SITO ANARCOLIBERALE A CURA DI DOMENICO LETIZIA. Laboratorio per un Neo-Anarchismo Analitico che sia Liberoscambista, Volontarista, Possibilista e Panarchico con lo sguardo verso i valori del Liberalismo Classico, del Neo-mutualismo e dell'Agorismo. Un laboratorio che sperimenti forme di gestione solidali, di mercato dencentralizzato e di autogestione attraverso l'arma della non-violenza e lo sciopero fiscale, insomma: Disobbedienza Civile

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lunedì 28 dicembre 2009

ALLA SINISTRA LIBERTARIA?!



di Domenico Letizia

Pubblicato dal sito del Movimento Libertario

Il pensiero libertario si sta diffondendo in Italia, la cultura libertaria inizia ad essere guardata con curiosità, la battaglia libertaria di Giorgio Fidenato ha diffuso il pensiero antistatalista, insomma, non vi sono dubbi anche in Italia parlare di antistatalismo non è più un tabù insuperabile.
Di formazioni politiche e culturali vicino al metodo libertario sul territorio ve ne sono e lavorano anche bene, basti ricordare biblioteche e centri studi oppure le formazioni politiche come il Movimento libertario o le galassie radicali come l’Associazione Luca Coscioni o Nessuno Tocchi Caino (libertarismo civile), ma nonostante questi progressi visibili e reali, restare fermi è autodistruttivo, lo stato alla fine ha sempre molti strumenti e riesce a far prevalere la sua cultura e il suo potere.
Uno sguardo, attento, invece, lo darei a quella che è la sinistra libertaria italiana e antiautoritaria. Certo già immagino le critiche e le varie dichiarazioni di perdita di tempo che vengono subito alla bocca quando si parla di “sinistra” . Invece voglio rivolgermi proprio alla sinistra libertaria (quella italiana in America sinistra libertaria indica altro) facciamo un passo noi e proviamo a veder cosa nasce. Quando i nostri cari amici “no-global” prendono e occupano uno spazio pubblico e statale completamente in rovina e quindi gestito in modo disastroso dallo stato perché non dovremmo essere dallo loro?
Certo per loro non sarà mai una forma di ‘privatizzazione’ ma lo è e spiegarlo con i fatti non è difficile, non è altro che sottrarre uno spazio statale alla gestione disastrosa dello stato per farlo fruttare in modo partecipato e autogestito, non è forse questo, anche, il metodo libertario, cioè la gestione e la creazione di nuovi metodi di gestione politici ed economici al di fuori dello stato?
Certamente ai nostri cari amici no global va fatto chiaro che una volta preso in gestione un pezzo di ex- stato non va preteso nessun contributo pubblico e nessun finanziamento statale, e a parer del vero così mi sembra, ovviamente non tutti, ma gli spazi autogestiti in mano alla sinistra libertaria vivono e crescono alle spalle dello stato e come suo concorrente (ecco che il mercato ritorna sempre), allora perché non sostenere questi cari disturbatori dello stato? Magari facendo capire loro che in una società libertaria queste forme di privatizzazione (o come le si voglia chiamare) saranno accettate e giuste, anzi sostenute da noi libertari liberoscambisti perché forme economiche e sociali in concorrenza allo stato.
Quando un caro amico “no global e anticapitalista” combatte contro le istituzioni della Banca Centrale, del Fondo Monetario Internazionale, del WTO o qualsiasi struttura capitalista corporativistica in fondo non sta facendo altro che una battaglia liberista e libertaria. Così difficile farlo capire? Forse si, ma per il trionfo del pensiero libertario perché non provarci.

(trovate l'articolo e alcuni commenti qui: http://www.movimentolibertario.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3578:aprire-alla-sinistra-libertaria&catid=1:latest-news#yvComment3578 )

sabato 26 dicembre 2009

mercoledì 23 dicembre 2009

Salvate Christiania


Per i mille abitanti di una delle ultime comunità hippy d'Europa è iniziata la guerra per la sopravvivenza. Il governo danese vuole liberarsi di loro, uomini, donne e bambini che da 40 anni abitano un quartiere nel pieno centro di Copenhagen animando un esperimento sociale unico al mondo.
È il 1971 quando sei giovani occupano i 34 ettari di una ex base militare nel cuore di Copenaghen fondando la "città libera" di Christiania. Un esperimento riuscito talmente bene che la comune circondata dai canali si popola di gente di ogni angolo del pianeta. Ancora oggi varcando la porta della cittadella sembra di essere catapultati negli anni Settanta. A Christiania si vive seguendo le stesse regole di allora: rifiuto dello Stato e della violenza, inesistenza della proprietà privata e guerra alle droghe pesanti. Il tutto scandito dalle decisioni dell'assemblea generale che delibera con la "democrazia del consenso". E poi ci sono l'ufficio postale, l'asilo, i ristoranti, i bar, le imprese di artigianato, il cinema, i concerti, l'arte, la bandiera locale e la nazionale di calcio. Tutto rigorosamente autogestito.

A Christiania le abitazioni non sono di proprietà ma vengono affidate ai residenti per circa 200 euro al mese. I soldi finiscono nel "tesoro comune" con il quale la "città libera" paga luce, acqua e lavori di manutenzione. E chi vuole prendere un alloggio rimasto libero deve essere accettato dal severissimo comitato dei vicini.

Nel 1989 il Parlamento ha concesso a Christiania lo status di "esperimento sociale" e, aggrappandosi a questa delibera, gli avvocati degli hippy stanno negoziando un compromesso con il governo. Il 27 Maggio 2009 dopo decenni di schermaglie l'Alta Corte danese ha dato ragione al governo di centro-destra e torto all'ultima roccaforte hippie. Sfratto all'Utopia? Christiania, il posto più tranquillamente eversivo d'Europa con la sua Pusher Street ormai chiusa da anni e i tricicli dal carrello anteriore porta-bambino (uno se l'è comprato pure Angelina Jolie) e con la sua vita a misura d'uomo (auto proibite) così com'è non può andare avanti. Quei 34 ettari pittoreschi, abitati da onestissimi fuorilegge e visitati da un milione di turisti all'anno, non appartiene a chi quarant'anni fa con un'occupazione abusiva li «recuperò» dall'abbandono.

Ma adesso la «città libera» (Fristaden) divisa in 19 circoli che adottano la legge dell'unanimità (la maggioranza non è abbastanza) è meno «libera» di prima. Ma Knud Foldschak, l'avvocato che ha difeso la comunità in tribunale, sostiene che il verdetto — riconoscendo la realtà di Christiania negli ultimi 40 anni — costituisce «una vittoria morale» e «una buona base» per continuare la battaglia alla Corte Suprema.

sabato 19 dicembre 2009

Di laicità cosmetica e arredamento d'interni


di Luigi Corvaglia


Sia ben chiaro: se mi vietano gli spaghetti, faccio le barricate. Gli italiani, brava gente, nello spaghetto si riconoscono. Gli spaghetti, la pizza, la mamma, la nazionale. Abbiamo i nostri totem, i nostri simboli, le nostre griffes. L’appartenenza si fonda sul carboidrato alla pummarola e sulle mamme che ad esso ci iniziarono. E poi c’è il crocefisso. Trattasi di un complemento d’arredo costituito da una salma lignea o, sempre più spesso, in materiale plastico che raffigura, si sa, un uomo morto dopo tortura e che campeggia, generalmente ignorata dai più, in ogni dove. Ma non vuoi che ce lo vogliono togliere? Si, l’Europa, quella che decide il diametro dei piselli e la curvatura delle banane, lo ha decretato con una sentenza della Corte di Strasburgo. La folcloristica affissione del manufatto nei luoghi pubblici, responsabile dei risolini di scherno di tanti visitatori protestanti, più adusi al concetto di laicità e meno afflitti da iconolatria, è vietata perché incompatibile col rispetto delle opinioni di tutti. Che questo fatto sia banalmente vero rende il senso del mio stupore nel considerare che per definirlo sia dovuto intervenire un tribunale e, ancor di più, che da destra e da sinistra, da sopra e da sotto, si sia levata la protesta di teo-demo e psudo-laic. Onestamente, non riesco a scaldarmi. "Certo", dirà il lettore, "tu sei laico. Vorrei vedere ti levassero gli spaghetti. Chissà come gongoli". Si, è vero, sono laico, ma non gongolo. Il fatto è che una cosa sono gli spaghetti e un’altra la loro icona. I primi sono fumanti, conditi e tolgono l’appetito, la seconda è una rappresentazione simbolica. Per questa non farei alcuna barricata. Teo-dem e pseud-laic, invece, insorgono a difesa dell’effige.
Si, insomma, il lettore ha ragione, considero il concetto giusto, oserei dire “sacrosanto”, se non fosse contraddittorio. Un’istituzione sovra personale, lo Stato, rappresentante e tutore di tutti, impone simboli solo di alcuni. Laico e libertario, mi dicono i miei amici transazionali, liberali, liberisti e ibertari, così come i miei consociati agnostici e razionalisti, dovrei gioire della sentenza. Non gioisco. Non gongolo. Ghigno un po’, lo ammetto. Due i motivi. Innanzitutto, se non mi piace un’istituzione sovra personale che obbliga tutti suoi “cittadini” alla esposizione del crocefisso, diffido di un istituto sovra-statale, anche se mi ha regalato un attimo di illusione. Domani potrebbe farmi urlare di dolore. Potrebbero impormi - sacrilegio! - gli spaghetti di grano tenero, ad esempio. Summa lex, summa iniuria. Già, ma ora ammetto di ghignare allo spettacolo del teatro delle vergini violate intorno a me. Gli italiani, brava gente, si scandalizzano; i nostri ministri, bravissima gente, si mobilitano contro l’oscena sentenza. E si, dicono, sarà vero che siamo ai primi posti al mondo per consumo di cocaina (ma non abbiamo rivali nell’accoppiata fra questa e i trans), che la mafia prospera, la corruzione metastatizza il paese, però, in fondo, sapete che siamo? Brava gente, sempre pronta a una manifestazione in favore della famiglia o per una ronda. Purché si stia insieme in allegria. Gioviali e conviviali sempre, gli italiani. Ma soprattutto cristiani. Da cosa si deduce l'intima cristianità degli italiani? Ma dall’onnipresenza di salme lignee. Da cosa altrimenti? Da diffuso spirito cristiano non direi. Così, il ripristino del povero Cristo sul muro a guardare sconsolato lo stato della scuola e dei tribunali italiani non rappresenterebbe certo la vittoria dello spirito del nazareno, come l’averlo tolto non rappresenta alcuna vittoria della laicità. E questo è il secondo motivo di mancato gongolamento. E’ solo laico-cosmesi. Lo sapete che lo stato italiano versa ogni anno alla chiesa cattolica 700 milioni (700.000.000) di euro? Non mi venissero a parlare di laicità! Lascino l'arredo crucifero e ci ridiano i soldi, piuttosto.

http://disgusto.ilcannocchiale.it/

giovedì 17 dicembre 2009

Chi non dimentica


Chi non dimentica, un piccolo ricordo.

lunedì 14 dicembre 2009

La fine di Chomsky


L'anarchico Chomsky, una forzatura direi, il socialista Chomsky tanto avversario all'anarco-capitalismo anche nelle sue impostazioni più teoriche che dichiarò:
A mio avviso l'anarco-capitalismo è un sistema dottrinale che se dovesse realizzarsi, instaurerebbe forme di tirannia e di oppressione che nella storia umana non hanno eguali.
(per il resto, se volete leggete qui: http://www.lettera.com/libro.do?id=5143)

Chomsky come tutti da un pò hanno capito ha perso, nonostante la lucidità dei suoi scritti, la mentalità libertaria, il suo anarchismo è stato definito agnostico, e molte dichiarazioni sono state fatte a favore dello stato e dello statalismo per combattere il potere dei privati che poi nei fatti economici attuali è comunque potere di stato e del capitalismo corporativista.

L'ultima di Chomsky è quella di aver lodato la dittatura bolivariana, di aver lodato in nome di un antimperialismo socialista la politica di Chavez, da molto criticata da tutti i settori dell'anarchismo.

Riporto un articolo della Rivista A di Octavio Alberola:
Noam Chomsky alla corte di Chávez.

L’intellettuale americano va a Caracas e loda in maniera sperticata la rivoluzione bolivariana e il suo leader. Come è possibile?


Contrariamente a quanto molti pensano, la capacità di dare adito a delle menzogne e di accettare ciecamente la falsità, per quanto irreale e grottesca possa essere, non è una prerogativa degli stupidi e degli ignoranti. Il noto studioso Noam Chomsky ha appena dimostrato che anche prestigiosi intellettuali, acuti e perspicaci, possono essere abbindolati arrivando ad accettare atteggiamenti e manovre politiche che possono essere considerate, sotto ogni punto di vista, demagogiche, ingannevoli e autoritarie. Credendoci o, almeno, facendo finta di crederci. Non è certo una novità vedere un intellettuale di alto rango cadere in tale contraddizione. Già ai tempi dell’Unione Sovietica e della Cina maoista si era verificato il fenomeno alquanto irrazionale dei “compagni di strada”, quegli intellettuali che davvero avevano creduto – e molti di loro in buona fede – che in quei paesi si stesse instaurando il “socialismo” e si arrivasse a creare l’“uomo nuovo”, fino a quando i fatti li avevano costretti a vedere cosa fossero in realtà quei regimi. Ma nonostante questo, anche se in molti casi tali annebbiamenti non erano motivati dalla richiesta di un qualche tipo di ricompensa e sembravano essere sinceri, pure fatalità antropologiche, è logico chiedersi come e perché si siano potuti verificare. E anche se sembra più facile pensare che è semplicemente per l’illusione di convincimento, da cui nessun essere umano – compreso il più razionale – può essere escluso, nel caso di Chomsky non possiamo dimenticare che lui nel passato ha combattuto contro questa illusione di convincimento. E allora è giusto domandarsi come può un uomo, apparentemente capace di ragionare, di analizzare criticamente quello che sta succedendo nel mondo, andare oggi in Venezuela a elogiare il “socialismo del XXI secolo”, senza accorgersi di quanto sia castrista la mentalità del suo inventore, il Comandante Chávez, e non vedendo il carattere populista fortemente grottesco di quella che viene chiamata la “rivoluzione bolivariana”.


Ma è lo stesso Chomsky?


Come può Chomsky commettere lo stesso errore che hanno commesso, il secolo scorso, famosi intellettuali dell’epoca, alcuni celebrando Stalin, e altri, alcuni anni più tardi, esaltando Mao e il suo “libretto rosso”? Loro perché credevano che nella Russia e in Cina si stesse costruendo il “vero comunismo”, e Chomsky perché è convinto che oggi in Venezuela si sta creando “un mondo nuovo, un mondo diverso”. Come ha potuto dimenticare che quegli intellettuali, con il passare del tempo, si sono visti costretti a recitare il mea culpa per la cecità ideologica che aveva impedito loro di vedere cosa si nascondesse dietro al discorso rivoluzionario stalinista e maoista? Lo stesso totalitarismo, responsabile della morte di milioni di persone, morti per fame o per le torture, che oggi ha ispirato a Castro una dittatura che a Cuba dura da cinquant’anni, e di cui Chávez è un devoto ammiratore. Ma la cosa sorprendente nel Chomsky di questi ultimi anni, non è solo quest’apparente amnesia storica, ma che si sia fatto sedurre dalle lusinghe di quel castrista istrionico (“Sei veramente il benvenuto, […] era ora che ci facessi visita e che il popolo venezuelano ti vedesse e ti ascoltasse dal vivo”) e lo abbia ringraziato per le sue “care e generose parole”. A cui bisogna aggiungere la buffonata di avergli detto quanto “emozionante” fosse per lui “vedere come in Venezuela si stesse costruendo un altro mondo possibile e vedere uno degli uomini che aveva ispirato questa situazione”. La cosa più sorprendente di questa conversione alla fede messianica, simile alle celebri conversioni al cattolicesimo (quelle di Baudelaire, Peguy, Claudel, etc.), è che il miracolo è arrivato dopo il crollo del “socialismo reale” d’ispirazione sovietica e, in Cina, dopo l’instaurazione del capitalismo proprio grazie a quel Partito Comunista che Mao aveva lasciato al potere. Beh, diversamente da quei giovani intellettuali “idealisti” che avevano acclamato Stalin e Mao prima che si avverassero questi importanti fatti storici, Chomsky ha avuto modo di conoscerli in vita e per questo è ancora più incomprensibile che ora sembri essersene dimenticato. Soprattutto ora, quando il fallimento del messianesimo rivoluzionario ha confermato in maniera indiscutibile le loro profezie. Stiamo assistendo da tempo alla strumentalizzazione di Chomsky, in molte direzioni. E questo nonostante la sua posizione etica, i suoi riferimenti ideologici e il suo comportamento politico si trovino agli antipodi di quello che difendono e adorano molti di quelli che oggi vorrebbero averlo come mentore. Ce ne accorgiamo leggendo i suoi libri, sempre se escludiamo che il Chomsky di oggi non sia lo stesso di quando scriveva: “Viviamo in un periodo di corporativismo del potere, di consolidazione del potere, di centralizzazione. Questo può andare bene se sei un progressista, come ad esempio un marxista leninista. Dagli stessi presupposti ne susseguono tre importanti esiti: il fascismo, il bolscevismo e la tirannia corporativa. Nascono tutti più o meno dalle stesse radici hegeliane” (Chomsky, Class Warfare, p. 23). Per non parlare di quanto scrisse poi a proposito del paese uscito dal colpo di Stato bolscevico dell’ottobre del 1997 che, per Chomsky, era responsabile dell’eliminazione delle strutture socialiste emergenti in Russia: “Sono gli stessi bruti comunisti, i bruti stalinisti di due anni fa, quelli che oggi hanno in mano le banche” e che sono loro “i gestori entusiasti dell’economia di mercato”. E da qui il suo pessimismo: “Quelli che cercano di associarsi alle organizzazioni popolari e aiutano la popolazione ad organizzarsi autonomamente, quelli che appoggiano i movimenti popolari in questo modo, semplicemente non potranno sopravvivere in tali circostanze di accentramento del potere”. (Chomsky, Comprendre le pouvoir, pp. 7-11). Com’è possibile allora che oggi commetta lo stesso errore commesso un tempo dai “compagni di strada” pro-cinesi – che avevano conosciuto la cecità comparabile (e riconosciuta) a quella della generazione che li aveva preceduti, quella dei vecchi stalinisti arrivati solo dopo molto tempo all’autocritica – nonostante lui stesso fosse stato un testimone critico di tale cecità? La cosa grave, nel caso di Chomsky, è che non gli è servito a nulla conoscere e denunciare quelle esperienze! Il caso di Chomsky ci spinge anche a interrogarci sul “mistero” di questa strana convivenza, all’interno di un solo spirito umano, dell’intelligenza più acuta con la credulità più ottusa. E ci stupiamo ancora di più se pensiamo che, a quei tempi, lui era stato tra chi con maggior intensità aveva criticato la cecità in cui erano incorsi molti dei suoi colleghi intellettuali che costituivano con lui la créme dell’intelligenza occidentale: i Sartre e altri grandi filosofi, storici, giornalisti o universitari di un certo rilievo.


In nome dell’antimperialismo


È tutto veramente misterioso, considerando che sono stati pochi gli intellettuali che in un secondo tempo non hanno dovuto confessare di essersi sbagliati e di riconoscere che Chomsky aveva avuto ragione mettendo in evidenza la cecità che li aveva spinti a commettere quel gravissimo errore di interpretazione del passato. Chomsky come ha potuto dimenticarselo? È vero che nemmeno la cecità degli antichi stalinisti – mille volte confessata e analizzata in articoli, interviste e libri- è servita da lezione ai giovani maoisti occidentali, dato che a distanza di vent’anni riproducono lo stesso tipo di smarrimento. E con lo stesso orgoglio e fatuità dei loro predecessori. Ma in loro prima ci fu l’adesione cieca a quello che si presentava come una rivoluzione emancipatrice. A Chomsky sta succedendo il contrario: prima è venuta la denuncia, l’analisi obiettiva, razionale, rigorosamente critica, e poi la cecità…È anche vero che l’antimperialismo statunitense di Chomsky lo ha spinto a una relativa discrezione verso l’autoritarismo crescente dei sandinisti nel loro esercizio del potere negli anni Ottanta in Nicaragua e, da alcuni decenni, anche verso la dittatura castrista. E questo nonostante tra le vittime di quest’ultima ci fossero persone con molti punti in comune con i militanti antimperialisti pro-cubani del resto dell’America Latina. Sarà forse questo ostinato antimperialismo la ragione per cui per lui la cosa principale è denunciare le ingiustizie generate da questo paese su scala planetaria, a spingerlo a schierarsi in modo tanto sconcertante nei confronti di quello che succede nel continente americano?Effettivamente, anche se Chomsky continua a considerarsi “anarchico-libertario”, è chiaro che per lui le considerazioni ideologiche devono passare in secondo piano e che si deve porre una sorta di graduatoria tra le ingiustizie divise secondo il grado di pericolosità planetaria dei bianchi contro cui si dirige la critica. Il problema è che questo relativismo politico permette a molti marxisti-leninisti, populisti e politici, la cui unica preoccupazione è la conquista del potere, il suo esercizio e la sua conservazione, di ricorrere al riparo solo degli argomenti antimperialisti di Chomsky invece che preoccuparsi dell’aiuto da apportare alla popolazione per organizzarsi autonomamente. Ed è un vero e proprio problema, perché Chomsky nulla fa e nulla dice per dissuaderli dal farlo. Anzi, mantenendosi con tanta perseveranza in questa immorale discrezione e lasciandosi ritrarre accanto ai Castro e ai Chávez si rende complice – anche se le sue lodi sono discrete e di convenienza – delle buffonerie e delle derive autoritarie, dittatoriali, di questi nuovi oligarchi. Ma sfortunatamente, l’ostinazione di voler mantenere tale divisione manichea (perché si ritiene meno pericoloso l’accesso al potere di questi populisti dei disastri che causa l’imperialismo yanqui nel mondo) non solo non serve a impedire tali disastri (questi populisti stanno continuando a fare affari con le multinazionali dell’impero) ma contribuisce a smobilitare i popoli e a rendere ancora più difficile il compito di chi sta veramente combattendo contro la dominazione planetaria del Capitale e dello Stato.È possibile che, vista l’età, Chomsky non riesca a vederlo: ma è impossibile pensare che non sia cosciente della distanza che lo separa da tutti quelli che ricorrono ai suoi argomenti contro l’imperialismo yanqui e che, invece, dimostrano di essere molto reticenti, per interesse o comodità, a denunciare le forme di dominio imposte da questi populisti presunti rivoluzionari.


Una lettura interessante che, forse, dimostra una prima spaccatura tra il movimento anarchico e l'intellettuale sempre più marxista Chomsky.

sabato 12 dicembre 2009

La prospettiva economica....



Sull'ultimo numero di Rivista A vi è un articolo di Andrea Papi sulla crisi economica: La finanza ci regala la sua crisi.
Dopo aver illustrato, giustamente, una situazione molto grave vi è una proposta o meglio un illustrazione di prospettiva, semplice ma importante a mio avviso, vi riporto cosa:

In questa prospettiva senz’altro ci può essere d’aiuto la vecchia idea proudhoniana delle banche del lavoro e di mutuo soccorso. Ovviamente aggiornata, adeguata ai tempi, in modo da risultare efficiente e propositiva. Se pensiamo che tutti ci troviamo costretti a versare i soldi dei salari e degli stipendi nelle banche della speculazione disastrante, non mi sembra nient’affatto male l’idea di rendere agibili luoghi, accessibili a tutti gli esclusi dal mercato speculativo, in cui versarli al posto delle banche, gestendoli direttamente e votandoli alla solidarietà e al finanziamento di progetti autogestiti. Sarebbe un primo passo per non regalare all’oligarchia i sudati risparmi, quando ci sono, ottenendo di sottrarli agli scopi nefandi dell’onnivoro potere finanziario e di autogestirli direttamente per scopi sovversivi di autogestione alternativa.

giovedì 10 dicembre 2009

Nazional-Anarchismo, Di cosa parliamo?


Sul blog http://residenclave.wordpress.com/ si discute di nazional-anarchismo, un bel dibattito tutto teorico su cosa salvare, come collegare questa teoria all'anarcocapitalismo, qual'è la sua concezione di società, cosa intendono questi nazional-anarchici con proprietà, in cosa consiste il separatismo razziale volontario ( importante sottoliniare questo ultimo termine), quali sono i suoi rapporti con il fascismo e l'anarchismo.

Il Nazional-Anarchismo è una corrente politica sincretica che è stata sviluppata intorno al 1990 da un tentativo di ex sostenitori della terza via di conciliare l'anarchismo con il nazionalismo e in alcuni casi con il separatismo razziale volontario ed il federalismo. Ha le sue radici intellettuali negli scritti di Julius Evola e del neo-spengleriano Francis Parker Yockey e include Pierre Joseph Proudhon, Mikhail Bakunin, Peter Kropotkin, Lev Tolstoj, Murray Bookchin e Max Stirner nelle sue influenze.
Usato in questo senso, il termine venne coniato contemporaneamente da
Troy Southgate (Gran Bretagna), Peter Topfer (Germania) e Hans Cany (Francia) e fu usato dall'ora defunto National Revolutionary Faction per descrivere la sua ideologia.
Nazional-anarchici vedono le gerarchie insite nei governi e nel capitalismo come oppressive. Essi difendono l'azione collettiva organizzata secondo le linee dell'identità nazionale e propongono un ordine sociale decentralizzato nel quale singole comunità volontariamente stabiliscono e mantengono comunità distinte. Essi possono più accuratamente essere definiti "anarchici tribali". Il Nazional-anarchismo è stato denunciato dagli appartenenti alla sinistra, che lo ritengono un'ideologia di estrema destra.
I nazional-anarchici auspicano un'organizzazione sociale basata non più sullo Stato come figura istituzionale più importante, ma all' opposto su piccole entità quartierali di massimo 3.000 abitanti ciascuna, a fungere da base per le istituzioni superiori (comune, provincia, regione, Stato). A questi miniagglomerati sarebbe demandata la concessione dei servizi su base d'
appalto. In pratica lo Stato verrebbe abolito e tutte le sue funzioni svolte da società private a cui viene dato in appalto dalla comunità il servizio da svolgere. Per i servizi pubblici su licenza, quali i trasporti ed il piccolo commercio, prospettano l' assegnazione di essi sulla base dell' offerta libera che gli interessati offrono all' ente pubblico (miniagglomerato, o comune, o provincia, ecc) come tassa. Ovverosia in un determinato settore le licenze verrebbero concesse al richiedente che sappia di poter far fronte coi suoi introiti lordi all' entità della tassa pagata. Questo per eliminare la corruzione nell' assegnazione e la stasi nel ricambio, concedendole a chi veramente si dimostri capace di far bene il lavoro a cui la licenza fa riferimento.
I Nazional-anarchici tendono a difendere pratiche economiche come il
distributismo e il mutualismo, nelle quali l'enfasi è posta su una vasta proprietà dei mezzi di produzione, nella forma di piccoli commerci e cooperative operaie socializzate in un sistema corporativo in cui i presidenti nazionali delle corporazioni (eletti in un sistema base-verticistico dalle corporazioni in modo simile alla democrazia organica) verrebbero a rappresentare i ministri del corrispondente settore. Il concetto rivoluzionario-conservatore dell'Anarch è fondamentale nel Nazional-anarchismo, come l' abolizione delle tasse.
Si fa notare come questi programmi siano propri anche dei partiti
Bolscevico Nazionale e Sinistra nazionale.
È per l' abolizione del sistema carcerario come oggi lo conosciamo, sostituito da una "città" nella quale i detenuti possano vivere "liberamente" assieme ai loro congiunti come in una qualunque altra città, ma dalla quale non possano uscire se non con permessi-premio simili agli attuali.
Il Nazional-anarchismo condivide con la maggior parte delle tendenze dell'anarchismo l'obbiettivo di riorganizzare le relazioni umane, con un'enfasi nel sostituire le strutture gerarchiche di governi e
capitalismo con locali e comuni decisioni. Troy Southgate ha detto:
Noi crediamo nel decentramento politico, sociale ed economico. In altre parole, noi desidereremmo vedere un declino positivo per cui tutti i concetti burocratici come l'
ONU, la NATO, l'Unione europea, la Banca Mondiale e perfino gli stati come la Germania e l'Inghilterra siano sradicati e conseguentemente sostituiti da villaggi-comunità autonomi.



Dal dibattito è emerso che:

'anarchismo e nazionalismo è un binomio che non ha mai abbandonato la storia dell’anarchismo, basti pensare a Bakunin a a Proudhon, per farla breve. Alla fine l’abbandono della sovrastruttura statale, come ho già detto più volte, non implica necessariamente il rifiuto dell’identità nazionale, così come il separatismo etnico e culturale volontario è perfettamentecompatibile con una società libertaria.'

'In un sistema di comunità monoculturali e monoetniche non si capisce come potrebbe qualcuno allontanarsi da un’enclave che non gli è congeniale (il solito Neo-Sudafrica). La competizione tra comunità diverse deve per forza prevedere una grande mobilità tra l’una e l’altra, se no gli incolpevoli abitanti di un’enclave fallimentare saranno costretti a crepare di fame.'

'tra tutti i movimenti politici mi sembrano gli unici da poter annoverare tra “i conservatori culturali e antistatalisti radicali'

'Temo che Hoppe lo abbiano letto e come molti fascisti che trovo in alcuni forum sul web questi leggano Hoppe e l’anarcocapitalismo (in particolare paleo) come una prospettiva di giustificazione “cavallo di Troia” per imporre sempre e inevitabilmente le solite logiche.'


'Il Nazional-Anarchismo è un sistema enclavico concettualmente e praticamente chiuso, scarsamente competitivo al suo interno, collettivista e poco propenso a mio parere a intrattenere rapporti di buon vicinato con le altre enclavi'


'Vi sono punti in comune – a me ad esempio non pare che vi sia opposizione al concetto di proprietà, semmai la questione va declinata nella terminologia mutualista della proprietà Vs possesso – e molte istanze di “attualità” (pc, mondialismo, avversione alle élites, etc) sono intese dai due gruppi in maniera pressoché identica. Ripeto, dai loro comunicati e dalla loro iconografia emerge forse la retorica rivoluzionaria nazional-popolare, eppure a discuterci si scopre che i problemi riguardano più i termini che le idee (ad esempio i Nazional-Anarchici non accettano la definizione capitalismo neanche se specifichiamo cosa realmente intendiamo, ma da buoni mutualisti, non hanno alcun problema verso “il libero mercato”).'








domenica 6 dicembre 2009

venerdì 4 dicembre 2009

I Disobbedienti Libertari!

Un sito assolutamente da sostenere, un disobbediente assolutamente da appoggiare: http://www.palmerini.net/blog/



"Il mio identikit politico è quello di un libertario, tollerante. Se poi anarchico l'hanno fatto diventare un termine orrendo... In realta' vuol dire solo che uno pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia, le stesse capacità" ( Fabrizio De André )