. Searles, d’altro canto, descrive dei pattern comunicazionali che definisce “sistemi per far diventare matto l’altro” e, anche in questo caso, si tratta di creare situazioni in cui il partner comunicativo venga ingabbiato in una situazione di scelta impossibile fra due opzioni solo apparentemente alternative ( tertium non datur). Fatto è che, laddove non si riesca a cogliere una terza possibilità, forse è il caso di guardare meglio. Lo stesso Watzslavick, in una nota del suo “Il linguaggio del cambiamento”, pur temendo che l’indagine potrebbe sfociare nella metafisica, riconosce che una metacoppia di contrari (quali, appunto, dittatura e democrazia) potrebbe, a sua volta, essere iscritta in un unico cerchio concettuale che diventa nuovo estremo di una nuova coppia di opposti di livello superiore. Democrazia e dittatura, infatti, rientrano entrambe nel cerchio della statualità. “Statalismo o antistatalismo?” sarebbe la domanda. All’aumentare del livello concettuale, diminuisce la capacità inibitoria ed ansiogena della proposta. Fermandoci momentaneamente a questo livello e curiosando in uno dei due termini della diade in considerazione possiamo valutare quanto ci si trovi in alto, cioè possiamo chiederci se l’ambito del pensiero antistatale sia scevro da simili trappole logiche. Si direbbe proprio di no. Non è un azzardo affermare che l’elemento di demarcazione più netto fra gli anti-statalisti sia costituito dalla questione del mercato e della (propedeutica) proprietà privata. La domanda, insomma, diventa: “comunismo anarchico o anarco-capitalismo?”. Anche qui si ha l’impressione che ci si trovi in presenza di opposti assoluti e, nell’ambito culturale di riferimento, una volta, cioè, messa fuori dalla competizione l’opzione statale, non sembra darsi una terza possibilità. Chi scrive ritiene, invece, anche questo un esempio di difficile scelta fra patate e patate. Le navate delle chiese anarchiche risuoneranno a questa affermazione delle eco dei gridolini delle vergini violate di cui, si sa, esse traboccano.
Del resto, questa sarebbe la reazione del bolscevico che si vedesse accumunato al nazionalsocialista, ma, dall’alto del meta-livello, gli uomini si vedono molto piccoli e si assomigliano molto più di quanto non si direbbe guardandoli da quella distanza alla quale, si dice, “nessuno è normale” . Entrambe le categorie considerate (anarchici tradizionali e “libertarians”), infatti, presentano analoghe caratteristiche di integralismo e conseguente cecità selettiva alle caratteristiche omologhe (o “omologabili”) dell’altra proposta. L’abolizione della proprietà o la sua estensione diventano la panacea di ogni male. Ognuno utilizza la propria concettuale cassetta degli attrezzi per fronteggiare qualunque tipo di avversità.
Come diceva Mark Twain, “quando disponi di un martello tutti i problemi ti sembrano chiodi”. Utilizzando la terminologia dell’epistemologo Lakatos, possiamo dire che a difesa del proprio “nucleo metafisico” i partigiani di entrambe le posizioni utilizzano molte “euristiche negative”, cioè dei processi logici volti a salvaguardare la propria teorizzazione dalle invalidazioni, e pochissime “euristiche positive” volte a modificare la propria concezione al fine di inglobarvi gli elementi di realtà contrastanti. La consapevolezza di questo stato di cose muove quindi i fautori dell’ “anarchismo analitico” ad una revisione del pensiero e dell’azione anti-statale. La definizione è ripresa dal “marxismo analitico” (Cohen, Elster, ecc.), la scuola di pensatori tesa ad una analisi concettuale rigorosa dei fondamenti generali e dei micro-fondamenti particolari della visione marxista per produrre una proposta dotata di coerenza interna, chiarità espositiva e rigore intellettuale. Simile l’intendimento di questi anarchici critici. Un’opera questa che comporta il far pervenire alla coscienza il fatto che l’utopia anarchica classica si scontra con molte contraddizioni, la prima delle quali è nel fatto che è una concezione della libertà che, non tollerando altro da sé, si basa su un principio anti-libertario. In altri termini, un’organizzazione comunista, se vuol dirsi davvero non autoritaria, non può non ammettere il diritto di exit e la secessione individuale, consentendo la produzione separata e autonoma di forme organizzative alternative. Tuttavia, se così è, il comunismo anarchico finisce col negare sé stesso, consentendo il riprodursi del mercato e della concorrenza. D’altro canto, questo lavoro significa anche considerare che l’anarco-capitalismo rothbardiano tende ad identificare il mercato col capitalismo storico ed a presentare quest’ultimo come antagonista dello stato, piuttosto che come il prodotto della deformazione che lo stato produce sul mercato. Mercato, quindi, è qui termine da intendersi quale confronto, scambio, concorrenza, non solo e non tanto di beni, ma anche di idee, concezioni, stili di vita, pretese ed aspettative, è parola che sta a significare l’autopoietico organizzarsi, l’ acefalo processo dal quale è sempre scaturito tutto ciò che naturalmente regge al tempo fra le creazioni umane: le lingue, i costumi, i sistemi simbolici di scambio, il diritto consuetudinario, e così via. La proposta di questo “nuovo”, ma in realtà vecchissimo, anarchismo prevede quindi il recupero dello spirito “laico” e genuinamente “liberale” che informa da sempre il pensiero libertario meno perso dietro alle chimere dell’organicismo mitico di quel “popolo” uniformemente senziente ed agente su cui ironizzava Berneri. Tertium datur.
Certo, per alcuni anarchici duri e puri che conoscono Proudhon per sentito dire e che credono che Malatesta e Fabbri fossero dei comunisti e non degli apologeti del commercio, del confronto e della libera sperimentazione, la sole parole “mercato” e “liberale” sono in grado di elicitare anatemi e scomuniche. Korzybski sta però lì a ricordarci che la parola cane non morde. Altrettanto fanno gli anarchici analitici. In definitiva, la questione, al meta-livello, diventa “ottusità ideologica o analisi critica?”. E così parlando ci siamo allontanati dal campo di patate.

Da: http://tarantula.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=1127164

domenica 1 marzo 2009

RIVOLUZIONE O ANTITRUST?


Mentre in Europa il sogno della rivoluzione conquistava menti e cuori di marxisti e anarchici, i libertari americani si occupavano di antitrust... Risponde Pietro Adamo.
Nel tardo Ottocento e nel primo Novecento, a dividere la sinistra rivoluzionaria, prevalentemente europea, dalla sinistra -di matrice liberale- riformista in senso libertario, prevalentemente americana, fu essenzialmente il diverso modo in cui queste guardavano alla società. All’epoca si sarebbe detto il modo in cui si giudicava la società, anche se noi, oggi, possiamo anche dire il modo in cui, nel senso più lato, si giudica l’Occidente. In Europa, il mondo del capitalismo avanzato, della società borghese, della produzione e del consumo, era visto come qualcosa di estremamente negativo, quasi come il male che alligna nella storia e che, quindi, bisognava eliminare; cosa ottenibile soltanto con una rigenerazione totale, cioè con una distruzione che non lasciasse alcuna via di scampo all’esistente e, conseguentemente, con una ricostruzione che non poteva che ripartire dalle radici. Al contrario, la sinistra libertaria americana guardava alla società del capitalismo avanzato, dello stile di vita borghese -che all’epoca tendeva ad allargarsi anche verso ceti sociali che borghesi non erano-, non tanto come ad un qualcosa di positivo in sé, quanto come ad un qualcosa di positivo nel suo costrutto di fondo. Quello che, cioè, i libertari americani scorgevano nella società dell’Occidente avanzato era la potenzialità che questa stessa società aveva di essere migliorata, quindi di portare verso una società migliore e più giusta. Quindi, mentre in Europa si riteneva che l’esistente dovesse essere distrutto fin dalle radici, perché in esso non ci sarebbe stato nulla di buono, in America si tendeva a guardare a questo stesso esistente scorgendone i lati positivi, cioè gli aspetti che sembravano poter permettere una libertà maggiore, maggiori possibilità per gli individui, tramite il meccanismo della concorrenza. Penso che sia da queste differenze che si origina il sostanziale riformismo dei libertari americani, ma non solo, perché anche in Europa, in una certa sinistra, anche socialista e anarchica (ad esempio lo spagnolo Ricardo Mella), vi era un afflato riformistico o “migliorista” radicale, cioè vi erano degli sperimentalisti, vi erano coloro che rifiutavano l’ethos della rivoluzione perché ne comprendevano la dinamica più vera, cioè, semplificando moltissimo, quella giacobina che porta al terrore.I libertari americani (fra loro, comunque, anche assai diversi) sono stati un momento molto creativo nella filosofia politica moderna, e questo non solo per le loro proposte politiche. Alla metà dell’Ottocento, ad esempio, Lysander Spooner certamente pensava potesse essere allargato il “modello far west”, cioè una società di piccoli agricoltori, o di piccoli imprenditori, in grado di reggersi da soli -con la loro famiglia, la loro impresa-, proprio perché erano autonomi, liberi, sul territorio. Questo era, in fondo, un ideale che risaliva ai jeffersoniani del secolo precedente; era l’ideale, appunto, di una nazione di agricoltori indipendenti e autonomi che potevano benissimo costruirsi una società libera per loro conto, senza alcun bisogno di avere rapporti strutturati con l’esterno. Certo, in questa visione c’è molto di ingenuo, infatti non ha saputo fare i conti con ciò che è venuto dopo, cioè col fatto che il mondo capitalista si è invece allargato nella direzione opposta, nel senso di un’ulteriore strutturazione e stratificazione sia a livello sociale sia nella costruzione del potere. Nei primi decenni del Novecento, quindi in una situazione di capitalismo già più strutturato, William Greene, Joseph Labadie o Benjamin Tucker (che pure, alla fine della sua vita, arriverà quasi a dire che il capitalismo è irriformabile e quindi va distrutto), sosterranno invece che nell’Occidente avanzato vi sono i germi di una libertà possibile, ed è su questi che bisogna lavorare. Per questo scartavano a priori l’ipotesi rivoluzionaria che, secondo la loro esperienza, la loro lettura del moderno, porta irresistibilmente verso la dittatura, il terrore, la ghigliottina giacobina, eccetera. Questi non pensavano più all’ideale un po’ conservatore dell’agricoltore indipendente, ma situavano la loro analisi nelle grandi città, nei grandi centri urbani e industriali del nord, e insistevano sulla questione della proprietà non in relazione al pezzo di terra, ma in relazione al modo in cui, ancora oggi, la intendiamo noi, cioè la proprietà della casa e dei mezzi di produzione. Da qui la loro insistenza, in nome dell’ideale di autonomia sul mercato del produttore e del consumatore, sulla necessità di evitare il monopolio. Non a caso tutti questi fanno quasi sempre riferimento a Proudhon. Tucker tradusse in inglese Che cos’è la proprietà e altri scritti di Proudhon, e tuttora, in America, il mutualismo proudhoniano è una tendenza molto forte. Da queste basi nasce ovviamente la loro insistenza sull’antitrust, che però non è visto come una “sanatoria” del capitalismo, ma solo come uno degli strumenti per ostacolare la tendenza capitalistica al monopolio. La loro azione principale, infatti, era indirizzata nel senso di approntare una serie di strutture che evitassero la costruzioni di monopoli nelle sfere più importanti della vita: la terra, la rendita, il lavoro, lo scambio. L’idea centrale era quella che una società libera è una società basata su una concorrenza non viziata dal mercato o, potremmo dire ancora di più, su una concorrenza che deve essere mantenuta tale anche a costo di litigare con il mercato stesso, perché, appunto, il più grande contributo teorico di Proudhon alla teoria economica è stato proprio quello di avere avvertito, molto prima di Marx e con maggiore acume di Marx, che in realtà il meccanismo reale del mercato -il mondo degli uomini reali e non quello delle fantasie degli economisti- avrebbe portato ad accentramenti e a monopoli, piuttosto che a libertà e concorrenza. Come si diceva prima, queste posizioni dei libertari americani portarono a delle polemiche con gli europei. Tucker litigò, in una polemica durata 30 anni, con tutti i comunisti e gli anarco-comunisti europei presenti negli Stati Uniti, ed anche con quelli che stavano in Europa. Non a caso diceva che Piotr Kropotkin, uno dei principali teorici dell’anarco-comunismo, non era un anarchico né un libertario, ma era soltanto un comunista rivoluzionario. Ebbe anche una polemica con Johann Most, un comunista libertario tedesco emigrato negli Stati uniti, dove era divenuto uno dei leader delle tendenze rivoluzionarie.La polemica fu gravissima, riguardò un po’ tutto, anche aspetti etici. Tucker, per fare un esempio, era assolutamente contrario al principio per cui “i panni sporchi si lavano in famiglia”, quindi, quando venne a conoscenza del fatto che alcuni illegalisti vicini al circolo di Most attuavano, in combutta con dei dipendenti di una società di assicurazione, la pratica dell’incendio doloso, non solo denunciò pubblicamente sul suo giornale (il “Liberty”) tale attività, ma invitò anche tutti gli anarchici dotati di buon senso a fare esattamente la stessa cosa. Una posizione di questo tipo, nei movimenti rivoluzionari, fra gli anarchici, è impensabile a tutt’oggi: riuscite ad immaginarvi qualche anarchico dei giorni nostri denunciare su un giornale anarchico, con nome e cognome, qualcuno che sa essere coinvolto in qualche banda di “anarco-insurrezionalisti”? Mi sembra comunque che l’esperienza dia sostanzialmente ragione a Proudhon, ai proudhoniani e ai libertari americani, nel senso che, siccome il mercato ideale, quello vagheggiato da Marshall, da tutti i marginalisti e dai neo-marginalisti, non esiste, ed esistono invece gli uomini veri, avendo a che fare con essi, che non sono perfetti come li vorrebbero gli economisti, bisogna tener conto che molto spesso la liberalizzazione fatta senza pensiero, senza riflessione, conduce proprio a forme di monopolio. Per comprendere questo non è che uno deve andare all’America degli anni ‘90 dell’Ottocento, gli basta stare nell’Italia di oggi, e pensare a come è stata fatta la liberalizzazione dell’etere, che invece di far nascere un mercato libero ha creato un duopolio, se non un monopolio mascherato.

Dal mensile: Una Città

"Il mio identikit politico è quello di un libertario, tollerante. Se poi anarchico l'hanno fatto diventare un termine orrendo... In realta' vuol dire solo che uno pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia, le stesse capacità" ( Fabrizio De André )