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sabato 4 luglio 2009

Troppo grandi per fallire, troppo grandi per riuscire


Peter Wallison spiega perché il piano di Obama per riformare la finanza è l'apripista della trasformazione degli Stati Uniti nel nuovo baluardo del socialismo reale

di Peter J. Wallison

In un discorso tenuto ieri alla Casa Bianca il presidente Barack Obama ha illustrato a grandi linee la regolamentazione futura del sistema finanziario. Il presidente ha descritto sostenendo che esso pone le basi “per una crescita economica sostenuta” e “una trasformazione di entità mai vista dai tempi delle riforme seguite alla Grande Depressione”. Su questo non gli si può dare torto.
Il piano, se verrà approvato, trasformerà in modo fondamentale la natura del nostro sistema finanziario e della nostra economia. Gli assunti e le preoccupazioni che sottendono il progetto di Obama sono chiari, e diventano ancora più chiari se prendiamo in considerazione gli altri modi in cui questa amministrazione ha affrontato le conseguenze della concorrenza, primi tra tutti gli pseudo-fallimenti di General Motors e Chrysler e gli imminenti cambiamenti nella politica antitrust. Per quanto il presidente abbia affermato di sostenere il libero mercato, queste iniziative confermano il sospetto che l’amministrazione tema la “distruzione creativa” prodotta dal funzionamento del libero mercato, preferendo la stabilità all’innovazione, alla concorrenza e al cambiamento.

Secondo il Libro Bianco fatto circolare dall’amministrazione poco prima il discorso del presidente, la Federal Reserve sarebbe autorizzata a creare un regime normativo speciale (con tanto di requisiti di capitale, leva debitoria e liquidità) per qualsiasi azienda che presenti una «combinazione di dimensioni, leva e interconnessione tale da presentare una minaccia alla stabilità finanziaria in caso di fallimento». Inoltre, qualora una grande azienda finanziaria dovesse rischiare di chiudere I battenti, al tesoro verrà attribuito il potere di evitare la bancarotta e di nominare invece un curatore o un amministratore speciale al fine di “stabilizzare” la società in questione.

La scelta di particolari società finanziaria per questo tipo di trattamento speciale indica chiaramente al mercato che questi istituti sono troppo grandi per fallire. Così facendo, si attenuerà la percezione del rischio connesso alla concessione di prestiti a queste società finanziarie, il che, a sua volta, permetterà a queste ultime di ottenere finanziamenti ad un costo interiore rispetto ai concorrenti più piccoli.

In altri termini, il piano dell’amministrazione creerebbe in sostanza imprese a sostegno pubblico, non molto diverse da Fannie Mae e Freddie Mac, in ogni settore finanziario: assicurazioni, società di gestione di titoli, società finanziarie, holding bancarie e hedge fund. In ciascun settore alcune aziende, ma non altre, verranno prescelte per questo particolare tipo di tutela. Per la concorrenza, il risultato sarà devastante. Le imprese più grandi metteranno alle strette quelle più piccole e le piccole società più intraprendenti avranno minori opportunità di superare I vincitori appoggiati dalle autorità.
Per giunta, la proposta di mettere a disposizione uno specifico meccanismo di salvataggio per le grandi aziende rafforza l’impressione che queste società non verranno mai chiuse o messe in liquidazione. Appellandosi allo sconvolgimento del mercato che ha fatto seguito al crollo di Lehman Brothers, l’amministrazione sosterrà che fallimenti siffatti sono “causa di disordine”. Il fallimento, però, è una conseguenza dell’assunzione di rischi, ossia dell’origine stessa della forza della nostra economia mentre lo scopo del piano dell’amministrazione, in ultima analisi, è proprio prevenire il rischio e le sue conseguenze.

Lo scompiglio successivo al crollo di Lehman si è prodotto perché I soggetti operanti sul mercato si aspettavano che, dopo il salvataggio di Bear Stearns, tutte le società più grandi sarebbero state salvate dal fallimento. Quando Lehman non è stata salvata, tutti I concorrenti sul mercato hanno dovuto ricalibrare I rischi connessi alle loro relazioni con gli altri soggetti, provocando un congelamento del credito e il tentativo di fare incetta di contanti. Di per sé, il fallimento di Lehman non ha causato perdite sostanziose e, meno di due settimane dopo l’annuncio del fallimento, il curatore ha potuto vendere a quattro diversi acquirenti le componenti di Lehman attive nel campo dell’intermediazione, dell’investment banking e della gestione degli investimenti.

Confrontiamo tutto ciò con AIG, l’azienda presa dall’amministrazione quale esempio paradigmatico di società salvata dai poteri pubblici perché “troppo grande per fallire”.
Sotto il controllo pubblico, la società sta lentamente andando in disfacimento, a danno dei contribuenti.
La paura mostrata dall’amministrazione nei confronti degli esiti della concorrenza si ravvisa anche in ambiti diversi dalle politiche relative al settore finanziario. Prendiamo General Motors e Chrysler: sul mercato, le due case automobilistiche erano state sconfitte. Molto semplicemente, non sapevano costruire automobili che piacessero ad un numero sufficiente di americani.
La loro scomparsa non avrebbe messo a repentaglio la stabilità del sistema finanziario, anche se, indubbiamente, avrebbe creato grossi problemi a fornitori, concessionari e dipendenti. Ciò nonostante, l’amministrazione non ha permesso che le due società fallissero. A dispetto di tutte le chiacchiere sulle priorità del credito, il punto essenziale è che l’amministrazione si è servita dei soldi dei contribuenti per rovesciare il verdetto del mercato. Se vogliamo un assaggio di quello che farà l’amministrazione con l’autorità che vuole avere in relazione alle grandi società finanziarie, non dobbiamo cercare oltre.
Lo stesso modello relativo alla concorrenza sui mercati può essere ravvisato nella nuova politica antitrust del Dipartimento della Giustizia. Christine Varney, nuovo sottosegretario alla giustizia incaricato della politica antitrust, ha affermato che le politiche americane devono assomigliare di più a quelle europee. Fino ad oggi le politiche antitrust adottate dagli Stati Uniti hanno cercato di tutelare la concorrenza. l’Europa, dal canto suo, cerca di proteggere I concorrenti. Mettere al riparo I concorrenti significa soffocare le capacità delle aziende più abili, vuol dire permettere a manager e piani industriali inferiori di rimanere in attività e, così facendo, impedire di emergere alle aziende più valide. Anche in questo caso, la stabilità prevale sul cambiamento e sul progresso.

Il presidente ha affermato in varie occasioni, non ultima il discorso dell’altro ieri, di «essere sempre stato un convinto assertore della potenza del libero mercato», ma la ricetta offerta dalla sua amministrazione mette a nudo un convincimento ben diverso. In AIG, General Motors, Chrysler, Fannie Mae e Freddie Mac possiamo vedere quale futuro immagina l’amministrazione Obama per la nostra economia: una struttura sclerotica e immutabile di grandi aziende che collaborano, sono protette e fanno affidamento su uno Stato onnipotente.

Peter J. Wallison è senior fellow dell’American Enterprise Institute

Questo articolo è stato originariamente pubblicato sull'edizione del 18 giugno 2009 del Wall Street Journal, che ringraziamo per la cortese concessione alla riproduzione.

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