SITO ANARCOLIBERALE A CURA DI DOMENICO LETIZIA. Laboratorio per un Neo-Anarchismo Analitico che sia Liberoscambista, Volontarista, Possibilista e Panarchico con lo sguardo verso i valori del Liberalismo Classico, del Neo-mutualismo e dell'Agorismo. Un laboratorio che sperimenti forme di gestione solidali, di mercato dencentralizzato e di autogestione attraverso l'arma della non-violenza e lo sciopero fiscale, insomma: Disobbedienza Civile

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domenica 28 marzo 2010

PNV e ..... bravo Luca!

giovedì 25 marzo 2010

L’autodeterminazione dell’individuo: base di tutte la libertà


Un analisi partendo dal pensiero di Michel Foucault

di Domenico Letizia

La violenza dello stato in ogni suo aspetto ha un punto di partenza: quella della proibizione sociale. Questi sono anni dove il personale svilupparsi dei propri corpi, della propria libertà di scelta sono messi in discussione anzi, a decidere per il bene della singole scelte e del proprio benessere deve essere sempre lo stato.
L’Italia è il paese dove ogni singola scelta che riguarda il proprio intimo, il proprio corpo, l’dea religiosa o filosofica della vita non conta, conta solo la legge non importa che sia imposta da forze clericale, populiste e assolutamente anti-individualiste, insomma lo stato nel colpire e imporre la propria ‘coercizione sociale’ parte dall’individuo, dal corpo e dalla salute dell’individuo. Il cambiamento lo si nota anche nelle terminologie, quello che una volta era il ministero della sanità ora è il ministero della salute, come se la salute fosse un qualcosa di statale e non di intimamente privato.
Foucault ritiene che le istituzioni sotto il nome di ‘assistenza pubblica’ costituiscono forme di controllo, orientate alla normalizzazione dei diversi ( possiamo dire dei non conformi al catalogo dei buoni cittadini redatto dallo stato o per coloro che hanno atteggiamenti alternativi soprattutto in ambito sessuale)
Anzi per Foucault il controllo della sessualità, e al tempo stesso produzione della sessualità, mostra che il corpo è un punto di attacco privilegiato del potere: ‘Il sesso diventa il punto centrale per un potere che si organizza intorno alla gestione della vita piuttosto che intorno alla minaccia della morte’.
Ecco perché ritengo che per una ripresa culturale e politica del pensiero libertario, contro l’attacco della cultura imposta dallo stato, sia indispensabile per ogni libertario diffondere e occuparsi di tematiche considerate individuali, diffondere libertà di scelta e autodeterminazione dei propri corpi.

Pubblicato sulla Rivista libertaria Cenerentola, Marzo 2010

mercoledì 24 marzo 2010

CRISI ECONOMICA ED SETTORE URBANISTICO


di Domenico Letizia

Pecca tutta Italiana è quella che nelle discussioni politiche siano esse economiche o riguardanti questioni civili e democratiche vi è sempre molta ideologia, di quelle più dogmatiche e becere. Lo si è notato nel dibattito attuale e post-crisi tra mercato e stato. Con un trionfo dello Statalismo direi, statalismo assistenziale, clientelare e coorporativista, insomma quella che da decenni è il metodo di gestire la politica in Campania.

Nel Casertano come nel Napoletano la crisi economica ha cambiato le misere prospettive presenti, giustificando, stesso con l’appoggio dei cittadini, l’estendersi minaccioso del potere politico. L’unica alternativa è il far ritornare almeno tra i dibattiti una sana infarinatura di fantasia liberista e libertaria e in Campania si potrebbe partire dalla gestione dell’urbanistica combattendo la stupida pianificazione che da anni ha appesantito il territorio, diamo spazio, insomma, all’individuo e al pensiero dell’individuo.
Non si tratta di Utopie o di sogni o di chi sa quale progettazione politica per arrivare a questo sistema gestionale per l’urbanista e non solo direi, esperienze vi sono storicamente confermate, come nella Gran Bretagna di inizio Ottocento in cui l'iniziativa privata nella gestione della città ha dato buona prova anche in questo campo che tradizionalmente viene considerato come riservato allo stato.
Si tratta insomma di dare spazio ad una fantasia produttiva e liberale, riscoprendo metodi di gestione urbanistica che sognavamo ma che la storia ci ha consegnato come esempi cui ispirarsi. La vera vittoria consisterebbe, anche, nell’abbattere finalmente le clientele che dietro questo statalismo coorporativista vivono e fanno vincere le elezioni sempre ai soliti noti siano essi di destra o di sinistra.

( http://www.movimentolibertario.it/index.php?option=com_content&view=article&id=4493:crisi-economica-ed-settore-urbanistico&catid=1:latest-news )

lunedì 22 marzo 2010

Roberto Bertoldo e l’anarchia


Carlo Luigi Lagomarsino

Roberto Bertoldo e l’anarchia

Cosa abbia spinto Roberto Bertoldo a dedicare un libro all’anarchia (Anarchismo senza anarchia. Idee per una democrazia anarchica, Mimesis, 2009) per tentare di fornirne, evitando le pieghe sentimentali, una definizione accettabile è da ricercare a mio parere nell’ambizione di dare uno sviluppo coerente alle idee che aveva espresso in altri lavori e soprattutto nei saggi di Nullismo e letteratura (1998). In quei saggi tuttavia si leggeva, seppur in forma eccentrica quanto pervasiva, un riferimento privilegiato ad Albert Camus il quale stranamente in Anarchismo senza anarchia (Mimesis, 2009) è nominato appena e per giunta in nota. Che poi quel riferimento lo si possa ritrovare vivificante anche nei sotterranei di questo nuovo libro è un altro discorso.

Ciò che più sembra aver interessato Bertoldo è palesemente il prendere in esame la vasta letteratura anarchica, individuarvi ciò che gli sembrano dei limiti sia concettuali sia operativi, azzardarne una classificazione e porre tutto in relazione alla visione niente affatto ortodossa che si è venuto formando attraverso vecchie consuetudini e nuove riflessioni. Probabilmente i maggiori punti di contatto si dovrebbero cercare fra quegli autori anglosassoni che, come Colin Ward, seppure pubblicati e ripubblicati, non trovano veri e profondi riscontri teoretici nella galassia (o nelle galassie, se si preferisce) dell'anarchismo continentale. Allo stesso tempo Bertoldo rifiuta come “finti anarchici” quei “libertarian” “free market” americani legati alla “scuola economica di Vienna” - in particolare, ovviamente, Rothbard - sui quali l'analisi, nelle pagine conclusive del libro, si fa sofisticata e allo stesso tempo appena suggerita, per quanto con degli argomenti la cui”apertura” possa somigliare a una “chiusura” (come se dire e suggerire si equivalessero) che l'impoverisce nell'opposizione – che nel contempo può richiamare proprio Camus – fra l'utilitarismo (la “malvagità dell'anarcocapitalismo”) e l'umanitarismo.

Non si può tuttavia rinunciare a pensare che la stessa accusa di un camuffamento attraverso l'evocazione dell'anarchia possa essere indirizzata a Bertoldo per quella che è la sostanza del suo libro. Poco incline all'anarchismo della tradizione bakunista, perplesso di fronte a quello “ecologista” di Bookchin, avverso alla “finzione” anarcocapitalista, Bertoldo sceglie infatti la via di un anarchismo nella democrazia, ma non attraverso la prevedibile idea di un democratismo radicale tutto da inventare, bensì attraverso la sua definizione formale, vale a dire attraverso la democrazia conosciuta. Cosa che fa pensare - seppure ridotto a pura gestione della ricchezza sociale di un'umanità che dovrebbe essere comunque sempre libera di scegliere - allo Stato democratico. Si può immaginare come le frange sentimentali dell'anarchismo, che pure non hanno disdegnato di arruolare un eccentrico come Francesco Saverio Merlino nel proprio pantheon, insorgano contro tale visione. Ciò nondimeno il retro testo di questa visione è possibile interpretarlo come una forma di ortodossia, persino di “collettivismo anarchico”. In questo caso il merito di Bertoldo è sia di aver letto l'anarchismo attraverso le sue ambiguità e aporie, sia di averlo pensato in concreto attraverso esiti formali.

Se nel liberalismo lo Stato non deve mettere naso nell'economia e limitarsi alla difesa di regole e persone, nella visione di Bertoldo dovrebbe prosciugarsi della “politica” per rimanere un semplice magazzino di risorse così da poter aver cura dei bisognosi (e qui si può avvertire l'eco de La conquista del pane di Kropotkin). Il discorso dell'”uguaglianza” democratica si sposta dunque sulle differenze personali per tornare a un'uguaglianza non semplicemente formale. A questo punto la dialettica fra il detto e il suggerito si ripresenta – ma questa volta in modo più equilibrato ed esplicito - nell'analisi che Bertoldo fa dei concetti di individuo, libertà e proprietà – quest'ultima distinta dal possesso. Nelle pagine relative, poste alla fine del primo terzo del libro, Bertoldo – casomai i concetti fossero vaghi, per non dire ambigui, come in effetti sono – mette in atto una assai stretta concatenazione di idee al fine di essere il più preciso possibile, malgrado la consapevolezza della difficoltà. In un certo senso tutto ciò che ho fin qui definito la visione di Bertoldo - suffragata per giunta da un tono assertivo che nelle finali “considerazioni a latere” assume addirittura l'aspetto delle Tesi - è sottoposto di continuo all'azione di forze centrifughe, come la pensosità all'umorismo. Lo è tanto che solo adesso mi accorgo di quanto fosse già indicativo – di serietà e umorismo, di riflessivo e da riflettere - il titolo del libro.

sabato 20 marzo 2010

Quelli della Cecilia


di Raùl Zecca Castel

Per quattro anni, il tempo che durò in Brasile la Colonia Cecilia, dal 1890 al 1894, più di 250 persone arrivarono a mettere in pratica una convivenza improntata sul volontarismo, sul mutualismo, sulla solidarietà, sull’assemblearismo, su tutti quei presupposti teorici che sono la base dell’anarchismo.
Quando si tratta di socialismo libertario si ha direttamente a che fare con la questione dell’organizzazione dal basso della società. E parlare di organizzazione dal basso significa inevitabilmente porre al centro del discorso l’invito a pensare un drastico sovvertimento delle dinamiche socio-politiche così come siamo soliti intenderle. Ecco che lungo questa nuova linea direttiva, lungo questo invito al pensiero, che solo a prima vista risulta esclusivamente teorico, speculativo, è in realtà anche possibile individuare vicende storiche in cui tale componente anti-gerarchica è effettivamente esistita ed ha costituito il terreno fertile su cui gettare i semi di un nuovo ordinamento sociale, un nuovo avvenire.
L’esempio forse più significativo è da accreditare all’esperienza comunitaria messa in pratica nell’ultimo decennio del XIX secolo in Brasile dall’anarchico pisano Giovanni Rossi, ovvero l’esperienza della colonia Cecilia.
L’importanza storica della Cecilia è ancora oggi facilmente riscontrabile non solo sui luoghi dove essa sorse più di un secolo fa, ma in tutto lo stato del Paranà, regione meridionale del Brasile, e addirittura anche a San Paolo, dove è accertato che tra i promotori e sostenitori del primo grande sciopero che nel 1917 paralizzò la capitale economica del paese vi erano diversi membri dell’ormai disciolta comune italiana. D’altra parte vi è ormai l’assenso degli storici brasiliani nel riconoscere nella Cecilia le radici di quella nuova coscienza che avrebbe portato nel giro di pochi anni alle grandi lotte e rivendicazioni sociali. Senza dimenticare infine che furono proprio gli ex-coloni a fondare i primi giornali di matrice anarco-comunista che si potevano leggere nella zona agli inizi del secolo scorso, contribuendo notevolmente alla diffusione delle idee socialiste.
Detto questo non c’è da meravigliarsi se il nome di Giovanni Rossi e della colonia Cecilia resta ai margini, se non addirittura escluso, dalla storiografia italiana. Ritengo che l’efficace opera di rimozione che ha investito tale vicenda è da ascrivere all’incomprensione che sin dall’inizio ne ha accompagnato il suo evolversi. La proposta di Rossi di costituire una comune socialista era stata osteggiata non tanto dalla destra nazionale, che restava estranea ed indifferente ad un dibattito di questo tipo, ritenendo il proposito di Rossi per nulla pericoloso, quanto piuttosto dagli stessi esponenti del socialismo e dell’anarchismo italiano.


“Rossi un disertore” firmato: E. Malatesta


Andrea Costa, fondatore del Partito Socialista Rivoluzionario Italiano e primo deputato socialista del parlamento italiano, aveva inizialmente fatto intendere di appoggiare il progetto di Rossi – con il quale fra l’altro intratteneva un fitta relazione epistolare –, ma quando era arrivato il momento di passare ai fatti si era improvvisamente tirato indietro sostenendone il carattere utopistico e giudicando dunque inopportuno procedere lungo tale via ritenuta un binario morto.
Errico Malatesta da parte sua non aveva usato mezzi termini: a suo giudizio Rossi era un disertore e la realizzazione di una comune avrebbe significato un’inutile sottrazione di forze a quella che riteneva la vera ed imminente rivoluzione sociale. Non c’era dunque spazio per quelli che aveva definito inutili esperimenti da dilettante di socialismo monastico, elitario, e aveva sentenziato: “Se Rossi vuole fare i suoi esperimenti li faccia pure, ma lasci stare i socialisti, i rivoluzionari, e raccolga dei poveri lavoratori, i più degradati, abbruttiti, e faccia il nobile tentativo di elevarli a dignità umana. I rivoluzionari restino al loro posto di battaglia”.
L’incomprensione in cui si era imbattuto Rossi e che lo aveva lasciato solo nel suo proposito stava proprio nel fatto che nessuno aveva saputo cogliere le sue vere intenzioni. Rossi non era un politico, né tanto meno un ideologo, o almeno mai si sarebbe presentato come tale. La rivoluzione, nei termini in cui ne parlava Malatesta, gli interessava ben poco in realtà. Egli si sentiva ed era a pieno titolo uno scienziato. Non a caso i suoi studi si erano da sempre rivolti al mondo naturale. Professionalmente era agronomo e veterinario, e fino alla sua partenza per il Brasile aveva sempre esercitato come tale.
L’interesse per la politica discendeva direttamente da quello per le scienze naturali. Essa rientrava nei suoi interessi poiché positivisticamente intesa come scienza, ovvero come quella scienza che si occupa della migliore organizzazione sociale possibile. È solo partendo da questo presupposto che si può comprendere come Rossi fosse convinto della necessità di applicare al socialismo i metodi e i criteri d’indagine scientifici utili a stabilirne l’efficacia. Secondo Rossi, la politica, e dunque il socialismo, in quanto scienza, doveva essere in grado di risolversi, con successo o meno, attraverso prove empiriche sperimentali, alla pari di qualsiasi altra disciplina scientifica.

Le ragioni dello sperimentalismo


Conviene forse che sia lo stesso Rossi a spiegarsi meglio con le sue parole, a chiarire cioè quale fosse il suo vero intento:

Come in un laboratorio fisiologico si pongono pochi soggetti in condizioni varie, onde studiarne sperimentalmente le funzioni per poi estendere a tutti i risultati conseguiti su i pochi, determinando in tal modo le leggi naturali che reggono la vita, così vorrei che in uno Stabilimento sperimentale ci riunissimo alcune centinaia di cultori devoti degli studi sociali [...] nell’intendimento più serio di studiare quale grado di sviluppo abbia raggiunto questa tendenza naturale che è la sociabilità [...] dimostrando così quali forme di vita sociale, per essere più consentanee all’indole umana, vere realtà naturali, si impongono come prototipo alla civiltà moderna.

Già da queste poche parole, da queste brevi frasi, si capisce dunque come l’impianto teorico di Rossi non fosse tanto politico quanto, a mio parere, di tipo socio-antropologico. La domanda fondamentale che assilla il suo fare è quella circa la natura dell’umano. Che cos’è l’uomo?, si domanda. Il suo vero proposito difatti stava proprio nello studio delle potenzialità umane, nell’indagarne le capacità relazionali.
Di qui lo sperimentalismo, ma soprattutto l’anarchismo. Un anarchismo sui generis che in Rossi si dimostra più metodologico che ideologico. L’anarchismo di Rossi non è mai stato così lontano dall’essere un fine. Esso, al contrario, è un mezzo, uno strumento, la condizione di possibilità necessaria per mettere alla prova l’uomo, proprio come in un laboratorio nel quale l’essere umano si presenti allo stato puro, cioè naturale – secondo la terminologia propria di Rossi –, privo di quelle strutture e sovrastrutture che nel corso dei secoli si sarebbero cristallizzate in istituzioni e convenzioni ormai date per scontate come la famiglia, la società, la proprietà privata, il denaro e così via.
Resta inteso che tale prospettiva rientra già di per sé in un orizzonte anarchico. E Rossi d’altra parte si dichiarò sempre tale.
Alla luce di tutto ciò ecco allora che la colonia Cecilia si presenta come l’occasione perfetta per un’indagine di questo tipo, per un organizzazione della vita sociale che faccia a meno dei rapporti di potere fino ad allora conosciuti, a favore cioè di una reale organizzazione dal basso, anarchica nel vero senso etimologico del termine.
Per quattro anni, il tempo che durò la colonia, dal 1890 al 1894, più di 250 persone arrivarono a mettere in pratica una convivenza improntata sul volontarismo, sul mutualismo, sulla solidarietà, sull’assemblearismo, su tutti quei presupposti teorici che sono la base dell’anarchismo, senza mai fare ricorso a norme organizzative di alcun tipo, compromessi elettorali o procedure di delega.
Come lo stesso Rossi conferma,
il gruppo volle essere assolutamente inorganizzato. Nessun patto, né verbale né scritto, fu stabilito. Nessun regolamento, nessun orario, nessuna carica sociale, nessuna delegazione di poteri, nessuna norma fissa di vita o di lavoro. La voce di uno qualunque dava la sveglia agli altri; le necessità tecniche del lavoro, palesi a tutti, ci chiamavano all’opra, ora divisi, ora uniti; l’appetito ci chiamava ai pasti, il sonno al riposo.
Detto questo si potrebbe essere indotti a pensare tale micro-società come l’isola felice del socialismo libertario, una sorta di paradiso terrestre dove la vita scorre felice e senza problemi, in perfetta simbiosi con la natura e con gli altri membri della Cecilia. In realtà è evidente che le cose non stavano proprio in questo modo. Diverse difficoltà gravavano sulla vita dei coloni, sui loro rapporti interni e soprattutto sui loro rapporti con l’esterno. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, Rossi stesso indica quelle che a suo parere sono state le maggiori difficoltà per la buona riuscita dell’esperimento.
In sintesi si può parlare di un forte conflitto con la vicina e preesistente comunità polacca, fortemente cattolica e dunque poco accogliente nei confronti dei costumi dei nuovi arrivati. Si deve tener conto degli inevitabili attriti con il clero locale, anch’esso evidentemente ostile alla condotta dei coloni - e questo per ovvi motivi, primo fra tutti il dichiarato ateismo degli anarchici, che tra l’altro era la causa per la quale veniva negata loro la sepoltura nei cimiteri. Si deve quindi fare riferimento all’ostracismo che le autorità politiche locali attuarono nei confronti delle attività agricole dei coloni, vessate da sempre maggiori imposte ed infine alle obiettive difficoltà economiche e logistiche cui dovevano far fronte i coloni per reperire il materiale necessario ai lavori agricoli.

Come se tutto ciò non fosse abbastanza, nell’arco dei 4 anni, si verificò anche una grave epidemia di difterite che colpì a morte diversi membri della comune.
Il tutto evidentemente in un contesto di estrema povertà ed indigenza che non dava adito ad illusorie speranze.
Per quanto riguarda invece i problemi interni alla colonia, legati proprio al nuovo stile di vita condotto, questi erano tutti da ricondurre ad un unico motivo: la teoria dell’amore libero, fortemente esaltata e propagandata da Rossi ma ben poco condivisa dal resto dei membri della Cecilia, che in alcuni casi si erano dovuti rassegnare a spartire con altri l’amore per la propria donna, pur di non rinnegare quello che per Rossi costituiva probabilmente uno dei capisaldi teorici più importanti dell’anarchismo, fulcro di tutta la sua concezione libertaria.
In questo caso, l’obiettivo polemico di Rossi era l’istituzione familiare. L’amore libero ne era semplicemente la conseguenza. Il suo interesse stava nella demolizione della famiglia intesa proprio come istituzione politica, luogo genetico del sistema sociale, embrione di tutti quei mali che la società futura non avrebbe potuto fare a meno di manifestare amplificandone i difetti.
Lungo questa prospettiva Rossi giunge ad analizzare il fenomeno familiare da un punto di vista economico, riconducendo le responsabilità dello sviluppo e del sostegno del regime capitalistico proprio all’interno delle relazioni di famiglia. Ecco perché la questione dell’amore libero è fondamentale per Rossi. Vi è, a suo dire, un bivio insormontabile cui deve far fronte ogni organizzazione sociale: da una parte la famiglia, e dunque un egoistico sistema di convivenza basato su rapporti capitalistici; e dall’altra il libero amore, dunque il socialismo, la solidarietà, la libertà. Non da ultimo, tale forte critica all’istituto familiare, che dunque implicava l’amore libero come conseguenza logica e necessaria, esprimeva l’istanza di una rivendicazione di genere, ovvero quella dell’emancipazione femminile.
In realtà, però, c’è da dire che nessuno di questi motivi fin ora elencati risulta tanto decisivo per lo scioglimento della comune quanto la volontà stessa di Giovanni Rossi. Difatti, nonostante il definitivo scioglimento avvenga solo nel 1894, già un anno prima Rossi aveva dichiarato che ai fini scientifici l’esperimento poteva dirsi concluso. Si può dire che per Rossi era passato abbastanza tempo da consentirgli quello studio sperimentale sulla natura umana, sulle sue inclinazioni e potenzialità che costituiva il vero proposito dell’esperimento.

Il merito della Colonia

L’obiettivo dell’esperimento difatti non era stato che questo. Fortemente polemico nei confronti di coloro che sapeva avrebbero colto nel termine dell’esperimento un motivo per ricavarne la natura fallimentare del proposito e screditarne la sua operazione, a scanso di equivoci, scrive Rossi:

Alcuni hanno creduto che noi siamo venuti qua a fabbricare il campione, lo specimen della società futura, per presentarlo poi, brevettato o no, all’umanità, onde all’indomani della rivoluzione sociale non avesse altro fastidio che ordinarne la fabbricazione all’ingrosso. [...] Ma noi non siamo venuti a fabbricare il puerile specimen. [...] non siamo venuti a sperimentare l’anarchia, né a tentare la miniatura della nuova società. [...] Nessuno di questi propositi fu ed è il nostro. [...] il nostro proposito non è stato l’esperimentazione utopistica di un ideale, ma lo studio sperimentale – e per quanto ci fosse possibile rigorosamente scientifico – delle attitudini umane in relazione a quei problemi.

E i problemi cui si riferisce Rossi sono evidentemente quelli relativi all’ambito politico, qui inteso come luogo nel quale si esplicano i rapporti sociali di convivenza. Sono i problemi che fanno riferimento all’ordinamento gerarchico dello stato e a tutto ciò che ne consegue in termini di libertà e possibilità di partecipazione diretta dell’individuo alla vita politica e civile.
Problemi che evidentemente non si sono certo esauriti nel corso di quest’ultimo secolo e che anzi, in modalità sempre più diverse e talvolta aggressive, si ripropongono quotidianamente all’attenzione di ognuno di noi, invitandoci a ripensare i rapporti di potere che regolano le nostre vite.
E il merito della colonia Cecilia, a prescindere dalla sua dimensione ingenuamente scientifica e sperimentale, che resta però perfettamente comprensibile all’interno della cultura positivista del tempo, sta proprio in questo; da una parte nell’aver proposto un esempio concreto di alternativa possibile, lungo quel tentativo, sempre nobile, che è l’impegno per la costruzione di una società migliore; e dall’altra nell’aver effettivamente rappresentato un terreno fertile per quei semi che paradossalmente si sarebbero schiusi solo con la morte della Cecilia, per germogliare anni più tardi con le prime conquiste sociali in cui ebbero un ruolo attivo gli ex-membri della comune italiana.
A questo proposito, per concludere, vorrei leggervi un’ultima citazione di Miguel Sanchez Neto, docente di letteratura all’Università Statale di Ponta Grossa, nello Stato del Paranà.

La colonia Cecilia riuscì a fruttare nella misura in cui fu abbandonata, funzionando come un fuoco propagatore di conoscenze sociali ed agricole, e compiendo, a partire da lì, un ruolo significativo nella consolidazione del Paraná. Come essa non fu concepita dal suo mentore per essere perenne, dovendo esistere appena durante il periodo necessario per l’osservazione delle attitudini umane nella vita anarchica, possiamo concludere che il suo successo fu pienamente possibile solo con la sua dissoluzione.

venerdì 19 marzo 2010

Letizia Domenico: Libertà individuale e lotta alla tassazione

Letizia Domenico: Libertà individuale e lotta alla tassazione
Il tutto qui: http://www.marigliano.net/img/8954.php

martedì 16 marzo 2010

EDICOLE LIBERALIZZATE? NON SIA MAI!


di Leonardo Facco

Vedete, ci vogliono due cose per considerare liberale l'attuale coalizione di governo. Da un lato - detto senza ipocrisie - ci vuole la faccia come il culo e, in vero, il PDL ha fatto incetta di personaggi capaci di negare anche l'evidenza. Ci sono casi di "portavoce di..." che fanno accapponare la pelle. Non vi dico cosa io pensi sulla congerie di candidati in lista alle prossime elezioni

Dall'altro, ci vuole il pelo sullo stomaco. Perchè anche fingendo di essere liberale tiepdi, trovare qualche barlume di liberalità nel PDL è come andare a tartufi nella Barbagia. Ormai, siamo al punto che Gianfranco Fini, attuale presidente della Camera, è considerato l'avanguardia del liberalismo di "centro-destra".

Perchè mai, vi starete chiedendo, esordisco con tal virulenza? Beh... leggete qua:

"(ANSA) - ROMA, 12 MAR - Stop alla liberalizzazione delle edicole nelle città: lo chiedono le commissioni Attivita' produttive e Giustizia della Camera dei deputati. Le commissioni hanno messo a punto un parere allo schema di decreto legislativo che recepisce la direttiva europea che liberalizza i servizi. La decisione ora spetta al governo. La liberalizzazione sottolineano le commissioni potrebbe pregiudicare la possibilità di un effettivo accesso all'informazione da parte dei cittadini".


Liberalizzare le edicole pregiudicherebbe l'accesso all'informazione??? E' un po' come dire che liberalizzare l'attività agricola pregiudicherebbe l'accesso all'acquisto di alimentari!

Devastante! Non siamo più di fronte ad un uso smodato della neolingua, qui siamo alla neuro-lingua, al neuro-pensiero. Affermazioni come quelle di cui sopra ci fanno precipitare nel regno dell'imperscrutabile, dell'elaborazione psicoteorica, dove al prefisso psico andrebbe aggiunto il suffiso "labile".

Sostengo spesso - parafrasando Churchill - che basterebbe ascoltare 5 minuti un parlamentare medio per rendersi conto di cosa è la democrazia. Oggi, vado altro, basta leggere due righe di un provvedimento di un governo pidiellino (partito liberale di massa, ndr) per rendersi conto di cosa sia lo statalismo! E buonanotte al secchio!

giovedì 11 marzo 2010

Introduzione alla Teoria dei Giochi

Per capir meglio.
Illustrazione alla: Introduzione alla Teoria dei Giochi, un analisi semplice.
il tutto allegramente qui: http://www.dii.unisi.it/~agnetis/introgiochi.pdf

martedì 9 marzo 2010

Labadie Collection

La Labadie Collection, che raccoglie anche migliaia di libri, opuscoli, documenti e altro materiale sui vari movimenti della sinistra “radical” americana, costituisce
la più importante raccolta di opere anarchiche e sull’anarchismo oggi esistente negli U.S.A.
Il nucleo originario della Collection, operativa già dagli anni ’30, è rappresentato dalla donazione che Joseph Labadie (1848 [?] - 1933), fa all’università del Michigan nel 1911-12. Labadie, conosciuto come “the gentle anarchist of Detroit”(l’anarchico mite di Detroit), dopo una militanza nei sindacati operai e nelle file socialiste, approda all’anarchismo e raccoglie nel corso del tempo un notevole fondo internazionale che va dagli anni ’30 del secolo scorso fino all’inizio di questo. I settori più consistenti dell’attuale collezione, che si è molto arricchita nel corso degli anni e che spazia temporalmente e geograficamente, riguardano in particolare l’immigrazione urbana da Germania, Russia e Italia, l’emancipazione delle donne, la Comune di Parigi, l’ateismo e il confronto fra anarchismo e socialismo statalista. Considerevoli anche le sezioni dedicate alle attività anarchiche durante la guerra civile spagnola e all’anarchismo messicano.
Presso l’Archivio Pinelli c’è in consultazione un elenco, con riferimenti in inglese, delle opere possedute dalla Labadie Collection aggiornato al 1988.

martedì 2 marzo 2010

Intervista a Lew Rockwell


Presi nel vortice della decomposizione del sistema centralizzato capita di perdersi d'animo, di non riusicre a vedere vie d'uscita. Il Leviatano sembra essere più forte che mai, ormai intrecciato in ogni attività umana, portatore di sofferenza e morte.

È allora davvero rinfrancante leggere le parole di Lew Rockwell in questa intervista per Daily Bell, e condividere la sua passione refrattaria a qualsiasi disperazione, la sua fiducia nei giovani, nelle idee e nella libertà.

Gli imperi passano e muoiono, la libertà è per sempre.


Introduzione: Lew Rockwell è uno dei principali sostenitori del moderno movimento del mercato libero e un importante fautore del rinascimento dell'economia austriaca in America ed all'estero. Rockwell è stato l'editore di Ludwig von Mises negli anni 60 e successivamente ha lavorato come capo dello staff del membro del Congresso Ron Paul. È fondatore del Mises Institute di Auburn in Alabama e del blog di successo LewRockwell.com. Insieme, queste entità sono fra i siti internet sul libero mercato più frequentati nel mondo.

Daily Bell: Avete condotto quasi da solo una rivoluzione nel pensiero che ha cambiato il mondo. Che sensazioni vi dà?

Rockwell: Be', grazie, ma non è così che funzionano le idee. Senza donatori, facoltà, studenti, collaboratori, mezzi di distribuzione e divisione del lavoro, siamo tutti soltanto degli scribacchini isolati. Questo è sempre stato vero, dal mondo antico ad oggi. Ci piace dire che una persona può fare la differenza, ma è vero solo in parte. Tutte le forme di produzione, comprese quelle nel mondo delle idee, richiedono tutta la cooperazione possibile. Ed anche se stavamo facendo grandi progressi prima del 1995, l'avvento dei media digitali ha fatto una grande differenza proprio perché ha ampliato drammaticamente le opportunità di comunicare e cooperare.

Daily Bell: Potete far conoscere ai nostri lettori la profondità e l'ampiezza delle organizzazioni di servizi che avete fondato – in particolare sulla rete?

Rockwell: Ho fondato il Mises Institute nel 1982 per garantire che l'influenza di Mises e degli altri economisti austriaci potesse crescere. Oggi Mises.org è il più grande sito no-profit di economia sul pianeta, ed è un potente centro educativo ed editoriale. Ho fondato LewRockwell.com nel 1999, innanzitutto perché avevo una gran quantità di informazioni da condividere e mi ero stancato di usare le liste mail. Pensai che avrei potuto anche postare ciò che trovavo interessante, in ogni campo, su un sito pubblico. Oggi, è il sito libertario più letto della rete.

Daily Bell: Avevate mai sognato di poter raggiungere questo livello di successo?

Rockwell: Né io né nessuno dei miei mentori, come Rothbard, o di coloro che mi influenzarono, come Mises, avremmo potuto immaginare una cosa simile. Naturalmente, il raggiungere le menti è tutta una questione di libertà. La posizione base del mondo è il dispotismo. Nella realtà delle cose, la libertà è un'eccezione. A rendere l'eccezione possibile è il lavoro ideologico, ovvero la diffusione delle idee con ogni mezzo possibile.

Daily Bell: Attribuite parte del successo a vostro padre. Potete dire ai nostri lettori qualcosa su questo uomo unico?

Rockwell: Era un chirurgo e un uomo dal carattere forte, un uomo all'antica di quel genere che è difficile da trovare. Non si lamentava, non piagnucolava quando le cose non andavano come voleva lui. Era incredibilmente arguto ed amava la libertà nel senso in cui l'amavano gli uomini dell'Illuminismo: non credeva che lo stato potesse far qualcosa meglio di come ciascuno può farlo da sé. Era un uomo della Old Right che disprezzava FDR, nella cui guerra intenzionale venne ucciso il mio fratello più grande, e ammirava Robert Taft, specialmente a causa della sua politica estera non-interventista. Mio padre lavorò duro fino all'ultimo istante in cui poté farlo. Così dovremmo far tutti.

Daily Bell: Potete fornirci una breve storia di come è nato il vostro interesse per il libero mercato e di come avete deciso di farne il lavoro della vostra vita?

Rockwell: Come con la maggior parte delle persone, cominciò osservando qualcosa di profondamente sbagliato nella cognizione comune, che fin dalla scuola elementare sembrava presumere che i saggi padroni nelle alte sfere avessero maggiore conoscenza di chiunque altro e che per questo motivo dovessero avere autorità su tutto e tutti. Questa supposizione pareva difettare di prova empirica, per quel che potevo vedere. Scoprii la letteratura della libertà nascosta nelle biblioteche e mi resi conto che la verità era una cosa che avrei sempre dovuto scavare per trovarla. Non mi sarebbe stata offerta dai giornalisti, dai politici, né dai luminari delle istituzioni accademiche. Quando scoprii quel che era vero, non potei evitare di agire in base ad esso, e parlarne ad altri. Niente di più complicato.

Daily Bell: La scomparsa dello stato è la conseguenza logica dell'economia austriaca?

Rockwell: Mises non la pensava così; e nemmeno Hazlitt. Sudha Shenoy sostiene che di tutti coloro che hanno esaminato la possibilità di una società senza stato in quella generazione, Hayek fu quello che si avvicinò di più a comprendere il temperamento anarchico. Comunque, l'uomo che ha fatto la vera differenza nella scuola austriaca in questo senso è stato Rothbard. È stato lui a spingere l'apparato teorico “oltre il limite,” per così dire. Oggi è difficile che un moderno austriaco non sia un anarchico. Questo grazie anche a rothbardiani come Walter Block, Hans-Hermann Hoppe e David Gordon, naturalmente. Un tempo Rothbard era denunciato per i suoi punti di vista, per aver, dicevano, marginalizzato la scuola. Ora, naturalmente, il suo anarchismo è forse la maggior parte dell'eredità che ha lasciato al mondo. Attrae molto i giovani, diversamente dello statalismo degli economisti di regime.

Daily Bell: È ragionevole credere che lo stato possa un giorno appassire o la realtà ci insegna che il meglio che si può fare è limitarne il potere?

Rockwell: Per me, è come chiedere se possiamo immaginare una società senza furti ed omicidi. Forse non accadrà mai, ma dobbiamo avere l'ideale in mente oppure non ci avvicineremo mai ad esso. Senza l'ideale, si ferma il progresso. In qualche misura, allora, chiedersi se alla fine la realtà vi si conformerà non è la domanda cruciale. Ciò che conta è se quello che immaginiamo possa e debba esistere. Mi piace immaginare una società senza aggressione legalmente sanzionata contro la persona e la proprietà.

Daily Bell: Vi preoccupa il fatto che le vostre organizzazioni possano subire attacchi pesanti con il progredire del movimento per il mercato libero?

Rockwell: No, non mi preoccupo di questo. D'altra parte, per i radicali è del tutto normale essere sottoposti ad attacchi da ogni lato, quindi non mi sorprenderebbe.

Daily Bell: Torniamo indietro nel tempo. Avete fondato Imprimis. Eravate amareggiato quando ve ne andaste?

Rockwell: Per niente! Ammiravo e ammiro ancora George Roche. Ma il mio lavoro a Hillsdale era finito e sono andato oltre.

Daily Bell: Quando avete deciso di fondare il Mises Institute? Fu quando vi alleaste con il famoso economista austriaco Murray Rothbard?

Rockwell: Ero stato editore di Mises alle edizioni Arlington House, verso la fine degli anni 60. Dopo la sua morte nel 1973, mi apparve sempre più chiaro che nessuna idea in questo mondo ha una probabilità di successo senza un'infrastruttura di supporto. I misesiani non l'avevano nelle università né nei think-tank. Mises stesso affrontò il problema della mancanza di supporto lasciando l'Austria e muovendosi verso un meraviglioso istituto a Ginevra. Io volevo fondare un istituto negli Stati Uniti che potesse essere un santuario per il libero pensiero nella tradizione misesiana. Innanzitutto mi avvicinai alla sua vedova, Margit von Mises, che mi dette la sua benedizione ed acconsentì ad essere il nostro primo presidente. Allora chiesi a Murray, che avevo allora conosciuto, di guidare i nostri affari di studio. Ne fu entusiasta anche lui. Era un alleato naturale non solo perché era il più grande allievo di Mises, ma anche perché veniva evitato perché troppo estremo, troppo radicale, non sufficientemente disposto a partecipare al gioco – proprio come lo era stato Mises. Prendo molto seriamente il suo esempio e la fiducia che ha riposto in me rendendomi il suo esecutore. In molti sensi, è stato la forza critica dietro al nostro sviluppo ed al nostro successo. Il suo spirito ancora li circonda oggi.

Daily Bell: Cosa penserebbe Rothbard di ciò che è successo? Sarebbe sorpreso?

Rockwell: Be', soprattutto sarebbe eccitato. Ma si ricordi che è stato il più grande ottimista per la libertà. Era pieno di speranza e odiava la disperazione. E questa non era solo un atteggiamento. Era vera speranza radicata nella ferma convinzione che se avessimo fatto la cosa giusta, avremmo potuto fare la differenza. In questo senso, non penso che si sarebbe sorpreso vedendo che abbiamo più richieste di ammissione di quelle che possiamo accettare, che sempre più studiosi ci cercano, che i nostri programmi di affiliazione vadano esauriti, che i nostri file audio vengono scaricati da milioni, che i nostri libri vendano più velocemente di quanto riusciamo a stamparli, e tutto il resto.

Daily Bell: C'è stata una risurrezione del randismo. Siete sorpreso? L'approvate?

Rockwell: La incontrai ed ascoltai le sue conferenze, e ne rimasi sempre impressionato. Ricordate che quando uscì La Rivolta di Atlante, sia Mises che Rothbard scrissero delle appassionate recensioni. I suoi romanzi sono profondamente efficaci nel promuovere il messaggio capitalista e tutto ciò è un bene. Ma ci sono alcuni errori cruciali. Non penso che abbia capito completamente la natura cooperativa dell'ordine sociale capitalista, per esempio. Aveva meno riguardo per il consumatore che per il capitalista ed a tale riguardo aveva ragione soltanto a metà. Ma generalmente se i suoi libri possono liberare la gente da miti contro la libera economia, è un grande risultato.

Daily Bell: Potete fare ai nostri lettori una breve descrizione di Antiwar.com e, nel caso, di come è collegato alle vostre imprese?

Rockwell: Direi che AWC è specializzato in un aspetto del pensiero rothbardiano. Ma anche se è un parente ideologico di LRC e di Mises.org, non c'è un rapporto diretto. I figli di Rothbard sono ovunque, naturalmente. Una ragione è il modo speciale che aveva di comunicare con la gente. Parlava a lungo con chiunque circa i suoi precipui interessi intellettuali. Se amavate le notizie, vi parlava di notizie. Se amavate la storia delle idee, vi parlava della storia delle idee. Se eravate dedito alla partizione del Belgio, vi parlava di questa causa. Aveva una personalità e un intelletto giganteschi. Nessuna inclinazione o interesse o causa possono riassumere la sua vita.

Daily Bell: Come sta andando la raccolta di fondi? È diminuita con la crisi finanziaria?

Rockwell: Per niente. Se mai, la gente è ancor più dedicata all'ideale della libertà ed alla propagazione della verità. Le idee austriache stanno ottenendo tanta attenzione come mai prima, come conseguenza di una crisi spiegata così bene dal paradigma austriaco.

Daily Bell: Vedete un aumento constante nella gente che vuole finanziare gli sforzi a sostegno del libero mercato?

Rockwell: Anche qui vediamo un grande progresso.

Daily Bell: Qual è il futuro del movimento per la libertà di Ron Paul dal vostro punto di vista?

Rockwell: Una cosa è chiara: il movimento di Paul ha fatto una differenza enorme nell'avvicinare la gente alle idee libertarie. In qualche modo, c'è un elemento tragico nel fatto che serva la politica per risvegliare la gente. L'ideale sarebbe che le persone scoprissero le idee della libertà per altre vie. Ron Paul è d'accordo con questa osservazione, tra l'altro. Lui si vede prima di tutto come educatore. Ha scelto la politica perché, per lui, era un percorso efficace per il suo obiettivo più grande e importante. E che lavoro straordinario ha fatto, nei suoi scritti e discorsi e con il suo esempio per quasi quattro decadi. Ha portato alla luce un gran numero di persone. Quello è sempre stato il suo sogno. Dovrei aggiungere che suo sostegno nei primi tempi è stato molto importante per il successo dell'istituto. Siamo onorati di averlo come nostro Consigliere Distinto.

Daily Bell: Le vostre organizzazioni educative saranno in futuro più coinvolte nell'azione politica oppure no?

Rockwell: Direi di no. A meno di essere Ron Paul, la politica è un affare pericoloso, ed è una tentazione a dire e fare cose da pazzi. Il successo è effimero, mentre noi siamo qui per il lungo termine.

Daily Bell: Come va la diffusione del movimento per il mercato libero all'estero?

Rockwell:
A meraviglia. L'austro-libertarismo è paragonabile al marxismo nell'estensione della sua diffusione internazionale. Tutto ciò è molto emozionante. La libertà dell'uomo è un desiderio universale, quindi è naturale che non possa esserci un movimento libertario che non sia davvero internazionale.

Daily Bell: Sperate che questa crescita continuerà al passo tenuto nel decennio passato?

Rockwell: Il futuro è sempre incerto, ma abbiamo gli strumenti, l'energia e le idee. Solo negli ultimi anni, abbiamo ristampato virtualmente tutto dalle biblioteche libertarie ed austriache. I nostri download sono immensi, in particolare fra i giovani. Se voleste predire il futuro, guardate alle idee dei giovani e vi avvicinerete a trovarlo. In questo senso, sono sicuro che il nostro movimento continuerà a crescere molto a lungo dopo la mia vita.

Daily Bell: Avete notato un aumento della resistenza ai vostri sforzi da parte degli enti governativi organizzati?

Rockwell: Si sentono delle voci, ma niente è sicuro. Il governo attualmente ha molti nemici e i soliti problemi burocratici nell'affrontarli tutti.

Daily Bell: Cosa succederà al governo degli Stati Uniti ed alla sua struttura di potere alleata? Pensiamo che stiano perdendo credibilità ed influenza.

Rockwell: Sì, e confrontate gli attuali sentimenti antigovernativi a come erano le cose subito dopo il 9/11/01, un enorme fallimento dello stato che lo stato ha usato per promuovere sé stesso. Oggi vediamo la crescita dei sentimenti anti-statalisti, ritornati ai livelli degli anni 90. Ma questo è il problema. La sinistra odia alcuni aspetti dello stato e ne ama altri. La destra è la sua immagine speculare. Il lavoro del libertario è di convincere entrambi gli schieramenti a vedere che gli altri hanno ragione a metà. Pensate ai Tea Parties, ad esempio. Le folle ruggiscono la loro disapprovazione per il socialismo proprio mentre applaudono le invasioni militari socialiste.

Daily Bell: È possibile restituire gli Stati Uniti ad una forma di governo più repubblicana? Si può abrogare la storia?

Rockwell: La nostra è la storia di una nazione radicalmente decentralizzata e questa memoria non si è volatilizzata del tutto. Potrebbe essere che il percorso verso la libertà negli Stati Uniti passi per la secessione. E guardo al Nullification Handbook di Tom Wood di prossima pubblicazione. O la decentralizzazione potrebbe essere de facto con sempre più persone che scoprono i mezzi per secedere individualmente da settori specifici dello statalismo: usando valute alternative, istruendo in casa i loro bambini, leggendo i media alternativi, aggirando il complesso industrial-farmaceutico, iniziando un'attività in nero, fumando qualsiasi sostanza vogliano, o rifiutando di tornare ad una missione militare. La ribellione può prendere molte forme. Dobbiamo imparare ad accoglierle tutte favorevolmente.
Daily Bell: Pensate che vedrete l'oro fare concorrenza al dollaro come valuta nel corso della vostra vita?

Rockwell: La tecnologia permette questa cosa come mai prima. L'oro non scomparirà, mentre la vita del dollaro è limitata.

Daily Bell: Vi aspettate una revisione della Fed?

Rockwell: Potrebbe accadere, comunque come nota Ron Paul, la trasparenza è soltanto un passo verso quello che dev'essere lo scopo finale: la fine della banca centrale.

Daily Bell: Cosa pensate della teoria di Ellen Brown secondo cui lo stato ha storicamente creato la moneta e che le banche, compresa la Fed, dovrebbe essere nazionalizzata ed guidata dal “governo del popolo.” Alcuni dicono che la supervisione che Ron Paul vuole che il congresso abbia sulla Fed è in qualche modo un'approvazione della posizione browniana.

Rockwell: Non la conosco molto, ma la Fed è la banca centrale del governo, la legge di revisione non dà potere monetario ad altre parti del governo, e le banche sono già in combutta con il regime. Ecco perché abbiamo una Fed e la riserva frazionaria è ufficialmente permessa.

Daily Bell: Sappiamo bene che Ron Paul vuole una parità aurea ed in un mondo perfetto la fine della Fed. Potete riaffermare questa posizione per i nostri lettori?

Rockwell: Sì, benché non voglia un monopolio per nessuna cosa, nemmeno per l'oro. Vuole che la moneta sia radicata nell'esperienza del mercato. Non è così complicato.

Daily Bell: Abbiamo notato quello che noi pensiamo essere un ammorbidimento della posizione istituzionale per quanto riguarda la parità aurea – e la possibilità che le libere attività bancarie siano anch'esse un'opzione considerata. È questa un'osservazione corretta della posizione delle vostre organizzazioni?

Rockwell: Non direi che abbiamo una posizione ufficiale. Ci sono molti modi per muoversi verso la moneta di mercato e le attività bancarie non-inflazionarie. Non vorrei mai chiudermi nessuna possibile via. Un problema con il programma misesiano per la parità aurea è che conta sull'idea che le persone in carica facciano la cosa giusta. Questa è un'idea affascinante, all'antica, ma non penso che possa funzionare nel nostro tempo. Dobbiamo essere aperti alla possibilità che la riforma non arrivi mai dal vertice.

Daily Bell: Siete favorevole ad uno standard privato oro-argento o la parità aurea è sempre preferibile?

Rockwell: Sono assolutamente per la concorrenza fra metalli. Ma un vero standard è sempre privato e lascia sempre spazio per valute concorrenti.

Daily Bell: Una delle questioni più difficili da risolvere dal punto di vista del mercato è la proprietà intellettuale. Potete dire ai nostri lettori la vostra posizione su questo difficile tema? In un mercato libero, gli individui potrebbero rivendicare e far rispettare i diritti di proprietà intellettuale con qualche prospettiva di successo?

Rockwell: Rothbard ha condannato i brevetti ma non il copyright. Mises e Machlup vedevano i brevetti come concessioni governative di monopolio, ma nessuno di loro li ha condannati completamente. Hayek era contro il copyright ed i brevetti, ma non ne ha scritto molto. Sono stati i media digitali a portare la questione al centro dell'attenzione. Il pensatore chiave qui è Stephan Kinsella. Lui e Jeffrey Tucker hanno fatto il lavoro pesante ed hanno convinto la maggior parte di noi che la proprietà intellettuale è un artificio che non ha posto in un'economia di mercato. Ci sono implicazioni incredibili in questa presa di coscienza. La riproducibilità infinita delle idee significa che abbiamo molte probabilità di successo. Il fatto che le idee non sono merci limitate significa che non devono essere controllate. Questa è una cosa meravigliosa. C'è molto lavoro da fare in questo campo. L'intera storia dell'invenzione ha bisogno di essere rivista e la nostra teoria dei mercati deve tenere migliore conto del ruolo centrale dell'emulazione nel progresso sociale.

Daily Bell: Pensate che il complesso militar-industriale negli Stati Uniti verrà gradualmente eroso con l'accrescersi della forza del movimento per il libero mercato, o la struttura del potere è determinata a mantenere l'impero?

Rockwell: Deve erodersi. L'impero è follemente sovradimensionato. Ad un certo punto, faremo la fine della Gran-Bretagna e di Roma. Possiamo solo sperare che gli Stati Uniti seguano questo percorso con saggezza e non per disperazione.

Daily Bell: Dove volete arrivare? Avete altri cambiamenti organizzativi in programma? Espansioni?

Rockwell: Ci sono espansioni giornalmente. Stiamo assistendo a cose meravigliose, cose che sono più grandi di qualsiasi cosa che abbiamo fatto. Ma non voglio rovinare la sorpresa.

Daily Bell: Qual è il vostro futuro personalmente? Su quali attività intellettuali avete rivolto la vostra attenzione?

Rockwell: Voglio continuare a lavorare, particolarmente sul mio sito e continuare ad allargare i confini delle idee e della tecnologia. Non penso mai di andare in pensione, e nessuno dovrebbe farlo. C'è troppo lavoro da fare.

Daily Bell: Potete suggerire ai nostri lettori quali pubblicazioni ed informazioni cercare sui vostri siti – dove cominciare?

Rockwell: Cominciamo sempre con le nostre passioni, quali che siano. Non ci sono due persone uguali. A questo servono i motori di ricerca. Ma lasciatemi dire che ad un certo punto, tutti dovrebbero aspirare ad essere un serio allievo di Mises e di Rothbard. Non c'è formazione completa senza di loro.

Daily Bell: Se i lettori desiderano imparare di più sulle vostre organizzazioni, qual è il punto di partenza più facile? È possibile per chiunque assistere ai seminari di Mises, ecc?

Rockwell: I siti sono un grande posto per cominciare, ma naturalmente amiamo far venire nuova gente ai nostri congressi. Stiamo lavorando per creare più occasioni per questo.

Daily Bell: Dove suggerireste di andare ad un giovane per l'istruzione superiore negli Stati Uniti?

Rockwell: Intendete per la formazione o l'università? Non sempre coincidono. Oggi potete ottenere una buona formazione online. Per i titoli universitari, suggerirei l'investimento meno caro. Ma ricordate che il costo opportunità dell'educazione scolastica è molto alto. Dopo quattro – sei anni in un istituto universitario, una persona può scoprire di non avere alcuna abilità. Questo è il modo peggiore di entrare nel mondo del lavoro.

Daily Bell: Grazie per il vostro tempo e per la vostra analisi.

Rockwell: Grazie a voi.

"Il mio identikit politico è quello di un libertario, tollerante. Se poi anarchico l'hanno fatto diventare un termine orrendo... In realta' vuol dire solo che uno pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia, le stesse capacità" ( Fabrizio De André )