SITO ANARCOLIBERALE A CURA DI DOMENICO LETIZIA. Laboratorio per un Neo-Anarchismo Analitico che sia Liberoscambista, Volontarista, Possibilista e Panarchico con lo sguardo verso i valori del Liberalismo Classico, del Neo-mutualismo e dell'Agorismo. Un laboratorio che sperimenti forme di gestione solidali, di mercato dencentralizzato e di autogestione attraverso l'arma della non-violenza e lo sciopero fiscale, insomma: Disobbedienza Civile

banner campagna un futuro senza atomiche

The Neolibertarian Network Diventa anche tu Ambasciatore Telethon Italian Blogs for Darfur AIT - Associazione italiana transumanisti
AnarchicA
No TAV

lunedì 22 marzo 2010

Roberto Bertoldo e l’anarchia


Carlo Luigi Lagomarsino

Roberto Bertoldo e l’anarchia

Cosa abbia spinto Roberto Bertoldo a dedicare un libro all’anarchia (Anarchismo senza anarchia. Idee per una democrazia anarchica, Mimesis, 2009) per tentare di fornirne, evitando le pieghe sentimentali, una definizione accettabile è da ricercare a mio parere nell’ambizione di dare uno sviluppo coerente alle idee che aveva espresso in altri lavori e soprattutto nei saggi di Nullismo e letteratura (1998). In quei saggi tuttavia si leggeva, seppur in forma eccentrica quanto pervasiva, un riferimento privilegiato ad Albert Camus il quale stranamente in Anarchismo senza anarchia (Mimesis, 2009) è nominato appena e per giunta in nota. Che poi quel riferimento lo si possa ritrovare vivificante anche nei sotterranei di questo nuovo libro è un altro discorso.

Ciò che più sembra aver interessato Bertoldo è palesemente il prendere in esame la vasta letteratura anarchica, individuarvi ciò che gli sembrano dei limiti sia concettuali sia operativi, azzardarne una classificazione e porre tutto in relazione alla visione niente affatto ortodossa che si è venuto formando attraverso vecchie consuetudini e nuove riflessioni. Probabilmente i maggiori punti di contatto si dovrebbero cercare fra quegli autori anglosassoni che, come Colin Ward, seppure pubblicati e ripubblicati, non trovano veri e profondi riscontri teoretici nella galassia (o nelle galassie, se si preferisce) dell'anarchismo continentale. Allo stesso tempo Bertoldo rifiuta come “finti anarchici” quei “libertarian” “free market” americani legati alla “scuola economica di Vienna” - in particolare, ovviamente, Rothbard - sui quali l'analisi, nelle pagine conclusive del libro, si fa sofisticata e allo stesso tempo appena suggerita, per quanto con degli argomenti la cui”apertura” possa somigliare a una “chiusura” (come se dire e suggerire si equivalessero) che l'impoverisce nell'opposizione – che nel contempo può richiamare proprio Camus – fra l'utilitarismo (la “malvagità dell'anarcocapitalismo”) e l'umanitarismo.

Non si può tuttavia rinunciare a pensare che la stessa accusa di un camuffamento attraverso l'evocazione dell'anarchia possa essere indirizzata a Bertoldo per quella che è la sostanza del suo libro. Poco incline all'anarchismo della tradizione bakunista, perplesso di fronte a quello “ecologista” di Bookchin, avverso alla “finzione” anarcocapitalista, Bertoldo sceglie infatti la via di un anarchismo nella democrazia, ma non attraverso la prevedibile idea di un democratismo radicale tutto da inventare, bensì attraverso la sua definizione formale, vale a dire attraverso la democrazia conosciuta. Cosa che fa pensare - seppure ridotto a pura gestione della ricchezza sociale di un'umanità che dovrebbe essere comunque sempre libera di scegliere - allo Stato democratico. Si può immaginare come le frange sentimentali dell'anarchismo, che pure non hanno disdegnato di arruolare un eccentrico come Francesco Saverio Merlino nel proprio pantheon, insorgano contro tale visione. Ciò nondimeno il retro testo di questa visione è possibile interpretarlo come una forma di ortodossia, persino di “collettivismo anarchico”. In questo caso il merito di Bertoldo è sia di aver letto l'anarchismo attraverso le sue ambiguità e aporie, sia di averlo pensato in concreto attraverso esiti formali.

Se nel liberalismo lo Stato non deve mettere naso nell'economia e limitarsi alla difesa di regole e persone, nella visione di Bertoldo dovrebbe prosciugarsi della “politica” per rimanere un semplice magazzino di risorse così da poter aver cura dei bisognosi (e qui si può avvertire l'eco de La conquista del pane di Kropotkin). Il discorso dell'”uguaglianza” democratica si sposta dunque sulle differenze personali per tornare a un'uguaglianza non semplicemente formale. A questo punto la dialettica fra il detto e il suggerito si ripresenta – ma questa volta in modo più equilibrato ed esplicito - nell'analisi che Bertoldo fa dei concetti di individuo, libertà e proprietà – quest'ultima distinta dal possesso. Nelle pagine relative, poste alla fine del primo terzo del libro, Bertoldo – casomai i concetti fossero vaghi, per non dire ambigui, come in effetti sono – mette in atto una assai stretta concatenazione di idee al fine di essere il più preciso possibile, malgrado la consapevolezza della difficoltà. In un certo senso tutto ciò che ho fin qui definito la visione di Bertoldo - suffragata per giunta da un tono assertivo che nelle finali “considerazioni a latere” assume addirittura l'aspetto delle Tesi - è sottoposto di continuo all'azione di forze centrifughe, come la pensosità all'umorismo. Lo è tanto che solo adesso mi accorgo di quanto fosse già indicativo – di serietà e umorismo, di riflessivo e da riflettere - il titolo del libro.

Nessun commento:

"Il mio identikit politico è quello di un libertario, tollerante. Se poi anarchico l'hanno fatto diventare un termine orrendo... In realta' vuol dire solo che uno pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia, le stesse capacità" ( Fabrizio De André )